“Ti senti un po’ come quando arrivi alla fine dell’Università. Hai davanti il mondo e ogni possibilità è aperta”. Andrea Dusi è appena rientrato da Londra, dove si è concesso tre giorni di pausa con i soci dopo la vendita che cambia la sua vita, per la seconda volta: WishDays, la società fondata a Verona nel 2006, è stata comprata da SmartBox Group. Una exit per una valore che non è stato ovviamente comunicato ma che dovrebbe aggirarsi attorno ai 20 milioni di euro, anche secondo alcuni siti internazionali specializzati in merger and acquisition. Per non smentirsi, a Londra, Dusi ha trovato il tempo per chiudere un investimento in Startup Home, la startup che affitta case agli startupper.
“È andata molto meglio di come potessi immaginare dieci anni fa. Sono più ricco di prima ma non cambia molto. In qualche modo quel che è successo mi spiace”, dice Dusi e suona strano visto che ha raggiunto un traguardo raro, a cui molti ambiscono: la fatidica exit. Poi spiega meglio: “Diciamo che sento un po’ di malinconia per un’impresa che è stata la mia vita per 10 anni, per le persone con cui ho lavorato, per gli innumerevoli partner che ci hanno seguito”. E forse anche perché insieme con WishDays nasceva la prima figlia, Giulia. È stata dura, è stato bello ma non era più lo stessa cosa.
WishDays ha sviluppato un bel business nel settore dei cofanetti regalo: oltre 18 milioni di fatturato per un valore trattato di circa 90, 35 milioni di stipendi pagati in 10 anni. E allora, perché mollare? “Circa un anno fa, era maggio, faccio il programma executive della Singularity University”, racconta Dusi, “una vera e propria full immersion nel futuro prossimo”. E qualcosa succede… ”È stato uno stimolo fortissimo che mi ha fatto riflettere su quello che davvero volevo e alla fine ho capito che avevo voglia di cambiare, di rimettermi di nuovo in gioco”. È servito qualche mese per decidere che, se ci fosse stato un buon compratore, sarebbe stato possibile recidere il cordone ombelicale con la propria creatura. Le tentazioni non sono mancate. “Abbiamo avuto sette offerte, cinque da fondi di private equity e due da concorrenti. Alla fine abbiamo accettato quella di SmartBox, che è un colosso da 500 milioni di fatturato guidato dal manager, John Perkins, che è stato l’uomo di Steve Jobs in Europa”.
Per due mesi Dusi e i suoi soci resteranno ancora in azienda, poi il salto nel…nuovo. C’è già l’impegno con Cristina Pozzi in ImpactScool, un progetto nato per portare la tecnologia nelle università. Ma ci sarà certamente altro. “È ancora troppo presto per dire in quale nuovo settore investirò le mie energie”, racconta Dusi. “Dieci anni non si possono cancellare in pochi giorni. Ma quello che voglio fare in futuro è qualcosa che possa avere un impatto positivo sulla società, sulla mia vita e quella della mia famiglia. Almeno questa sarà il mio obiettivo e il mio sforzo”.
C’è qualcosa di profondo nelle riflessioni di questo imprenditore ex consulente, giunto al giro di boa dei 40 anni. A giugno partirà per tre mesi in Africa, con i due figli, Giulia e Tommaso, che di anni ne ha 7. “Andremo a dare una mano in tre missioni in Kenya, ci fermeremo un mese per ciascuna”, anticipa a EconomyUp. Perché? Perché con i bimbi? “A loro servirà per capire che nel mondo ci sono molte persone meno fortunate di noi. Da parte mia voglio capire come le tecnologie esponenziali possano essere d’aiuto nelle realtà disagiate e quale impatto possano avere”.
Un bel tema la responsabilità sociale, che è individuale e anche delle aziende. Agli imprenditori, soprattutti ai nuovi imprenditori che con slancio affrontano progetti di startup, Dusi, che ha anche lanciato un blog (Startupover) dedicato ai fallimenti, regala tre insegnamenti derivati dalla sua esperienza. Anzi, tre avvisi. 1) Non farlo per soldi. “Non sono una motivazione sufficiente per superare difficoltà e stare bene”. 2) Informati, leggi, documentati. “Io l’ho imparato quando facevo il consulente in Roland Berger. Putroppo vedo troppi startupper che partono ma sanno poco o nulla del mercato e del mondo” 3) Accetta il sacrificio. “Non tutti quelli che fanno startup si rendono conto che per i primi tre anni dovranno dimenticare ferie, vacanze e weekend. Succede anche a chi apre una pizzeria, del resto. Fare un’impresa è un sacrificio enorme e non è attività per dopolavoristi”.