Un sistema di tassazione particolarmente favorevole, interventi del governo sul settore con piani di sviluppo, un programma pubblico per incentivare gli investimenti sulle aziende in embrione: così Londra, che già era uno dei bastioni mondiali della finanza, è diventata anche la capitale europea delle startup. Fino a quando, il 23 giugno, non è cambiato tutto: perché con la vittoria del leave al referendum sulla Brexit ha decretato anche la smobilitazione e la fuga delle startup verso altre mete. E sebbene Nicola Garelli, presidente di iStarter (acceleratore dedicato alle neoimprese italiane che vogliono operare nel Regno Unito), abbia gettato acqua sul fuoco dicendosi convinto che, almeno per il momento, Londra sia ancora un eldorado per le startup, c’è anche chi, come Davide D’Atri, founder di Soundreef, ha già fatto i bagagli. Invitando i suoi colleghi startupper a fare altrettanto perché, con la Gran Bretagna fuori dall’Europa, “non sarà più così semplice fare impresa qui. Almeno per tre motivi: non ci saranno i più i vantaggi assicurati dal libero scambio di merci e servizi; ci saranno problemi di visto; la burocrazia sarà molto più complicata”. E a quanto pare non è l’unico a pensarla così: pochi giorni dopo il referendum l’Irlanda si è già fatta avanti, e il Commissario per le startup di Dublino, Niamh Bushnell, ha diffuso una mail intitolata “Grazie Brexit”, nella quale spiega che, grazie al leave, “abbiamo nuove opportunità per attirare imprenditori più o meno esperti, convincendoli ad aprire nuove attività a Dublino”.
L’Irlanda non è però la sola a gongolare, e anche altre realtà europee si sono fatte avanti per strappare a Londra, complice il panico da Brexit, il titolo di capitale europea delle startup: da Parigi a Berlino, da Amsterdam a Stoccolma, da Lisbona a Milano. Ecco, città per città, che cosa offrono le altre capitali europee agli startupper e perché potrebbero diventare una valida alternativa a Londra.
► PARIGI – La Ville Lumière, nonostante le tensioni che lacerano da anni il tessuto sociale, con le rivolte nelle banlieue ora sopite ma sempre sul punto di esplodere e le continue minacce provenienti dal terrorismo, è una delle possibili candidate. Soprattutto perché Xavier Niel, decimo uomo più ricco di Francia e business angel più importante al mondo nel 2010, ha annunciato l’apertura, entro il 2017, dell’incubatore più grande del pianeta: “Halle aux 1000 start up”. Si tratta di un’ex stazione ferroviaria da 33.700 metri quadrati che, con un investimento da 200 milioni di euro, sta diventando uno spazio per ospitare mille startup con Fab Lab, auditorium e uffici. Parigi però rischia di pagare la strenua difesa della lingua: nell’unico Paese al mondo dove il computer è un ordinateur, il file un fichier e il mouse un souris, non sarebbe facile vivere per gli startupper, per i quali la lingua franca è da sempre l’inglese.
► BERLINO – Da anni la capitale tedesca cerca di strappare a Londra il primato relativo alle startup e tenta di attirare startupper. E grazie anche alle iniziative del sindaco Klaus Wowereit, che ha saputo creare nella sua città un tessuto imprenditoriale giovane e dinamico, da mesi si registra un flusso di sviluppatori di app e di contenuti per il web dalla capitale britannica verso quella tedesca. Che ora, per approfittare della delusione Brexit, cerca di attirare il maggior numero possibile di startup offrendo spazi, “cluster” e incubatori a costo zero. Inoltre, Berlino è una città decisamente più economica di Londra, tanto che secondo Marco Muccini, 40enne founder di Papermine, “con quello che spende a Londra per un mese, uno startupper a Berlino vive per sei mesi, e riesce a portare avanti il suo progetto”. E infatti Muccini è tra coloro che hanno fatto le valigie e si sono trasferiti dal Tamigi alla Sprea per lavorare a Gtech, cluster dell’Issmt che non prende equity e offre sede e logistica per un anno. Perché, sostiene, “anche se la normativa italiana sulle startup è migliore di quella tedesca, qui c’è l’hub più potente d’Europa”. Convinzione condivisa anche dallo Startup Heatmap Europe, che a luglio ha classificato Berlino al primo posto tra le capitale europee in cui è più facile fare crescere la propria startup.
