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Contratto pre-seed e seed: un modello alternativo, più semplice e pragmatico



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I contratti seed e pre-seed per le startup sono troppo lunghi e complessi e scarsamente utili. Ecco la proposta, open source, di un nuovo framework più snello e pragmatico che tiene conto dei bisogni reali di founder e investitori

Pubblicato il 24 gen 2024



contratto di investimento pre-seed e seed

Dalle riflessioni di Augusto Coppola sullo standard del contratto seed e pre-seed per le startup (che potete leggere qui) e sulla sua scarsa utilità sono nati scambi che hanno portato alla creazione di un potenziale framework di contratto d’investimento pre-seed e seed che abbiamo deciso di rendere “open source” e di mettere a disposizione di chiunque voglia utilizzarlo o arricchirlo.

La bozza, oltre che dalle riflessioni di Augusto, nasce da constatazioni pratiche derivate dal mio coinvolgimento, in Italia e negli Stati Uniti, in un numero abbastanza consistente di round d’investimento in startup. Lo scopo di questo progetto è dare precedenza alla snellezza, chiarezza e pragmaticità, per cui, sebbene mi piacerebbe approfondire maggiormente l’analisi e il numero di argomenti, mi sforzerò di rimanere snello, chiaro e pragmatico anche in questo articolo.

Un nuovo framework di contratto di investimento pre-seed e seed

Il framework di contratto d’investimento pre-seed e seed che proponiamo si basa sulle seguenti osservazioni:

Ciò deriva, parzialmente, dal “timore reverenziale” creato da alcune previsioni dei contratti d’investimento attualmente utilizzati (un esempio è rappresentato dai diritti di veto relativi ad un lungo ed analitico elenco di decisioni).

In un modo abbastanza immediato, si crea una netta linea di confine ed una contrapposizione tra founders ed investitori, tuttavia, la formale rigidità manifestata dal contratto d’investimento pre-seed non corrisponde quasi mai ad una reale rigidità nell’esercizio di quei diritti da parte degli investitori nel corso del rapporto societario.

Tanto è vero che in una scala temporale di dieci anni (gli ultimi dieci) ed in riferimento ad un numero di startup nell’ottica delle svariate decine, non ho mai visto investitoti esercitare tale diritto di veto (in assemblea, o, tramite loro membro, in CdA) in modo statisticamente significativo.

Credo che ciò sia dovuto principalmente a tre motivi:

  • 1. Gli investitori durante il rapporto societario, e quindi nel post-contrattualizzazione, sembrano fidarsi dell’intuito dei founders molto più di quanto possa immaginarsi (e quindi l’appoggio degli investitori è generalmente presente anche quando una decisione, se valutata in modo isolato, sarebbe non conservativa, ma potenzialmente rischiosa secondo il giudizio di un astratto investitore terzo e non coinvolto);a prescindere da qualunque previsione contrattuale e statutaria, founders ed investitori comunque hanno un dialogo aperto nel “dietro le quinte” societario che fa sì che di fatto ci sia sempre una qual sorta di allineamento (allineamento che, come appena detto, nasce da una fiducia nella visione ed intuito dei founders);
  • 2. Il mondo italiano delle startup, dei BA e VC è (relativamente) piccolo, ed il rischio reputazionale da pagare nel caso di condotte discutibili e fuori dalle righe da parte del founder molto alto (di conseguenza, esiste già un freno ad azioni potenzialmente “schizofreniche” da parte di un founder, e questo freno è per l’appunto il rischio reputazionale in un contesto nel quale, più o meno, alla fine ci si conosce tutti).
  • 3. Viviamo in un periodo di iper-regolamentazione, anche contrattuale, ed abbiamo importato in Italia l’iper-contrattualizzazione che contraddistingue la prassi contrattuale dei sistemi giuridici di common law (quelli anglo-americani, in sostanza).

Se nei sistemi di common law ciò è maggiormente sensato (per una serie di caratteristiche degli stessi, sulle quali non mi dilungo), in Italia lo è molto meno (per via, tra gli altri motivi, della esistenza di principi generali suppletivi che guidano la struttura dei nostri codici).

