Un libro di racconti sull’imprenditoria, un cd di musica classico-sperimentale, un volume di fotografie sul disagio minorile, un cartoncino pop up, il tutto racchiuso in un sacchetto costellato di immagini di gufetti colorati: così si presenta un investitore. Non un investitore qualsiasi, ma Luca Rancilio, co-fondatore di Rancilio Cube, family office e business accelerator della famiglia Rancilio a Milano. Tutto quello che è contenuto nel sacchetto, e il sacchetto stesso, che Luca mi consegna all’inizio dell’intervista, sono il frutto diretto o indiretto degli investimenti di Rancilio Cube. Quasi a voler dare prova tangibile del suo spirito eclettico e della sua visione alternativa. Ma il family office ha anche altre partecipazioni in diverse società nazionali e internazionali, tra cui Lyft, concorrente di Uber.
Il filo conduttore di investimenti così multiformi? Apparentemente non si vede. In realtà un filo c’è, anzi più di uno. “Non investiamo pensando solo al vantaggio economico – dice – ma valutiamo il ritorno di tipo culturale e l’impatto che le aziende possono avere sulla società; scegliamo quegli imprenditori che hanno ‘l’occhio della tigre’, ovvero una visione chiara, apprezzabile e con valori di base che lo porteranno a intraprendere un percorso imprenditoriale di medio termine; riteniamo determinante il fattore umano e crediamo in chi mette al centro la passione per quello che fa e il desiderio di raggiungere un risultato”. Passione che contraddistingue anche il team del family office, variegato e decisamente originale: nessun avvocato o commercialista, precisa Luca, (“ne è piena Milano, eppure nessuno ha mai cambiato le sorti di un’azienda”) ma, oltre a lui e alla sorella Silvia, “una storyteller, Sabrina, un architetto, Maurizio, e una millennial, Federica”. Team che si riunisce…in parrocchia. La sede è una “room” presso la Parrocchia San Francesco di Paola in via Montenapoleone.
Un basso profilo per il rampollo di una grande famiglia imprenditoriale. Il nonno di Luca, Roberto Rancilio, nel 1927 ha fondato le Officine Meccaniche RR a Parabiago (Milano) e prodotto la sua prima macchina per caffè, La Regina. L’azienda è cresciuta fino a diventare la Rancilio, un’importante realtà a livello internazionale nella produzione di macchine professionali per il caffè espresso. Nel 2007 la società ha aperto a un fondo di private equity, Alto Partners, che ha ottenuto una quota di minoranza. Nel 2008 ha acquisito Egro, compagnia svizzera di macchine per espresso totalmente automatiche. Nel 2013 la famiglia ha deciso di mettere in vendita la società, che è stata acquisita ad ottobre di quell’anno da Ali Group, un colosso nel settore della ristorazione professionale, per un importo finanziario che non è stato reso noto. Rancilio aveva chiuso il 2012 con un fatturato di 58,5 milioni di euro e un Ebitda di 8,8 milioni.
In seguito alla exit Luca e Silvia, nipoti del fondatore, hanno scelto di incanalare i propri sforzi e le proprie competenze negli investimenti su altre aziende, creando il family office e business incubator Rancilio Cube.
La vendita della società, sottolinea Luca, non è dovuta a una sofferenza del business (come ipotizzato all’epoca da qualcuno): le ragioni sono state altre. “Non sono mai stato un uomo di prodotto – afferma – e non ho mai avuto un’unica passione. La definizione accademica di come deve essere un’impresa non mi ha mai appassionato. Uscendo da Rancilio, dopo 30 anni di lavoro, volevo fare altro. Così ho avviato un business più orizzontale che verticale, scegliendo di non essere lead investor e dando vita a un portafoglio di investimenti in società italiane e straniere”.
Ed ecco il portafoglio: una quarantina di investimenti per un totale di circa 4 milioni di euro investiti. Uno dei focus di Rancilio Cube sono gli investimenti a impatto sociale, di cui l’investitore si definisce “pioniere in Italia”. “Quando parliamo di impatto sociale – specifica – non pensiamo assolutamente alla beneficenza. Si tratta di realtà imprenditoriali in grado di avere ripercussioni positive sulla società, ma che ovviamente generano ricavi, come è normale per qualsiasi tipo di impresa”. Prodigy Finance è una di queste: una società basata a Londra e Cape Town (Sudafrica) che fornisce prestiti per pagare le tasse scolastiche agli studenti postgraduate più meritevoli che altrimenti non avrebbero le credenziali per ottenere analoghi prestiti dalle banche. Un altro investimento a impatto sociale di Rancilio Cube è in Treedom, sito che consente a persone o aziende di adottare un albero e seguirne l’evoluzione, utilizzato anche dalle grandi aziende per le loro attività di corporate responsability. Sempre in questo ambito Rancilio Cube ha investito, tra gli altri, in CharityStars, piattaforma made in Italy (ma con sede a Londra) dedicata alle aste di beneficenza online, e in Jobmetoo, sito di recruiting con offerte di lavoro per persone con disabilità.
