I Google Glass a misura dei “piccoli” o anche di grandi aziende con specifiche esigenze di personalizzazione: è la sfida degli smart glasses di Youbiquo, società di Cava de’ Tirreni (Salerno) selezionata tra gli assegnatari delle agevolazioni del bando Smart & Start per il suo progetto di occhiali a realtà aumentata. L’idea imprenditoriale – che ha convinto i selezionatori del programma del Mise gestito da Invitalia e destinato a startup del Sud impegnate in innovazione, digitale e ricerca – ha suscitato una certa sorpresa e diversi interrogativi. Per esempio qualcuno si è chiesto se una neonata, piccola azienda del Mezzogiorno sia davvero in grado di contrastare una grande Internet company californiana. Le stesse domande emerse in passato a proposito di un altro esempio di occhiali hi-tech made in Italy: i Glass Up, a cui lavora da qualche anno un team di imprenditori del Nord Italia. Ma il ceo di Youbiquo, Pietro Carratù, precisa: “In realtà puntiamo a mercati diversi rispetto a Google”.
Avete iniziato con gli Smart Glasses quando il gigante di Mountain View aveva annunciato da tempo i suoi occhiali hi-tech. Non temete la concorrenza?
Abbiamo cominciato a pensarci più di un anno fa e abbiamo cercato di capire quali elementi potessero differenziare il nostro prodotto da quello del competitor. In realtà il nostro è completamente diverso: è solo l’apice della piramide di una serie di tecnologie che stiamo mettendo a punto per implementare non solo il dispositivo indossabile di nostra produzione ma anche quello di costruttori indipendenti. Un gruppo che prevediamo, in futuro, rappresenterà una quota significativa di mercato.
Qual è il vostro obiettivo?
Intendiamo offrire regole di interoperabilità a chi fa solo elettronica, o solo design, o solo contenuti. E mettere insieme un sistema in grado di collegare questi tre elementi, consentendo a chi sa fare bene il proprio mestiere di mercato unico verticale di avere un prodotto funzionante e performante.
Sperate di collaborare con Luxottica, che ha siglato un accordo con BigG?
No. Speriamo di collaborare con tante aziende che si occupano di design di occhialeria o accessori e non hanno la forza di Luxottica per parlare con Google. Noi vogliamo consentire ai piccoli di fare wearable competitivi sul mercato e vogliamo aiutarli a farlo indipendentemente dalla tecnologia di Google.
Quindi siete o non siete competitor della Internet company?
In linea generale sì, ma per mercati molto differenti. Il colosso californiano non farà mai una personalizzazione per 100 pezzi, noi sì. Non darà mai la sua elettronica per fare una scocca diversa da quella che ha previsto, noi sì. La personalizzazione è il nostro elemento determinante. Noi possiamo creare un prodotto come serve al cliente: industriale o design di alta gamma, ma di piccoli volumi.
Anni fa c’erano tanti motori di ricerca, poi Google Search ha prevalso come dominante. Non temete che alla fine usino tutti i Google Glass, senza bisogno di personalizzazione?
Faccio un esempio pratico: le grandi aziende tipo Finmeccanica non possono andare a chiedere a Google di effettuare una personalizzazione dei prodotti offerti perché hanno esigenze specifiche e dati coperti da riservatezza che devono rimanere in azienda. Noi possiamo lavorare su quei dati, garantendo la personalizzazione e la riservatezza della proprietà dei dati. Il colosso Usa non avrebbe interesse a farlo.
Comunque voi fate attività B2B, mentre Google è B2C.
Esatto. Il nostro prodotto è business to business. Il business to consumer, se arriverà, avrà una sua durata e un ciclo di vita. Ma è sul business che si fa volume.
E se BigG vi proponesse una exit?
Diciamo che stiamo già negoziando con vari venture capital e interlocutori interessati a compartecipare. Non è ancora il momento, probabilmente. Ma penso che sul mercato non ci sia solo Google, ci sono tantissimi altri.