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Crowdfunding, che cos’è e come funziona: una guida per trovare soldi online e finanziare un’impresa

Chi ha un progetto imprenditoriale può reperire fondi dalla raccolta collettiva online secondo varie modalità: reward-based (soldi in cambio di omaggi), equity (denaro in cambio di quote societarie), lending (prestiti peer to peer). Ecco le differenze tra le varie tipologie, i dettagli su come investire e una breve storia

Pubblicato il 27 Set 2017

crowdfunding

Un tempo per finanziare la propria idea, iniziativa o impresa ci si doveva recare presso uno sportello bancario o bussare alla porta di investitori privati, ma da qualche anno c’è un’ulteriore, possibile soluzione: è il crowdfunding, letteralmente “finanziamento della folla”. In pratica i fondi per un progetto possono essere accumulati attraverso una raccolta di denaro collettiva che avviene online mediante piattaforme abilitate. Ciascuno mette la sua parte, nella quantità e attraverso la modalità che preferisce, in prospettiva di un ritorno economico o quanto meno di un feedback da parte di chi ha lanciato la raccolta.

BREVE STORIA DEL CROWDFUNDING

Il crowdfunding affonda le sue radici nell’Irlanda del Settecento e ha per padre l’autore de “I viaggi di Gulliver”, Jonathan Swift (1667 –1745). Lo scrittore originario di Dublino dette vita all’Irish Loan Funds, una delle primissime forme di microcredito: concedeva piccole somme di denaro a privati, in particolare a famiglie di contadini prive di garanzie, richiedendo la restituzione settimanale in piccolissime rate senza interesse. Per ovviare all’eventualità di mancati pagamenti, chi chiedeva il prestito doveva portare a garanzia altre due persone, che ricevevano una notifica se il loro conoscente non provvedeva ad appianare il debito. In caso di morosità prolungata, tutti e tre venivano convocati in tribunale.

Jonathan Swift
Un’ulteriore testimonianza di raccolta fondi attraverso il finanziamento collettivo risale a fine Ottocento: nel 1884 i francesi inviarono negli Stati Uniti la Statua della Libertà, fatta costruire a ricordo della dichiarazione di indipendenza del 1776. Arrivò l’anno dopo, ma l’American Commettee aveva stanziato soltanto una parte dei fondi necessari per costruire il piedistallo, perciò i lavori non poterono iniziare. Le prime raccolte di danaro pubblico iniziarono nel 1882 ma i fondi continuavano a scarseggiare finché l’editore Joseph Pulitzer, che all’epoca pubblicava The World,  giornale di New York, annunciò l’intenzione di raccogliere 100.000 dollari, assicurando che avrebbe stampato sul giornale il nome di chiunque avesse donato fondi. Dopo 5 mesi la raccolta raggiunse la somma record di 102.000 dollari, versati da 120.000 donatori diversi. La statua venne inaugurata nel 1886. Nella storia della raccolta fondi “dal basso” merita un posto d’onore Muhammad Yunus, economista del Bangladesh vincitore del Premio Nobel per l’economia. Nel 1976 Yunus fondò la cosiddetta “prima banca dei poveri”, la Grameen Bank, che concedeva micro-prestiti alle popolazioni povere locali senza richiedere garanzie collaterali e garantendo così l’accesso al credito anche di chi in altri modi ne sarebbe stato escluso.

Muhammad Yunus
Per arrivare al crowdfunding di cui si parla oggi, però, bisogna aspettare il 2006, quando Michael Sullivan inventò fundavlog, un tentativo (poi fallito) di creare un incubatore per progetti ed eventi in qualche modo legati ai videoblog, che includeva una semplice funzionalità per effettuare donazioni online. Questo schema era “basato su reciprocità, trasparenza, interessi condivisi e soprattutto finanziamento da parte della folla online”. Il 12 agosto di quell’anno Sullivan scrisse un post nel quale individuava il termine “crowdfunding” come il più adatto a definire quella specifica modalità di finanziamento. La parola è poi diventata globale con il lancio, tre anni dopo, della piattaforma Kickstarter, società statunitense che effettua un particolare tipo di di crowdfunding, il reward-based. Dagli Stati Uniti il fenomeno è dilagato in altre parti del mondo e anche in Italia, grazie allo sviluppo del social web (e della conseguente “cultura della condivisione”) e al progressivo riconoscimento legislativo che sta facendo emergere un’attività fino a poco tempo fa sommersa e limitata a una ristretta schiera di adepti. Tuttavia il crowdfunding all’italiana non sta riscuotendo il successo che ha nei Paesi anglosassoni. Uno dei motivi è che in quelle nazioni c’è una consuetudine alle donazioni no profit e alla compartecipazione al finanziamento di progetti benefici, sociali e civici che da noi è meno diffusa, o lo è solo in specifici ambiti quali le comunità ecclesiastiche o le iniziative caritatevoli.

LE TIPOLOGIE DI CROWDFUNDING

Il mondo del crowdfunding è vasto e variegato: si va dal crowdfunding reward-based all’equity al lending. Termini che possono risultare di difficile comprensione per i non addetti ai lavori e che riguardano modalità di finanziamento molto diverse tra loro. Vediamole insieme.

