Nei giorni scorsi il Gruppo a cui appartengo – Zucchetti – ha lanciato un concorso interno dal titolo “Cosa rappresenta per te l’innovazione”, una domanda aperta cui spesso non osiamo rispondere esplicitamente pur facendone esperienza diretta e quotidiana, ed io in prima persona, partecipando ogni settimana a numerosi eventi, workshop e talk show cui vengo invitata per affrontare questo affascinante tema.
Ho iniziato così a riflettere attentamente sulle varie interpretazioni (ed implicazioni) della parola “innovazione” che richiama un insieme di fenomeni tecnici e tecnologici, pur non prestando un’attenzione particolare alla dimensione sociale che però viene continuamente evocata. In primo luogo ho scoperto quanto scarsa sia in Italia e nel mondo, la letteratura e la ricerca sulla presenza delle donne nei settori innovativi.
Un rapporto CNEL del 1993, interrogandosi sull’evoluzione dell’organizzazione del lavoro e dei percorsi professionali emergenti per le donne, concludeva che “nel settore innovativo le donne erano sottorappresentate, sia numericamente, sia nei livelli di responsabilità e di potere”. Si registrava comunque già allora un trend di crescita della presenza femminile legato a diversi fattori, quali l’evoluzione dei percorsi formativi, lo sviluppo in azienda delle dimensioni di servizio (come il servizio ai clienti) e altri.
Dieci anni dopo (nel 2004) sempre il CNEL fotografava nuovamente il rapporto tra donne, occupazione e nuove tecnologie, nella ricerca intitolata “La trasformazione silenziosa”, che mostra uno scenario mutato con una “polarizzazione” che ha caratterizzato l’impiego femminile con molte donne che sono “scivolate verso il basso” con nuovi posti nel terziario più dequalificato in una posizione di svantaggio sia professionale che salariale, e poche rimaste nella “parte alta della clessidra”, che hanno guadagnato in conoscenza e in posizione professionale. Secondo questo rapporto la questione ha radici più profonde e riguarda il rapporto tra qualificazione e dequalificazione del lavoro all’interno degli stessi settori innovativi: una “polarizzazione” tra aree di lavoratori attivi al cambiamento, dotati di un saper fare innovativo, ed aree di lavoratori che subiscono il cambiamento e se ne difendono “sviluppando una sorta di adattabilità/flessibilità passiva”.
In questo particolare contesto, le donne secondo la ricerca del CNEL, “si muovono con una spiccata capacità di guardare avanti, si orientano positivamente dentro i processi di programmazione, con una attitudine a tenere “il filo di cose” contemporaneamente (con la mentalità maschile del fare una cosa dopo l’altra) e con una grande propensione a lavorare in rete ed a costruire relazioni. Quanto al tema del come garantire alle donne l’accesso alle carriere sino alla top leadership, considerata la scarsa propensione alla competizione delle donne, ci si chiede se invece non debba essere valorizzata la loro maggiore disponibilità, capacità a costruire relazioni, a lavorare secondo metodologie di rete, a favorire gli scambi, a promuovere gruppo.
Siamo di fronte all’affermazione di valori diversi da quelli correnti e dominanti: il lavoro non come esclusivo elemento di caratterizzazione e riempimento della propria vita, ma parte di un progetto di vita più ampio; il rifiuto di un’etica tutta fondata sull’idea del denaro e del potere come segnale di successo. In questo le donne possono scegliere se innervarsi nell’organizzazione del lavoro secondo un modello aperto a rete, oppure con la riaffermazione di un modello gerarchico, che sconta forti resistenze e pregiudizi da parte di un mercato del lavoro ancora manifestamente maschilista. Tuttavia la ricerca conclude riconoscendo la spinta propulsiva della soggettività femminile nel percorso di avvicinamento alla ICT.
Nel 2015, inoltre, è stata pubblicata l’indagine europea Cepis e-Competence Benchmark, secondo cui solo il 15% dei professionisti ICT è di sesso femminile e solo il 16% dei professionisti coinvolti nell’indagine ha un’età inferiore ai 30. Un quadro ancor più grave, se analizzato per singole nazioni, visto che, in Italia, le donne rappresentano solo l’11% dei professionisti ICT e solo l’11,6% dei lavoratori under 30.
Nell’area dell’imprenditoria emerge che l’attenzione è maggiormente rivolta all’imprenditoria femminile in genere, ma è poco focalizzata la situazione delle aziende ICT fondate/gestite da donne.
Questo, unitamente al fatto che le donne sembrano rappresentate nel settore ICT in misura minore che in altri campi, invita ad una maggiore attenzione. Individuare e rielaborare modelli di successo femminile potrebbe per esempio aiutare a coglierne i caratteri specifici, per favorire l’ingresso nel mondo dell’impresa di nuove giovani imprenditrici.
Infine le donne sono entrate in modo strutturale e con competenza nel mercato del lavoro in generale e in quello dell’ICT. E che le caratteristiche che le donne, almeno in questa fase storica, hanno saputo meglio esprimere in termini di capacità di lavoro di gruppo, di relazione, di valutazione del contesto e di mediazione, sono le capacità e le caratteristiche che più si coniugano e si sposano con la tecnologia dell’ICT.
Sul rapporto tra Donne e ICT, forse, come scriveva il poeta greco Kavafis, “c’è da augurarsi che la strada sia lunga”.