Un anno di pratiche per ottenere 2,5 milioni di euro da una banca attraverso il Fondo di Garanzia e ancora non è finita: è successo a D-Orbit, startup italiana altamente innovativa, ribattezzata “lo spazzino dello spazio” e “coccolata” dalla Nasa, che ha già ottenuto finanziamenti da fondi e investitori privati per 2,2 milioni di euro e ha il sostegno delle agenzie spaziali di tutto il mondo, ma è stata bloccata dalla burocrazia italica. Prima perché il nostro Paese non ha ancora recepito un regolamento comunitario, poi perché manca il certificato antimafia. “Ma per una startup innovativa, che deve correre per crescere, i tempi lunghi della burocrazia sono ancora più micidiali che per altre aziende” dice a EconomyUp Melania Caccavo, public relations di D-Orbit.
Fondata a Milano nel 2011 da Luca Rossettini e Renato Panesi, la società lavora sui detriti spaziali, rimuovendoli in modo sicuro e controllato a fine vita attraverso un dispositivo di decommissioning installato a bordo dei satelliti prima del lancio in orbita. L’obiettivo è evitare che i satelliti non più attivi vaghino nello spazio senza meta. I founder di D-Orbit, però, continuano a vagare in questi giorni da un ufficio all’altro. Motivo: ottenere un finanziamento attraverso il Fondo di Garanzia, come ha raccontato oggi il Corriere della Sera.
Il Fondo Centrale di Garanzia per le Pmi è uno strumento istituito con la legge numero 662 del 1996, operativo dal 2000 e da giugno 2013 destinato anche alle startup innovative e agli incubatori certificati. Scopo del fondo è consentire alle startup di usufruire di una garanzia statale in grado di aumentare la possibilità di ottenere dalle banche il credito necessario per la propria impresa. D-Orbit aveva pensato di chiedere un finanziamento di 2,5 milioni di euro a Unicredit attraverso il supporto del Fondo, che è gestito dal Mediocredito Centrale.
La pratica con UniCredit è iniziata a luglio 2014. In una prima fase c’è stata l’istruttoria da parte della banca, poi la banca si è interfacciata con il Mediocredito. Il problema è che a dicembre 2014 è scaduto un regolamento sulla base del quale i soci di D-Orbit avevano presentato la loro richiesta di finanziamento. “Nonostante il grande aiuto da parte di Unicredit — ha detto Rossettini a Corsera — il finanziamento, deliberato nel totale del suo importo dalla banca, è stato bloccato all’inizio dell’anno per il mancato recepimento da parte del nostro Paese di una vigente regolamentazione europea (la numero 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, ndr)”.
Per aggirare l’ostacolo, il team di D-Orbit ha modificato la pratica e l’ha ripresentata. A marzo è ripartito l’iter e Unicredit ha rispedito il fascicolo al Mediocredito. Ma qui è arrivato lo stop dell’Antimafia, perché sopra una certa soglia di contributi pubblici erogati le prefetture sono chiamate a fare controlli sui gestori della società e sui familiari. Controlli che prendono tempo. Però una startup di tempo non ne ha molto a disposizione. “È stata una pratica sfortunata fin dall’inizio” commenta Melania Caccavo.
Peccato perché D-Orbit è considerato un gioiello dell’innovazione Made in Italy. Il suo founder Renato Panesi ha origini toscane, 39 anni, e dopo una laurea e un dottorato in ingegneria aerospaziale all’Università di Pisa e un’esperienza pluriennale di ricerca e sviluppo nel gruppo Finmeccanica, nel 2009 ha vinto una borsa di studio Fulbright per seguire un programma di Technology Entrepreneurship in Silicon Valley. Proprio lì ha incontrato Luca Rossettini, il vero ideatore del progetto di D-Orbit e attuale amministratore delegato della società. Veneto, 39 anni, laurea e dottorato in ingegneria aerospaziale conseguiti al Politecnico di Milano, Rossettini è un appassionato di sistemi a razzo e un esperto di sostenibilità, già ideatore di una startup attiva nel campo dei filmati slow motion e co-founder di The Natural Step Italia, azienda a sfondo green.
In Silicon Valley D-Orbit diventa un vero e proprio progetto di business: “Oltre a un’internship presso il centro ricerche NASA Ames, abbiamo seguito corsi su business planning, development, pitching. Siamo tornati in Italia pronti per trasformare l’idea di Luca in una startup”. D-Orbit viene fondata il 7 marzo 2011 a Milano grazie a un primo investimento di 300mila euro da parte di Quadrivio Capital Sgr. “Il nome deriva da quella che è la mission della startup: deorbitare i satelliti. Inoltre è il nome che abbiamo dato alla targa della macchina che io e Luca abbiamo preso in California, dove è possibile personalizzare il nome delle targhe. La conserviamo ancora nel nostro ufficio” racconta Panesi. Ai due co-founder si uniscono poi Thomas Panozzo, program director presso il consorzio europeo Arianespace, e Giuseppe Tussiwand, progettista di sistemi di propulsione a razzo.
Dopo una prima sede a Sesto Fiorentino, presso l’Incubatore IUF (attuale sede amministrativa), oggi la startup, che conta ormai 18 persone, ha sede legale a Milano e sede produttiva a Lomazzo nel Parco Scientifico Tecnologico ComoNext. L’idea imprenditoriale non passa inosservata nell’ecosistema: D-Orbit ottiene riconoscimenti (da Mind The Bridge a Talento delle Idee, da Rice Business Plan Competition a Boston MassChallenge) e il sostegno delle Agenzie Spaziali di tutto il mondo. E nella comunità italiana del capitale di rischio non mancano investitori disposti a finanziare il progetto: alla fine del 2014 raccoglie un investimento di 2,2 milioni di euro da parte del fondo TTVenture di Quadrivio Capital Sgr (1,95 milioni) e Como Venture (250mila euro). “Gli investimenti ottenuti ci hanno permesso di realizzare il prototipo, iniziare i primi esperimenti in orbita, aprire una sussidiaria portoghese e una in California. Il prossimo obiettivo sono gli Usa. Insomma, siamo una startup multinazionale, con sedi oltreconfine” ironizza l’imprenditore.
Del resto D-Orbit si inserisce in un’industria, quella satellitare, che ha un giro d’affari di circa 200 miliardi di dollari l’anno, cifra che fa gola a molti. “Per realizzare completamente il progetto e lanciare nel 2016 un satellite su cui sarà installato il dispositivo di decommissioning, abbiamo bisogno di qualche altro milione di euro. Il mercato potenziale nella prima fase di go-to-market, infatti, ammonta a 2,1 miliardi di dollari per il solo prodotto da installare su satelliti prima del lancio. Oltre agli investitori istituzionali, ci piacerebbe avviare una campagna di crowdfunding: Expo potrebbe essere l’occasione giusta per farci conoscere anche dalla gente comune”. Nel frattempo si attendono anche i soldi di Unicredit, quando arriveranno.