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Venture capital, Gallia (Cdp): “L’Italia raddoppi gli investimenti e le aziende facciano la loro parte”

“CDP ha stanziato oltre 350 milioni per il venture capital italiano, ma resta un gap da colmare. Anche nel Corporate siamo indietro: gli operatori sono soltanto 10. Ma il mercato si sta muovendo grazie anche all’open innovation” dice Fabio Gallia, AD di Cassa Depositi e Prestiti., intervenuto all’EY Capri Digital Summit

Pubblicato il 06 Ott 2017

Fabio Gallia

L’Italia deve colmare il gap con gli altri principali Paesi europei nella raccolta di capitali di rischio e negli investimenti in venture capital effettuati dalle grandi corporation: per farlo sarebbe necessario raddoppiare gli investimenti di risorse pubbliche e private. Solo così potremo raggiungere una maggiore diffusione dell’innovazione nel tessuto imprenditoriale italiano. È quanto sostiene Fabio Gallia, amministratore delegato e direttore generale di Cassa Depositi e Prestiti (CDP), istituzione finanziaria controllata per circa l’83% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e per circa il 17% da varie fondazioni bancarie.

Fabio Gallia
Gallia tiene oggi un keynote speech alla tavola rotonda “Corporate Venture Capital – Il ritorno di innovazione e sviluppo” che si svolge nell’ambito dell’EY Capri Digital Summit (4-6 ottobre). Nel panel si parla del rinnovato interesse per il corporate venture capital in Italia con Michele Barbera, CEO, Spaziodati; Nicola Drago, CEO, De Agostini Publishing; Anna Gervasoni, Direttore Generale, AIFI; Federico Leproux, CEO, TeamSystem; Marco Nespolo, CEO, Cerved; Pietro Sella, CEO, Gruppo Banca Sella; Stefano Soliano, Direttore Generale, ComoNExT.

Corporate venture capital: che cosa lo frena, come incentivarlo

L’introduzione è di Fabio Gallia. Ecco la sua intervista a EconomyUp.

Dottor Gallia, nel Piano Industriale 2016-2020 è indicato l’obiettivo di far diventare CDP il primo operatore di Venture Capital in Italia: a che punto siamo di questo percorso?

Con il Piano Industriale 2016-2020 CDP interviene per colmare i market gap. Tra questi il Venture Capital, che ha effetti sui settori dell’innovazione, della ricerca e delle startup. In questo ambito, CDP ha già stanziato risorse per oltre 350 milioni di euro, di cui 100 per la valorizzazione dei risultati della ricerca pubblica (Piattaforma ITAtech); 100 a supporto della nascita e accelerazione di nuove imprese (Programma AccelerateIT); 75 per le imprese che necessitano dei c.d. B Round – ticket d’investimento superiori in media a 5 milioni di euro – per consolidare la propria presenza sui mercati nazionali e internazionali (Tech Growth Fund); 75 nei fondi di VC già esistenti e di nuova costituzione (ampliamento del commitment del FoF Venture Capital di FII SGR).

Quali sono secondo lei i punti di debolezza del venture capital italiano?

In tutto il 2016 la raccolta di capitali sul mercato italiano del Venture Capital è stata pari a 93 milioni di euro contro i 550 della Germania, i 990 del Regno Unito e i 1.200 della Francia. In termini di investimenti il gap che separa il nostro Paese dalle economie europee comparabili è ancora più marcato: sarebbero necessari flussi di almeno 6 volte maggiori per riallineare tali valori. Le implicazioni di questi dati sull’ecosistema dell’innovazione sono ben evidenti se si considerano, ad esempio, gli investimenti in R&S, il cd. “trasferimento di conoscenza”. In Italia, infatti, si registra un evidente contrasto tra l’elevata qualità e quantità della ricerca scientifica e un contesto di produzione manifatturiera particolarmente competitivo, rispetto a livelli di commercializzazione della R&S decisamente più bassi della media europea. Per colmare tale gap sarebbe necessario raddoppiare gli investimenti di risorse pubbliche e private, combinate efficacemente al fine di raggiungere una maggiore diffusione dell’innovazione nel tessuto imprenditoriale italiano.

Il CVC è ancora poco diffuso in Italia: per mancanza, nelle imprese, di risorse finanziarie o di cultura del rischio?

Con appena 10 operatori attivi nel settore, anche in ambito CVC l’Italia non è al passo con gli altri principali paesi europei (in Germania gli operatori sono 50 suddivisi tra fondi/veicoli di investimento e incubatori/acceleratori).  Benché frammentato, il mercato si sta muovendo verso questa direzione: alcune grandi aziende, in ottica di open innovation e di scouting attivo di risorse, prodotti e tecnologie innovative da internalizzare, hanno infatti lanciato dei fondi in settori di interesse specifico, spesso affiancati da programmi e percorsi di formazione e accelerazione nonché di laboratori specifici per condurre sperimentazioni.

Quale dovrebbe essere il ruolo del CVC in un ecosistema equilibrato e funzionante?

Per medie e grandi imprese, il CVC rappresenta uno strumento di sviluppo industriale, che consente di gestire attività di VC investendo direttamente in start-up. È un mercato che a livello europeo ha raggiunto l’apice nel 2016 con 4,7 miliardi di euro investiti. Per questi motivi rappresenta un elemento chiave per la crescita dell’ecosistema dell’innovazione a completamento degli attuali strumenti di VC.

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