Finanziamenti pubblici

Come funziona Horizon 2020 (e perché fa cantare le startup italiane)

Il programma europeo denominato Sme Instrument, ispirato all’esperienza statunitense per il supporto all’imprenditoria high-tech, può fare da stimolo alla crescita europea. E l’Italia è ben piazzata per numero di imprese selezionate

Pubblicato il 07 Mar 2016

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Luca Grilli, docente di Ingegneria Economico-Gestionale al Politecnico di Milano

A me piace parlare di vittoria pensando ai circa 2milioni di euro assegnati alla startup innovativa D-Orbit dal programma Europeo Horizon 2020 denominato Sme Instrument. Vittoria è la parola giusta, poiché lo “strumento” prevede che le imprese competano e che il finanziamento venga poi erogato a poche tra le tante che vi partecipano (solitamente il “success rate” è compreso tra il 5% ed il 10%). Quello che si chiama un finanziamento selettivo. Ovvero il settore pubblico che si arroga il diritto di scegliere offrendo risorse finanziarie consistenti a poche imprese, appunto selezionate. Insomma, “lo zio Sam sceglie” direbbe un americano….Un modo diverso rispetto a quello a cui siamo solitamente abituati del piccolo (a volte piccolissimo) incentivo pubblico, spesso automatico, erogato a pioggia un po’ a tutti, con la speranza che qualche seme attecchisca ma con la quasi certezza che questo non succederà. Con conseguente spreco di denaro pubblico.

Perché l’intervento pubblico.
E’ bene ricordare che sono due gli ordini di motivi che solitamente vengono richiamati al fine di giustificare l’intervento pubblico nell’ambito dell’imprenditorialità high-tech. Primo: l’esistenza di imperfezioni nei mercati del capitale che rendono difficile per progetti imprenditoriali altamente innovativi, dalla natura tecnologica complessa e dagli esiti fortemente incerti, il reperimento delle risorse finanziarie necessarie all’avvio dell’avventura imprenditoriale. Secondo: progetti altamente innovativi nell’alta tecnologia possono produrre esternalità positive che avvantaggiano la società nel suo complesso se effettivamente realizzati e dunque diventano anche e soprattutto di interesse pubblico.

Come funziona Sme Instrument
Il programma di cui stiamo parlando focalizza di fatti la sua attenzione su specifici ambiti di intervento ritenuti di interesse generale (es. aerospaziale, nanotecnologie, biotecnologie, ICT) e prevede 3 fasi distinte: in una prima fase di fattibilità vengono finanziate (fino ad un massimo di 50.000 Euro) tutte le attività pre-imprenditoriali che mirano ad appurare la realizzabilità tecnico-scientifica dell’idea imprenditoriale e valutarne il suo potenziale commerciale; una seconda fase (quella appunto che ha interessato D-Orbit) finanzia (in una logica di cofinanziamento fino ad un massimale di circa 2,5 milioni di Euro) la vera e propria realizzazione del progetto imprenditoriale che spesso si concretizza nella definizione di prototipi pronti per la commercializzazione; ed infine una terza fase, quella di commercializzazione vera e propria, che non prevede un supporto finanziario diretto da parte del settore pubblico ma un’attività di brokerage ed endorsement verso finanziatori privati.

Il modello americano
Se qualcuno può storcere il naso per un’eccessiva invasività del settore pubblico che interferisce là dove il mercato dovrebbe selezionare, basti dire che il programma SME Instrument di cui stiamo parlando altro non è che la migliore imitazione possibile a livello Europeo del celeberrimo SBIR (Small Business Innovation Research) Program statunitense (gli U.S.A., non esattamente la patria del capitalismo di Stato). Celeberrimo perché pochi interventi di policy nel campo del sostegno all’imprenditorialità innovativa hanno raccolto un così largo consenso come lo SBIR. Nato nel 1982 sulle ceneri di un programma simile, ha finanziato imprese oggi molto note ma prima che lo diventassero, ovvero nella loro fase di sviluppo iniziale. L’elenco è lungo e piacevole da scorrere e include tra gli altri Intel, Compaq e Symantec, solo per citarne alcune.

Quante D-Orbit esistono?
Se ovviamente è difficile stabilire con assoluta certezza se in assenza dell’intervento di policy le cose sarebbero andate esattamente come sono effettivamente andate (ovvero in termini tecnici, risulta difficile appurare la reale addizionalità generata dal programma di policy sul sistema economico di riferimento), dal punto di vista del policy maker (e del cittadino rappresentato) è chiaramente opportuno non rischiare. Anche perché – come direbbero gli economisti – questi sono spesso giochi a somma zero. Ovvero se l’idea imprenditoriale non si concretizza in un determinato contesto geografico, ci sono forti probabilità che vedrà la luce in altri contesti, producendo lì e non altrove alcuni dei benefici annessi…..Ma quante D-Orbit esistono nel nostro Paese?

L’Italia tra le più finanziate.
Con riferimento alla call del 2015 per ciò che concerne la fase 2 (quella finanziariamente più sostanziosa) le imprese italiane ad essere finanziate (con importi variabili) sono state 26. Un dato confortante se lo si raffronta con quello degli altri partner Europei: Francia 8; Germania 13; Regno Unito 20. La sola Spagna con 28 imprese finanziate ci precede leggermente. I dati sulla fase 1 sono ugualmente incoraggianti: 37 i progetti italiani finanziati, contro i 39 spagnoli ed i 20 del Regno Unito. Un bel segnale direi per l’ecosistema delle startup innovative italiane. Quanto il segnale sia robusto e si concretizzi in nuove linee di sviluppo solo il tempo potrà dirlo.

Luca Grilli è docente di Ingegneria Economico-Gestionale al Politecnico di Milano

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Luca Grilli

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