► AMSTERDAM – La capitale olandese non solo è una città da sempre aperta all’innovazione, ma è anche – di fatto – anglofona. E grazie a università, centri di formazione d’eccellenza e, soprattutto, al lavoro di due acceleratori di successo (Rockstar e Startupbootcamp) è già da tempo una startupcity. Tanto da aver ottenuto da parte della Commissione Europea il riconoscimento come Europen Capital of Innovation 2016. Il Paese dei tulipani e dei mulini a vento, però, rischia di fare la fine della Gran Bretagna: la spinta separatista è sempre più forte, e dopo la Brexit il desiderio di una NLexit è aumentato.
► STOCCOLMA – La capitale svedese, che già da anni viene indicata come una delle città più tech del mondo e tra le più mature in termini di ICT, vanta storie esemplari di ricerca scientifica e d’impresa. E la regione scandinava (Norvegia, Svezia e Finlandia) registra una percentuale di successo delle startup molto più altro rispetto ad altri Paesi, soprattutto grazie alla capacità di attrarre capitali: nel 2015, secondo la Startup Europe Partnership, le scaleup scandinave hanno raccolto 6,5 miliardi di dollari (in gran parte, l’84%, da fondi VC), lo 0,5% del Pil (contro lo 0,42% britannico). Il governo, inoltre, ha lanciato da diversi anni una programmazione di investimenti nel digitale e nelle nuove tecnologie con l’obiettivo di fare del Paese un banco di prova dell’innovazione. Ma va anche detto che le politiche a favore delle startup non sono poi così generose, tanto che i fondatori di Spotify hanno pubblicato una lettera aperta sollecitando le startup ad alzare i toni della protesta per chiedere al governo policy migliori. Altro problema è che Stoccolma è una città decisamente periferica rispetto all’Europa. Ed è decisamente un posto molto freddo.
► DUBLINO – La capitale irlandese, prima a gioire per la Brexit intravedendo la possibilità di prendere il posto di Londra come hub europeo delle startup, è già da anni la sede europea (per questioni fiscali e normative) di giganti della Silicon Valley quali Google, Facebook, Apple, Intel, LinkedIn e Dell. E se un Paese fa gola a colossi di questo calibro, è logico pensare che anche le startup possano avere vita facile. Infatti l’Irlanda è stato il primo Paese europeo ad adottare la Startup Visa, richiede solo quattro operazioni burocratiche per l’avvio di un’attività e ha il regime fiscale più basso d’Europa per le società (con addirittura esenzione totale il primo anno, estendibile a tre anni se si assumono dipendenti).
► LISBONA – Dimenticato in un angolo d’Europa, prima con la fine degli imperi coloniali e poi con l’inserimento tra i “pigs” (i Paesi europei economicamente disastrati: Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna), il Portogallo sta vivendo il proprio rinascimento proprio grazie all’innovazione e alle startup. Da quando il Web Summit (il più importante evento tecnologico al mondo) è stato trasferito da Dublino a Lisbona, nella città lusitana l’ecosistema delle startup è in forte espansione. La capitale portoghese, del resto, aveva già ricevuto nel 2015 il titolo di “European entrepreneurial region” dal Comitato delle regioni europeo, mentre la Startup Europe Partnership ha confermato che il mercato portoghese, pur essendo ancora molto giovane, sta crescendo molto velocemente. Anche grazie agli interventi governativi: il programma “Empresa na Hora” consente ad esempio di costituire un’azienda compilando un unico modulo, e per tre anni si ottiene l’esenzione dalle tasse. E la vita è decisamente molto meno cara rispetto a Londra.
► MILANO – Tra le città candidate a strappare a Londra il titolo di capitale delle startup c’è anche Milano, la cui credibilità è decollata con Expo. E il neosindaco Beppe Sala, dopo il referendum sulla Brexit, non ha perso tempo per proporre il capoluogo meneghino quale nuovo hub europeo per la finanza e per le startup: “#Brexit è una cattiva notizia per #UE ma forse una opportunità per Milano che potrebbe accogliere le realtà economiche in fuga da Londra”, ha twittato il 24 giugno, poche ore dopo la vittoria del leave. Con la proposta di fare dell’area ex-Expo una “zona franca fiscale per le imprese che vi si insedieranno”. Senza contare che Milano è già la capitale della moda e dell’economia italiane. A frenare la città lombarda è però la scarsa attrattività del contesto nazionale: nel primo semestre 2016 l’Italia ha investito in startup 33 volte meno della Gran Bretagna (72 milioni di euro contro 2,4 miliardi). E c’è sempre il problema della corruzione e della burocrazia, che rischiano di far slittare Milano in coda alle altre città candidate.