L’efficacia di contratto d’investimento pre-seed dipende dal sistema di enforcement

Ciò chiarito, che l’iper-contrattualizzazione possa portare ad avere contratti perfetti è una illusione, essendo noto che la strada che fa da parallela al contratto (ossia la reale vita delle relazioni contrattuali) andrà a permearsi di azioni che al momento della contrattazione sono ipotesi generalmente non prevedibili in modo conclusivo, ossia in modo tale da concludere in modo definitivo qualunque sfaccettatura di quelle ipotesi (vedi gli studi su Incomplete Contracts and Control, quelli sull’Optimal Balancing of Control, e quelli di Kaplan e Stromberg sulla Financial Contracting Theory applicata ai venture capital contracts).

L’iper-contrattazione e l’iper dettaglio, nel tentativo di chiudere in modo anticipato ogni potenziale vuoto, possono portare (e spesso portano), peraltro, ad involontarie incongruenze che possono essere successivamente sfruttate in modo particolarmente opportunistico contro la parte (e quindi rivelarsi controproducenti per la stessa) che pensava in realtà di avvantaggiarsene. A mio avviso, quindi, l’iper-contrattazione e l’iper dettaglio non rappresentano un approccio necessariamente superiore rispetto alla contrattualizzazione basata su macro principi influenzati da output economici guida (anzi, in alcuni contesti è più efficiente abbracciare la seconda opzione).

Un contratto pre-seed o seed di due pagine, strutturato per incentivare un allineamento degli interessi delle parti, per evitare che si creino due parti speculari e contrapposte, e per stimolare una sorta di auto-responsabilizzazione non può avere (e non ha) una efficacia reale inferiore a quella di un contratto iper-dettagliato di 50 pagine, se si tiene presente che il sistema giuridico nel quale l’enforcement giudiziale di entrambi i contratti avverrebbe è parzialmente disfunzionale, richiedendo tempistiche molto lunghe e costi non irrilevanti.

In altri termini, in un mondo, quello moderno, di relazioni contrattuali e societarie che per natura si contraddistinguono da una velocità consistente, se il tempo per far valere giudizialmente un qualunque diritto è di svariati anni ed il costo è spesso elevato, qualunque reale possibilità di enforcement è solo teorica, visto che, ad esempio, economicamente potrebbe avere ad un certo punto molto più senso fare un write-off e contenere l’importo “perso” (diciamo 50.000 euro), piuttosto che ritrovarsi successivamente con una potenziale espansione della perdita in virtù dei costi di enforcement e rimanere incastrati per anni in giudizio (con potenziale perdita di opportunità alternative).

In Italia non c’è (praticamente) contenzioso tra startup e investitori

Questa considerazione trova peraltro un riscontro empirico nella quantità di contenzioso esistente in Italia (ma non solo) avente ad oggetto rapporti intra-societari su startup (praticamente prossimo allo zero) e non si dissocia da ciò ho riscontrato fino ad oggi (considerando, nuovamente, gli ultimi dieci anni ed una scala formata da svariate decine di startup non ho mai visto potenziali scontri tra founders ed investitori tradursi in un enforcementgiudiziale od arbitrale).

In un contesto del genere, quindi, un contratto iper-dettagliato o un contratto basato su macro principi sulla base di output economici guida, in termini di cogenza (ossia di possibilità di averne un adempimento imposto) hanno quantomeno la stessa forza: ossia, tendenzialmente zero (il contratto per un tema di antieconomicità e di lentezza di risoluzione della controversia non lo si impugna, si cerca di risolvere eventualmente il potenziale scontro cercando di raggiungere un compromesso, o ad un certo punto si volta del tutto pagina).

Un contratto d’investimento pre-seed iper-dettagliato stimola a rispettare i termini?