1. DONATION CROWDFUNDING – Consiste nell’effettuare donazioni (generalmente a enti e organizzazioni del settore non-profit) per sostenere cause sociali o attività benefiche. In questo caso il donatore non ottiene nessun tipo di ritorno economico, se non la soddisfazione di aver fatto un piccolo gesto per una giusta causa. Un esempio di una piattaforma di donation crowdfunding italiana è Retedeldono.

2. REWARD-BASED CROWDFUNDING – Consiste nel finanziare un progetto di vario tipo – cinematografico, musicale, artistico, imprenditoriale ecc. ecc. – ricevendo in cambio una ricompensa non in denaro: da un’offerta promozionale sul prodotto che si sta finanziando all’autografo dell’ideatore dell’iniziativa. Una delle piattaforme più note del settore è Kickstarter lanciata il 28 aprile 2009 da Perry Chen, Yancey Strickler e Charles Adle. Da giugno 2015 è operativa anche in Italia.

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3. EQUITY CROWDFUNDING – È uno strumento di finanziamento nato per le startup – poi esteso anche alle pmi innovative e infine a tutte le piccole e medie imprese – normato in Italia nel 2013 (il nostro Paese è stato il primo in Europa) che prevede finanziamenti in cambio di quote societarie: l’investitore ottiene una quota di partecipazione nell’impresa diventandone socio a tutti gli effetti. Decollato con difficoltà, negli ultimi anni l’equity crowdfunding italiano ha lentamente recuperato terreno dopo alcune modifiche al regolamento. Se ne attendono altre nei prossimi mesi mirate a rendere questa modalità di finanziamento ancora più appetibile: per esempio si pensa all’estensione a tutte le piccole e medie imprese, non solo a quelle innovative. Al 5 settembre 2017 il capitale di rischio raccolto in Italia attraverso l’equity crowdfunding a partire dal 2013 ammontava a oltre 15,4 milioni di euro.

Come funziona l’equity crowdfunding – Occorre valutare la validità della startup o pmi innovativa nella quale si intende investire, appurando se il modello di business funziona, se è ripetibile e scalabile, se il team è unito e motivato e altri elementi che una giovane impresa è tenuta a possedere. A quel punto l’investitore può rivolgersi a un portale di intermediazione autorizzato. Al 30 giugno 2017 risultavano essere 19, tutti registrati nel sito della Consob, l’autorità di vigilanza sulla Borsa. Il portale provvederà a fornire all’investitore tutta la documentazione utile e a dare indicazioni per poter procedere all’investimento.

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Il Politecnico di Milano ha un Osservatorio sul Crowdinvesting. Con il termine crowdinvesting ci si riferisce in particolare a tre modalità attraverso le quali gli investitori finanziari possono, grazie ad una piattaforma Internet abilitante, rispondere direttamente ad un appello rivolto alla raccolta di risorse per un progetto, in cambio di una remunerazione del capitale. Le tre modalità sono il già citato equity crowdfunding, il lending crowdfunding (prestiti) e l’invoice trading (acquisto di fatture). Vediamo nel dettaglio queste due ultime forme di finanziamento attraverso la folla presente online.

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4.LENDING CROWDFUNDING – Gli investitori possono prestare denaro attraverso Internet a persone fisiche (consumer) o imprese (business) a fronte di un interesse e del rimborso del capitale. Generalmente la piattaforma di lending seleziona il prestito attribuendo un rating e lo suddivide fra una molteplicità di investitori già acquisiti, per frazionarne il rischio (modello ‘diffuso’), oppure lo presenta alla ‘folla’ di Internet, la quale può decidere se finanziare o meno il progetto (modello ‘diretto’). In Italia le piattaforme attive in quest’ambito al 30 giugno 2017 erano 6 in ambito consumer (3 un anno fa) e 3 in ambito business (era una soltanto). Le risorse finora raccolte attraverso i portali ammontano a 88,3 milioni di euro, di cui 15 erogati a imprese. Il flusso degli ultimi 12 mesi è stato pari a 56,6 milioni e ha determinato una crescita sostanziale del mercato, grazie soprattutto all’arrivo in Italia di due piattaforme francesi, ma anche alla crescita del segmento business.I prestatori iscritti alle piattaforme consumer risultano essere più di 11.000, per il 90% maschi con un’età compresa fra 38 e 46 anni.

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5. INVOICE TRADING – L’invoice trading, ovvero la cessione di fatture commerciali attraverso un portale Internet, è un sistema di fundraising noto tra gli specialisti del settore ma forse meno conosciuto dal grande pubblico. Eppure costituisce la forma di crowdfunding più di successo in Italia in termini numerici, con 88,5 milioni di euro raccolti fino ad oggi. Nel giro di un anno i portali dedicati si sono quintuplicati, passando da 1 a 5. Alla data del 30 giugno 2017 risultavano attivi in Italia 5 operatori nell’invoice trading: Workinvoice (l’unico presente un anno fa), Cashinvoice, Credimi, CashMe e Crowdcity. Il mercato ha quindi attratto nuovi operatori nell’arco degli ultimi dodici mesi, dimostrando una certa vivacità.

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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