Lo scorso 16 maggio la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) ha annunciato che investirà 100 milioni di euro in un fondo di fondi dedicato al Venture Capital. Più che un annuncio pare un disperato richiamo all’attenzione per il governo entrante.
L’Italia è fanalino di coda del VC europeo, non solo siamo dietro la Francia, paragonabile per economia e per produzione scientifica all’Italia, ma ben sotto la Spagna, che sovrastiamo per numeri e qualità. Da noi le start-up racimolano tra i 120 e 200M euro all’anno, in Spagna fanno per 3 e in Francia si viaggia a numeri almeno 10 volte superiori. Insomma, “loro Macron, noi micron”.
I soldi ci sarebbero anche ma arrivano al rallentatore. Il VC italiano è il malato d’Europa e le nostre start-up non hanno il sostegno di Stato che trovano nelle altre nazioni EU – si veda quanto fa la BPI in Francia . Ad esempio i 200M€ del fondo di fondi ITAtech per il Tech Transfer della ricerca italiana sono stati annunciati a fine 2016 e finora sono stati chiusi solo due investimenti. Un fondo per l’innovazione nell’automazione e l’altro nel biotech, non risultano ancora investimenti fatti in start-up però. E da Parigi, dove gestiscono per noi il secondo, ci fanno sapere che “il fondo (per la ricerca su malattie rare, ndr) non sarà operativo prima di fine 2018”. Per il malato d’Europa del VC serve una terapia salvavita e non l’omeopatia: 200M€ forse non risuscitano il moribondo ma se arrivano in 3 anni invece che 3 mesi rischiano di avere solo l’effetto dei fiori di Bach.
Ciò premesso, pare il momento per ri-provarci: la CDP e le sue controllate come FII – Fondo Italiano Investimento (CDP&C) – dovrebbero ridisegnare la loro politica a favore dell’innovazione:
- dovrebbe diventare più stringente la destinazione degli investimenti in innovazione di CDP&C in Italia. Vale a dire, in VC italiani e start-up italiane. Si tratta dei nostri soldi pubblici come per la BPI.
- Seguendo sempre il modello francese BPI, se il VC non è italiano questi deve apportare almeno pari risorse da fuori Italia: attrazione degli investimenti esteri.
- Utile sarebbe poi trasformare i fondi di fondi di CDP&C in fondi di co-investimento, ovvero fondi di puro matching con gli investitori privati.
Questa terzo punto merita un approfondimento. Per velocizzare e liberare dalla politica le risorse a favore dell’innovazione nelle prime fasi il meccanismo, non nuovo, è semplice: CDP&C dovrebbero solo accreditare i beneficiari – requisiti di innovazione, di onorabilità, professionalità, ecc.., cioè i fondi di VC e le start-up; una volta accreditati, CDP&C non dovrebbero fare altro che raddoppiare le risorse private raccolte dagli stessi. Se un fondo di VC, ad es., raccoglie 20 milioni da investitori privati, la CDP&C ne co-investe alle medesime condizioni dei privati altri 20.
Non si tratta di una novità, una volta, una sola volta a mia memoria, l’allora Ministero delle Attività Produttive, oggi Sviluppo Economico, mise in piedi una misura, la legge n. 388 del 2000. Questa ha ben funzionato proprio con questo schema di accreditamento, molto anglo-sassone: una volta che ti accredito, mi fido e co-investo. Ho ben in mente due esempi di successo dove lo Stato ha anche guadagnato! Le start-up EOS e Banzai sono state co-finanziate con la l.388. Le due start-up sono state poi rispettivamente vendute e quotate generando un valore complessivo di circa 730M€. Perché la misura non è stata più riproposta? Forse perché la politica non avrebbe più potuto filtrare gli investimenti?
Dopo anni di interventi della CDP&C il risultato è purtroppo l’ultimo posto in classifica, serie C del VC. La Francia sta creando nel fratempo la “start-up nation”. È tempo di innovare. Va bene “micron” ma non “coli-on”.