Una delle critiche (legittime) che a questa mia osservazione può essere fatta è che un contratto iper-dettagliato, proprio per via di quella sorta di timore reverenziale che crea nei founders, stimolerebbe comunque l’adempimento spontaneo.

A mio avviso, è una critica non pienamente fondata, perché da quel timore reverenziale non deriva necessariamente un adempimento spontaneo se il soggetto che dovrebbe adempiere conosce il grado di inefficienza del sistema di enforcement.

In un contesto nel quale l’enforcement non è efficiente, il sistema giudiziale diventa un mero tool che può essere utilizzato in modo opportunistico, distorsivo (“fammi causa, ci vediamo quando e se vinci”), e per spingere verso l’antieconomicità la parte maggiormente mossa da ragioni di massimizzazione economica (gli investitori).

Quali fattori spingono all’adempimento spontaneo di un contratto d’investimento in Italia?

Ciò che al contrario è in grado, a mio avviso, di stimolare l’adempimento spontaneo in un sistema di enforcement parzialmente disfunzionale come quello italiano sono:

(i) l’accennato tema reputazionale (la startup può fallire, ma i founders rimangono comunque nel sistema e la reputazione determina, ad un certo punto, una espulsione naturale);

(ii) un allineamento di interessi basato sull’output economico atteso e la presa d’atto della naturale esistenza di interessi comuni (il dare come linea guida il fatto che, quando chiamato a decidere, il founder operi al meglio delle proprie capacità per il perseguimento di interessi economici esplicitati, e che per il resto ha ampia mano libera, è un potente incentivo alla auto-responsabilizzazione).

L’errore di partenza dei contratti pre-seed e seed attuali: founders e investitiori non sono in contrapposizione

Il tema dell’allineamento economico e della naturale esistenza di interessi comuni tra founders ed investitori è, a mio modesto avviso, abbastanza “violentato” dai contratti d’investimento attuali, la cui costruzione è implicitamente (e probabilmente in modo neanche intenzionale) basata sull’avere due parti in totale contrapposizione, con una “presunzione” di potenziale “colpevolezza” dei founders, tanto per utilizzare una formula abbastanza nota (“ti do il mio denaro, ma sappi che posso vietarti X, Y, Z perché tutto sommato non è che mi fidi tanto, e comunque se e quando lo ritengo opportuno prendo le redini io”).

Questa costruzione è totalmente antitetica alla realtà dell’output economico cui aspirano entrambe le parti, il quale, nei fatti, è pienamente allineato (per il founder diventare il keyman della prossima SpaceX, ed ergo avere un eccezionale ritorno economico dall’impiego del proprio tempo e del proprio effort, per l’investitore diventare l’investitore della prossima SpaceX ed avere un eccezionale ritorno economico dall’impiego del proprio capitale).

In altri termini, il rapporto tra founders ed investitori è un rapporto che in modo naturale si articola su fiducia (la fiducia nelle capacità e negli efforts di terzi di generare un ritorno sul denaro loro affidato) e comunanza di interessi (un viaggio comune guidato dalla aspirazione di ritorni economici per entrambe le parti), cosa che non traspare dagli attuali modelli contrattuali usati in pre-seed e seed (che sono esattamente quelli che, nella sostanza, segnano l’inizio del viaggio comune), i quali, se analizzati in astrazione, presuppongono una rapporto antitetico e danno al “denaro” un peso molto maggiore rispetto al “controvalore” in denaro degli efforts dei founders (i soggetti che, nella realtà, sono quelli dai quali dipende la generazione del valore per tutti).

I risultati di una (ristretta) analisi empirica sugli impatti di un nuovo framework

Subito dopo aver creato il primo draft di questo nuovo framework di contratto d’investimento pre-seed e seed, mi sono interrogato ipoteticamente sull’impatto esercitato dallo stesso, laddove adottato nei round pre-seed e seed dei quali ho conoscenza personale, alla luce di come sono poi maturati i rapporti tra founders ed investitori durante la vita societaria.

