Sì, succede in Italia. A Roma.
Premessa
Un mese fa avevo scritto un articolo sulle difficoltà, solitudine e malessere di chi fa startup. Tutto mi aspettavo che di trovare nella mia inbox di LinkedIn un messaggio come questo.
(Disclaimer: stavo per scrollare sul successivo quando l’occhio mi è caduto sulla quarta riga…)
Gentile Prof. Onetti,
Ho letto poco fa il suo articolo su EconomyUp sul fatto che fare startup non è da tutti.
Io mi sono davvero rivisto tantissimo in questo articolo e penso che fosse proprio questo il suo obiettivo.
Faccio Startup (ho una startup che fa donazioni di sangue @Rosso), ogni giorno mi confronto con tantissimi mentor, aziende e realtà.
Ho 17 anni, quindi vivo anche la vita dello studente e dell’adolescente (che ho quasi totalmente represso).
I temi dell’equilibrio di cui lei ha parlato sono stati la chiave per me, e nell’articolo mi sono rivisto in pieno.
Mi piacerebbe davvero moltissimo scambiare una chiacchera con lei, anche pochi minuti per qualche suo prezioso consiglio su queste tematiche.
Grazie davvero,
Filippo
17 anni…
Ovviamente l’ho chiamato, probabilmente anche mosso da una tonnellata di sensi di colpa derivanti dal mio essere un padre non esattamente da top percentile.
Chi è Filippo?
Il Filippo di cui sopra è Filippo Toni, che, circa un anno e mezzo fa, ha fondato (insieme a Chiara Schettino, anche lei giovanissima – 21 anni – che – a causa di una leucemia – ha vissuto in prima persona l’estenuante attesa di sacche di sangue) Rosso, startup che si propone appunto di azzerare le emergenze sangue in Italia (problema serio: non c’è ricambio generazionale tra donatori e, tra meno dieci anni, ci potremmo trovare senza sangue).
Ma Rosso non è la prima avventura imprenditoriale di Filippo. Durante la pandemia aveva capito che c’era il rischio per un milione di famiglie di rimanere senza televisione. Si è allora fatto una sorta di master in ingegneria delle telecomunicazioni e ha creato, insieme a due vicini di casa, un sistema hardware e software che risolvesse il problema via teleassistenza (e facendo una exit qualche mese dopo).
Trovare l’equilibrio…
Al di là di quanto fatto e di quanto sta facendo (tanto) e di quanto ancora farà (ancora di più), il tema che abbiamo esploso durante la nostra chiacchierata – e ripreso durante la puntata di settimana scorsa di Innovation Weekly cui lo ho invitato a partecipare – è la difficoltà a conciliare vita personale (da studente e adolescente) e lavoro. Un equilibrio complesso per ogni imprenditore, infinitamente amplificato dall’essere in quella fase della vita che è l’adolescenza, che è un periodo già di per sé super complicato.
Tra gli altri, due passaggi hanno colpito me e Giovanni Iozzia:
- “Io vado a scuola (liceo scientifico) la mattina e vivo un mondo che non è mio. Con i miei compagni non ho argomenti né vita in comune. Il mio mondo è quello del pomeriggio, quando inizio a lavorare come un pazzo fino a tarda sera, weekend compresi. Poi ogni tanto studio.”
- “Non ci sono tracce di imprenditorialità in famiglia. I miei genitori sono lavoratori dipendenti. Anche a casa non sono sempre molto capito. La loro approvazione non la avrò forse mai. Però mi hanno sempre supportato e noi mi hanno mai negato di fare nulla. Ogni tanto parto all’improvviso per andare a convegni e incontri. Loro mi lasciano fare.”
Al di là di un equilibrio fragile e tutto da trovare, emerge un messaggio forte e positivo.
Si può fare impresa in Italia, anche da giovani e sposando cause sociali.
Anzi, il binomio tra purpose e impatto sociale è fortissimo tra i giovani.
Quindi, spazio a loro. Solo cose belle possono succedere.