Come angel investor, Rancilio Cube ha investito, tra le varie società, in Soundreef, startup impegnata nell’intermediazione dei diritti d’autore in campo musicale, in Supermercato24, startup veronese che consegna la spesa a domicilio in poche ore, e in Mosaicoon, scaleup siciliana che offre un video community marketplace per la realizzazione integrata di campagne video online. Uno degli investimenti più recenti è in Mamma M’Ama, startup che produce e vende pappe fresche, bio, artigianali e Made in Italy per lo svezzamento dai 4 ai 36 mesi. Rancilio Cube ha investito insieme a un gruppo piuttosto numeroso di investitori e business angel che tutti insieme sono arrivati a versare 370mila euro. “Mi ha convinto il team – spiega l’investitore – e io stesso ho provato le pappe e le ho fatte provare a mia figlia Paloma. Mi convinceva il fatto che il prodotto fosse a metà strada tra il freschissimo e la multinazionale: una sfida interessante”.
Più volte il family office ha effettuato investimenti a fianco di alcune tra le più conosciute società di venture capital italiane quali Innogest, 360Capital, SharkBites (la holding italiana specializzata in investimenti seed ed early stage nata a seguito della trasmissione televisiva “Shark Tank” andata in onda su Italia1), U-Start, SiamoSoci.
Il nome internazionale più noto del portafoglio di RancilioCube, la statunitense Lyft, è frutto di un co-investimento con Credit Suisse. La company, che ha sede a San Francisco, in California, ed è stata fondata nel luglio 2012 da Logan Green e John Zimmer, fornisce un’applicazione per telefoni cellulari che facilita la condivisione di autovetture da pari a pari collegando le persone che hanno bisogno di un passaggio in auto con i guidatori proprietari di un’auto. “Lyft ogni anno registra perdite pari a quello che guadagna, eppure è valutata 7,5 miliardi di dollari” ricorda Rancilio, che non intende svelare la sua quota di partecipazione nella rivale di Uber.
Dai passaggi in auto alle agendine: l’anno scorso Alto Partners e Rancilio Cube hanno co-investito 7 milioni
di euro in R&D srl, società produttrice di agende, calendari, accessori di cancelleria e hi-tech e proprietaria del brand Legami. Per non parlare di singoli libri o cd finanziati da Rancilio Cube, come quello dell’amico Piero Salvatori, un violoncellista che ha iniziato con la classica, ha frequentato il pop e il jazz e ora ha registrato con Sony Records un album dove confluiscono le varie musicalità. “Facciamo questi investimenti perché a nostro parere il lavoro di un artista o una piattaforma di libri sono progetti in grado di creare valore nel tempo” afferma Luca Rancilio.
Oltre alla varietà delle di società sulle quali ha investito, Rancilio Cube si caratterizza per il numero mediamente elevato degli investimenti effettuati nel corso dei suoi pochi anni di vita, anche se naturalmente sono investimenti di dimensioni limitate perché il family office non è mai lead investor. Il panorama dell’investimento in capitale di rischio in Italia è notoriamente asfittico: poco denaro in circolazione e pochi player. Un (relativamente) nuovo player è sempre qualcosa che suscita curiosità. Perché – chiediamo a Rancilio – darsi a questa attività proprio ora e proprio in Italia? “In realtà – specifica – io non ho un focus italiano ma guardo al panorama internazionale. Personalmente sono contento che da noi ci siano poche realtà che fanno investimenti e venture capital, così le idee migliori arrivano a me. Battute a parte, mi chiedo: è il Paese che è arretrato su questo fronte o sono gli investitori che non hanno capito? Alla base dell’impresa ci deve essere la cultura, l’impresa stessa ha una sua cultura. In Italia c’è poca cultura finanziaria. Ancora si pensa che i capitali finanziari debbano arrivare dalle banche, ancora non è caduto il muro tra il mondo del risparmio e quello delle imprese di nuova generazione”.
Come sta andando Rancilio Cube? “Su una quarantina di investimenti metà ha raggiunto il break even. C’è anche capitato di sbagliare, non lo nego, ma sbagliare è normale. Anzi, come insegnano gli americani, il fallimento è un’opportunità per fare meglio al turno successivo. Noi siamo investitori pazienti. Le persone che si sono scottate con la finanza pensano che il venture capital debba portare ritorni immediati, ma non è così. Del resto siamo investitori di minoranza, non ci interessa fare subito la exit. Al pitch non voglio sapere l’exit, ma la ‘non-exit’, ovvero tutti i motivi per cui in una impresa è bellissimo restare”.
In realtà una exit c’è già stata nel 2014, quella di First Data, fornitrice di servizi di commercio elettronico e processi di pagamento per istituzioni finanziarie, governi e merchants in un centinaio di mercati nel mondo. E a brevissimo dovrebbe chiudersene un’altra.
Ma come fanno le startup che cercano di finanziamenti a interagire con Rancilio Cube? “Vanno sul nostro sito e ci contattano” è la semplice risposta. Poi la proposta passerà al vaglio del team molto poco convenzionale messo in piedi da Luca, che “valuterà le persone prima delle metriche”. Più un piccolo trucco personale: Luca chiede sempre a Federica, la “millennial” che fa parte del team (detta anche “Siri” perché “sa sempre tutto”), se secondo lei il prodotto proposto dalla startup è utile. Molto dipende dalla sua risposta: è giovane, si presume che sappia cosa vogliono o non vogliono i giovani. “È una grande responsabilità” risponde lei con un sorriso. Ma lo è sempre, a qualsiasi età.