Sono quindi andato a rivedere centinaia di verbali di CdA ed assembleari e migliaia di email scambiate nel contesto delle decisioni più importanti e critiche della vita societaria, cercando di capire se, adottando la regolamentazione dei rapporti tra le parti che scaturirebbe da questo framework di contratto d’investimento pre-seed e seed, ci sarebbero state delle modifiche peggiorative rispetto all’utilizzo dei contratti attuali.

Anche da questa sorta di analisi empirica emerge la conferma di quanto illustrato in precedenza (ossia, l’esistenza di un rapporto reale che, di fatto, non è autenticamente divisivo e di contrapposizione).

Quello che sembrerebbe emergere, peraltro, è che l’adozione del framework, per via di una costruzione dei meccanismi di governance guidata dal macro-principio generale dell’output economico nella determinazione delle decisioni (quindi volutamente non analitica, in contrapposizione rispetto alle liste di decisioni contenute in molti dei contratti d’investimento ordinariamente usati), avrebbe probabilmente portato ad un molto più ampio coordinamento tra founders ed investitori nel processo decisionale, rafforzando la comunanza di interessi e la cooperazione (nel rispetto comunque del principio della business judgment rule nel caso di decisioni del CdA).

Ovviamente, questa analisi empirica riguarda un numero molto basso se si allarga lo sguardo a tutte le operazioni italiane di investimento pre-seed e seed ed ai consequenziali rapporti societari che ne derivano, per cui la valutazione finale potrebbe essere falsata dalla ristrettezza del campione. Sarebbe interessante, ed invito a farlo, se il lavoro empirico da me iniziato fosse condotto anche dai colleghi italiani che sono stati coinvolti in tale tipologia di operazioni, in modo da validare (o meno) su un più ampio campione.

Come funziona il nuovo framework di contratto d’investimento pre-seed e seed

In conclusione, il framework di contratto d’investimento pre-seed e seed sul quale Augusto ed io abbiamo lavorato è un contratto di poco più di 3 pagine, estremamente sintetico e comprensibile.

Qui puoi scaricare
il nuovo modello di contratto
pre-seed e seed

È focalizzato solo sugli elementi essenziali e creato sulla scorta di una metodologia basata su una analisi economica dei presupposti e dell’output dei contratti d’investimento in fasi pre-seed e seed.

Sembrerebbe permettere di produrre gli stessi effetti in termini di risultato pratico dei molto più lunghi, articolati ed analitici contratti attualmente usati, consentendo al contempo una riduzione dei costi e dei tempi di transazione ed una migliore convergenza verso il perseguimento di interessi economici comuni.

Il cuore dell’impalcatura è basato sul fatto che tutto il contratto, i successivi rapporti tra le parti, gli eventuali stalli decisionali e la risoluzione delle controversie sarebbero decisi sulla scorta di principi, ragioni ed output economici condivisi che contraddistinguono la realtà del rapporto tra le parti, ciò rendendo non più necessario andare ad iper-regolamentare. Si dà, quindi, totale centralità delle finalità economiche.

Il framework di contratto d’investimento pre-seed e seed proposto contiene una clausola arbitrale che assoggetterebbe le controversie e gli stalli riferita a una ipotetica nuova camera arbitrale dedicata alle startup. Ovviamente fino a quando questa non sarà istituita, la clausola dovrebbe essere sostituita.

Essendo un qualcosa che va in totale contrapposizione rispetto a ciò che è diventato uno standard consolidato, e che si basa su una critica ai modelli contrattuali attualmente utilizzati, non mi aspetto una accoglienza entusiastica e priva di critiche (anzi!), né ritengo la bozza perfetta e non migliorabile.

È comunque una potenziale strada alternativa che mettiamo a disposizione della comunità italiana – che chiunque è libero di utilizzare, adottare, eventualmente arricchire e migliorare – e che speriamo permetta di dar vita ad una più ampia discussione sulla eventualità di andare in una direzione di semplificazione contrattuale in contesti che, forse, potrebbero permetterlo.

Siamo grati a chiunque voglia inviarci feedback e commenti

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