Negli ultimi venti anni sono emersi moltissimi modelli e strumenti il cui obiettivo è aiutare gli innovatori a progettare, sviluppare e commercializzare un nuovo prodotto minimizzando il rischio di insuccesso. Dal Design Thinking di IDEO alla teoria del Job-to-be-Done di Tony Ulwick e Clayton Christensen, dal Customer Development di Steve Blank alla Lean Startup di Eric Ries. Solo per citare alcuni dei metodi più popolari.
Tutti questi modelli hanno in comune un aspetto fondamentale: si ispirano al metodo scientifico. L’idea di un nuovo prodotto viene verificata attraverso cicli di lavoro (iterazioni) molto brevi che prevedono la formulazione di ipotesi di lavoro, la realizzazione di test, la raccolta di dati e la validazione delle ipotesi di partenza.
Allo stesso tempo, i vari approcci differiscono su un aspetto fondamentale: come viene generata l’idea iniziale. Metodi come il design thinking e il job-to-be-done partono dall’analisi dei bisogni dell’utente (need-first) e usano le informazioni raccolte come base di lavoro per l’ideazione di soluzioni. Il filone del customer development e della lean startup, invece, partono dall’assunto che ci sia un imprenditore con un’idea (idea-first); questi metodi hanno l’obiettivo di verificare che l’idea risolva effettivamente il bisogno di un consumatore.
L’approccio idea-first è diventato estremamente popolare sia nella letteratura che nella pratica. Chi segue questo paradigma ritiene che la chiave per innovare con successo sia la capacità di generare un gran numero di idee e filtrarle facendo tanti test. Molte falliranno, ma alla fine ne rimarrà qualcuna buona e, magari, una eccezionale.
Avendo provato in prima persona la maggior parte dei metodi idea-first, posso testimoniare che richiedono parecchia fortuna e spesso risultano inefficaci. Se si parte da un’idea senza prima aver fatto alcuna ricerca sui bisogni insoddisfatti del potenziale cliente, infatti, è molto probabile che si finisca a lavorare su una fantasia, perdendo tempo e denaro. Questo, per esempio, è il rischio di chi approccia la creazione di un prodotto utilizzando unicamente il metodo della lean startup e lanciandosi direttamente nella costruzione di un cosiddetto minimum viable product alla ricerca di conferme e rassicurazioni.
Ho visto molte startup partire in questo modo. Io stesso ho peccato di presunzione: più di una volta sono partito pensando di conoscere il mio mercato di riferimento, di sapere quali fossero le esigenze dei potenziali clienti e di avere in testa la soluzione giusta. Ahimè, tutte le volte che non ho seguito un processo disciplinato di ricerca, non sono andato molto lontano. Ecco perché sono convinto che gli approcci need-first, se sviluppati nel modo corretto, siano decisamente più produttivi di quelli idea-first.
Nel mio corso all’Università Roma Tre metto moltissima enfasi sull’attività di ricerca (interviste, ricerche e via di seguito) e sto progressivamente abbandonando il concetto di minimum viable product, perché lo ritengo troppo ambiguo e difficile da spiegare agli studenti.
Lavorando al programma della Innovation School of Rom ho adottato lo stesso approccio e, con Alessandro, abbiamo costruito quattro moduli che guideranno gli studenti dall’analisi dei potenziali clienti fino allo sviluppo di una beta:
- comprendere e ideare, durante il quale impareranno a osservare, intervistare e analizzare i potenziali clienti con l’obiettivo di sviluppare delle idee che partono da bisogni reali;
- prototipare e testare, grazie al quale apprenderanno a progettare esperimenti e prototipi per testare le idee su cui hanno deciso di lavorare e investire;
- influenzare e indurre, che ha l’obiettivo di avvicinare gli studenti a tecniche persuasive derivate dalle scienze comportamentali che possono essere usate per migliorare l’esperienza del consumatore;
- creare un pre-prodotto, che – infine – permetterà ai partecipanti di pianificare consapevolmente la prima versione commerciale del loro prodotto (che non sia una banale landing page) e definire i fabbisogni in termini di risorse umane, materiali e finanziarie.
Non ci siamo limitati a costruire un programma che insegna la progettazione partendo dai bisogni dei clienti invece che dalle idee degli innovatori. Essendo convinti sostenitori del metodo eat your own dog food, abbiamo deciso di applicarlo anche alla costruzione della scuola.
Anche se pensiamo di sapere come insegnare a fare innovazione, abbiamo comunque deciso di partire idealmente da zero e questa settimana abbiamo iniziato un ciclo di interviste. Vi racconteremo come stiamo procedendo qui su EconomyUp e sul sito della Innovation School of Rome (che, per definizione, è un work in progress).