Tra startup e notai è guerra, mentre il Mise cerca la mediazione. Nell’Investment Compact, legge approvata il 24 marzo che, tra le altre cose, introduce la categoria delle pmi innovative ma anche nuove norme per le “sorelle” più piccole, è prevista la possibilità di costituire una startup mediante un modello standard tipizzato con firma digitale, evitando quindi il ricorso al notaio. Possibilità che i notai continuano a contestare, a differenza dei protagonisti dell’ecosistema delle startup, ovviamente soddisfatti. Intanto il Ministero dello Sviluppo economico è al lavoro per individuare, attraverso un decreto attuativo, una soluzione che consenta di evitare i rischi espressi dai primi e di non deludere i secondi.
All’articolo 4, comma 10 bis, si stabilisce, come è spiegato nella policy diffusa dal Mise all’indomani dell’approvazione della legge, che “le startup innovative e gli incubatori certificati potranno redigere l’atto costitutivo e le sue successive modifiche anche mediante un modello standard tipizzato facendo ricorso alla firma digitale, in analogia a quanto già previsto per i contratti di rete”. Il documento del Mise specifica che “l’atto costitutivo e le successive modificazioni sono redatti secondo un modello uniforme adottato con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico e sono trasmessi al competente ufficio del Registro delle imprese”.
In pratica si dovrebbe trattare di un modello pre-compilato uguale per tutti, “rinforzato” dalla firma digitale, che gli startupper potranno utilizzare al momento di costituire l’impresa, senza più la necessità di ricorrere al notaio e, di conseguenza, di pagarne la prestazione. Il risparmio ottenuto potrebbe aggirarsi intorno a diverse centinaia di euro. Le imposte dovute per legge restano, ovviamente, da versare: si stima che tra imposta di bollo telematico, iscrizione alla Camera di commercio ecc. ecc. la quota minima per una srl sia intorno ai 700/800 euro. Al notaio va un compenso che varia da città a città e da situazione a situazione, ma che mediamente si aggira sotto i mille euro. In ogni caso una cifra che può pesare sul bilancio di un giovane startupper già oberato da altre spese.
Sull’attuazione della norma, però, i tempi sono ancora incerti. Il Mise sta infatti lavorando all’elaborazione del decreto che istituisce il modello uniforme. “Proprio la prevista eliminazione dell’intervento del notaio (con la sua funzione di minuzioso controllo) nella costituzione e nelle successive modifiche delle startup innovative – ha scritto CorCom citando fonti del ministero – impone in questo lavoro una più che meticolosa attenzione alla sicurezza, onde evitare, per esempio, fenomeni di riciclaggio o di altri comportamenti illegali. Per essere ben svolto, questo compito richiederà tempi sicuramente non brevissimi”.
Proprio su questo punto fa leva la categoria dei notai per esprimere il dissenso alla norma. “Il nostro problema non sono certo gli introiti mancati dalle startup, che in Italia sono appena 3000: la norma dell’Investment Compact non ci cambia la vita come notai, ma la cambia al Paese perché elimina i nostri controlli, consente l’apertura di nuove società a chiunque, quindi anche a soggetti che perseguono l’illegalità, e porta l’Italia verso un modello di tipo anglo-americano, a nostro parere sbagliato” dice a EconomyUp Eliana Morandi, membro del Consiglio nazionale del Notariato e componente dell’Aba Digital Id Management Task, task force dell’American Bar Association, potente associazione degli avvocati americani, nata per trovare soluzioni al problema della gestione delle identità digitali.
Morandi ricorda che in Italia esiste un Registro unico delle imprese tenuto dalle Camere di Commercio, con una sezione ordinaria più le sezioni speciali. La startup innovativa viene iscritta innanzitutto nella sezione ordinaria. Poi, se la Camera di Commercio ne riconosce i requisiti, viene inserita nella sezione delle startup innovative. “Noi notai – spiega Morandi – dopo aver verificato l’identità delle persone e eseguito i controlli, anche anti-riciclaggio, stipuliamo l’atto di costituzione della società e lo mandiamo alle Camere di commercio con firma digitale. Lo Stato garantisce il Registro attraverso il nostro operato: svolgiamo un ruolo di controllori e, se sbagliamo, paghiamo. Viceversa, nel mondo angloamericano – Usa, Australia, Uk e altri Paesi – non ci sono registri pubblici garantiti dallo Stato come da noi. Chiunque può aprire una società nel più stretto anonimato. Sono Paesi in cui si sta sviluppando con grande velocità il furto di identità, fenomeno finora limitato in Italia a carte di credito e conti correnti”.
“Proprio perché il resto del mondo sta andando verso l’implementazione dell’identità digitale, non ha nessun senso restare indietro” ribatte a EconomyUp Gianmarco Carnovale, presidente di Roma Startup, associazione nata per coltivare l’ecosistema delle startup nella capitale. “L’identità digitale è ben tutelata dalla firma digitale, lo Stato italiano sta andando verso lo Spid, Sistema pubblico di identificazione dell’Identità Digitale, perciò identificare le persone da remoto diventerà una pratica diffusa. I notai fanno resistenza – aggiunge – perché questa norma può trasformarsi in prospettiva in un cavallo di Troia in grado di intaccare il loro business”.
Secondo Carnovale l’utilizzo del notaio resta efficace per situazioni quali compravendite di immobili o in caso di delibere relative a società più grandi, ma è evitabile nella fase costituente di una startup. E per uno startupper è importante anche un piccolo risparmio: “I notai non percepiscono il valore che possono avere poche centinaia di euro per questi ragazzi” conclude.
Sulla norma era intervenuto a suo tempo anche Marco Cantamessa, presidente e Ad di I3P, l’incubatore del Politecnico di Torino, specificando: “Nessuno proibisce alla startup innovativa di andare dal notaio, semplicemente si offre la possibilità di una strada accelerata e a costo zero”.
E Ivan Della Valle, deputato del Movimento Cinque Stelle promotore della norma, aveva spiegato al momento della sua introduzione che era stata pensata per semplificare la vita degli startupper. “Ci stanno a cuore i giovani imprenditori – aveva detto – che purtroppo in molti casi sono costretti ad andare all’estero. Dopo che il governo ha normato il settore delle startup innovative, ci siamo resi conto che ne stanno nascendo una cinquantina a settimana: è uno dei pochi settore in cui cresce il tasso di costituzione dell’impresa. Per questo abbiamo tutta l’intenzione di supportare questa crescita”.