INNOVAZIONE & POLITICA

DdL concorrenza, le startup secondo il Governo: pochi incentivi e nuovi ostacoli



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Il Consiglio dei Ministri approva l’obbligo del capitale sociale a 20mila euro entro due anni dalla costituzione per poter essere startup innovativa. Il disappunto e la preoccupazione dell’ecosistema: “Un’occasione persa per una revisione organica dello Startup Act”. Il Mimit non ha tenuto conto delle proposte delle associazioni del settore

Pubblicato il 26 lug 2024




C’è insoddisfazione, disappunto e anche rabbia nell’ecosistema delle startup dopo l’approvazione in Consiglio dei Ministri del DDL Concorrenza proposto dal ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, che contiene quello che avrebbe dovuto essere lo StartupAct 2.0, un adeguamento al quadro normativo definito nel 2012 con la creazione della figura giuridica startup innovativa, e invece è un intervento disorganico con l’unico obiettivo di ridurre la platea delle startup innovative e, di conseguenza, dei costi derivati dai benefici a loro riservati (nella relazione tecnica dello stesso Mimit si prevede un taglio del 70% delle startup con un risparmio di circa 10 milioni).

Rispetto a quando previsto nella bozza (leggi qui), è stata fatta qualche modifica ma le misure non rappresentano una visione organica del sistema delle nuove imprese e soprattutto introducono, insieme con qualche piccolo misura positiva per l’ecosistema, nuove complessità per chi decide di fare impresa in Italia.

“Purtroppo si è persa l’occasione per una revisione complessiva della normativa”, è la prima reazione di delusione di Cristina Angelillo, presidente di InnovUp. “Non è stata riservata al settore la giusta attenzione e sembra che la filiera italiana dell’innovazione, fondamentale per lo sviluppo e la sostenibilità futura del Paese sia considerata ancora marginale e relegata a poche misure”.

Delusione trapela anche dal comunicato diffuso da Italian Tech Alliance: “La montagna ha per ora partorito il topolino”, dice il direttore generale Francesco Cerruti, “direttore generale di Italian Tech Alliance. “Abbiamo lavorato assieme a tanti altri soggetti per proporre non un libro dei sogni, ma un set di proposte che siamo convinti possano permettere all’Italia il salto di qualità che merita in questo ambito”.

Capitale sociale a 20mila euro entro i primi due anni

Il punto più controverso del disegno di legge è stato leggermente modificato: per essere riconosciuta come startup innovativa, la società dovrà avere un capitale sociale di 20mila euro entro due anni dall’iscrizione al Registro. Non più, quindi, in fase di costituzione, come scritto nella bozza. E stato, però, aggiunto un altro requisito: avere almeno un dipendente.

“Non si comprende la ratio della scelta, che in alcun modo è riconducibile al concetto di startup riconosciuto a livello internazionale o a criteri volti a valorizzare l’innovatività di una nuova impresa”, si legge in una nota diffusa da InnovUp che aveva presentato al Mimit un Manifesto in dieci punti per rendere l’Italia una Startup Nation in cui erano presenti una serie di proposte strategiche per arrivare a uno Startup Act 2.0.

Nel DDL approvato di strategico c’è poco. “Sembra che, in contrapposizione con lo spirito del Disegno di Legge, invece di favorire la concorrenza si inseriscano lacci e laccioli volti a limitare ulteriormente l’attività di impresa – soprattutto innovativa nel nostro Paese”, aggiunge la Angelillo.

Tra i settori strategici costruzioni ed estrazione di di minerali

Come già si leggeva nella bozza, il Governo ha intenzione di riservare un trattamento di favore alle startup che operano in settori strategici, allungando la permanenza nel registro da 60 mesi fino a 84. Ma quali sono questi settori innovativi? A quelli individuati da un precedente decreto ne sono stati aggiunti altri come le costruzioni e l’estrazione di minerali da cave e miniere.

Non è dato sapere qual è la relazione tra questi settori e le attività di innovazione delle startup, ma forse sarà spiegato nel corso del dibattito parlamentare.

Le misure positive del DDL concorrenza

Qualcosa di buono c’è nel DDL concorrenza per l’ecosistema dell’innovazione: la revisione della tassonomia degli incubatori con l’introduzione di alcuni benefici fiscali e la promozione degli investimenti in venture capital da parte di investitori privati e istituzionali.

Per gli incubatoti si punta ad ampliare la platea dei soggetti che possono ottenere la certificazione: le startup non devono più essere “ospitate” ma possono essere solamente “supportate”, così come il personale. Inoltre, a partire dal 2025 vengono estese le deduzioni Ires agli incubatori certificati, come già previsto per le società che investono in startup, con una soglia di 1,8 milioni.

Il DDL, poi, prevede che il 2% dell’attivo patrimoniale di fondi previdenziali e casse professionali “deve essere investito in fondi di venture capital”. Sarebbe una vera rivoluzione per gli investimenti sulle startup ma bisognerà vedere come sarà interpretata la norma.

I prossimi passi: sarà battaglia o confronto?

La delusione e la preoccupazione delle associazioni rappresentative dell’ecosistema è direttamente proporzionale all’impegno profuso nei mesi scorsi per contribuire alla revisione dello Startup Act. Il disappunto è particolarmente evidente: perché il Mimit ha sollecitato raccolto suggerimenti e proposte e poi ha fatto altro o il contrario?

Adesso, però, è il momento di cercare di sbrogliare il bandolo della matassa. InnovUp auspica “che possa proseguire il dialogo con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy e si possano rettificare alcune scelte n nell’ambito dell’iter legislativo del DDL”. Italian Tech Alliance annuncia che nei prossimi mesi si adopererà perché ci possano essere “ulteriori interventi per rendere l’ecosistema normativo che regola la materia effettivamente incisivo”.

Certamente ci saranno molti emendamenti, provenienti anche dalle fila della maggioranza. Bisognerà vedere se e quanto il Governo “blinderà” il DDL (e non certo per le startup ma per altri temi delicati che tocca, come le concessioni autostradali) e se vorrà dare qualche segnale di una maggiore investimento politico su un settore, quello delle startup, che crea quasi il 70% dei nuovi posti di lavoro (per la precisione, il 6/ nel 2022 secondo dati CERVED).


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