Tutti vogliono fare open innovation: non c’è azienda che non senta la necessità di innovare e non riconosca l’importanza delle startup. Dichiararlo e provarci serve anche a dare un’immagine contemporanea, un posizionamento hi-tech. Ma passare dalle parole ai fatti non è semplice e il rischio di delusioni è grande, soprattutto quando il tema viene affrontato con scarsa convinzione. Eppure l’open innovation serve alle aziende e serve alle startup, soprattutto in Europa. Soprattutto in Italia.
È il punto di partenza di un’indagine qualitativa (circa 80 startup intervistate e un gruppo di top manager non quantificato) fatta da McKinsey in collaborazione con B Heroes: “Quando Davide si allea con Golia. Collaborare per innovare: ripensare i modelli di partnership fra startup e grandi aziende in Italia”, che aiuta a comprendere il sentiment nei confronti di un’attività che più che da ripensare è ancora da fondare, visto che alle startup la gran parte delle aziende guarda in modo coerente e continuativo da poco tempo.
Perché l’open innovation serve ad aziende e startup?
Nel Vecchio Continente le startup aumentano ma ancora non vanno lontano. Ci ricorda lo studio McKinsey che l’Europa genera il 36% delle startup di tutto il mondo contro il 45% degli stati Uniti, ma solo il 14 % di unicorni contro il 50%.
Insomma, in Europa e ancora di più in Italia, le startup nascono ma non riescono a crescere. Perché il mercato è frammentato (28 Paesi per raggiungere le stesse dimensioni di quello americano), f finanziamenti scarseggiano, così come i talenti. Quindi per far crescere le startup in Europa la relazione con le grandi aziende è fondamentale. Ma non è semplice.
Dall’altra parte alle aziende, soprattutto a quelle grandi e complesse, le startup servono per trovare idee innovative, accelerare la trasformazione digitale, sperimentare nuovi modelli di business, entrare in nuovi mercati. Dice uno dei manager intervistati da McKinsey: «Le aziende cercano nelle startup idee e soluzioni sviluppate con meno vincoli rispetto a quelli presenti in un ambiente aziendale, che troppo spesso è ancorato ai processi esistenti e ai limiti dei sistemi informatici in uso». La grande sfida/obiettivo è andare oltre i limiti organizzativi, tecnologici e culturali dell’azienda.
Le aziende collaborano con le startup anche per ragioni di marketing, segnala l’indagine, per “il ritorno di immagine positivo che si può creare nella percezione degli azionisti, del mercato e dei propri clienti, per dimostrare quanto l’azienda sia al passo con i trend emergenti nel settore e quindi aumentarne l’attrattività e migliorarne la reputazione”. Non è questa, però, una scelta produttiva a medio e lungo termine. Dice il partner di un fondo di venture capital a McKinsey: “Cercare una startup senza un ritorno chiaro se non quello d’immagine comporta uno spreco di risorse e, alla lunga, demotiva i colleghi e allontana i talenti».
Aziende e startup, una collaborazione più cercata che realizzata
La collaborazione fra grandi aziende e startup sarà importante ma non è ancora pratica diffusa. Solo 41% delle startup sentite da McKinsey ha una partnership con più di due aziende e il 35% non he na proprio alcuna. Eppure il 70% dice di averla cercata la relazione. Quindi c’è ancora un gap fra l’offerta di innovazione che arriva dalle startup e la domanda reale delle grandi aziende. E poco efficace sembra ancora il lavoro degli intermediari: solo in un caso su tre la collaborazione passa attraverso acceleratori, incubatori o venture capital (quella che nell’indagine McKinsey viene definita partnership istituzionale). La forma di relazione prevalente è la collaborazione diretta, ricercata soprattutto dalle startup.
Per le startup il primo canale di contatto con le aziende restano le relazioni personali, seguito dalla partecipazione ad eventi. Le aziende, ovviamente, hanno un approccio più strutturato che prevede l’uso di diversi canali, da quelli diretti agli acceleratori e incubatori, dagli innovation broker ai fondi di venture capital. La difficoltà è individuare quelli più efficaci e soprattutto capire che cosa cercare. La differenza fra l’azienda ai primi passi nell’open innovation e quella con qualche esperienza sta anche nella definizione di un tema su cui concentrarsi, che di solito nasce da un bisogno emerso all’interno o da un obiettivo di business.
Azienda e startup, una collaborazione che funziona ma non sempre
Oltre l’80% delle startup intervistate da McKinsey si dichiara soddisfatta delle esperienze di collaborazione le aziende. Un buon risultato in un mercato allo stato nascente, che però non copre le differenze e le criticità su entrambi i lati della relazione.
Intanto le startup non sono tutte uguali. Quelle allo stato iniziale sono meno motivate e guardano alla grande azienda soprattutto come partner finanziario, Quelle invece più mature, con un fatturato superiore ai 250mila euro, “ritengono che le partnership siano un fattore di importanza fondamentale per garantire una crescita su larga scala e sostenibile del business. Queste startup considerano le grandi aziende, non tanto un potenziale target da cui ottenere finanziamenti, quanto piuttosto un operatore con cui avviare una collaborazione di medio-lungo periodo”.
I freni alle collaborazioni fra startup e grandi aziende sono ben noti: lunghezza dei tempi decisionali, complessità della governance, gap culturale. E sono i freni che rendono ancora l’open innovation più una manifestazione di interesse o dichiarazione di buone intenzioni che un’attività produttiva.Si legge nell’indagine McKinsey: “Nonostante il 70% delle startup ritenga che non sia particolarmente complesso trovare un partner interessato alla propria idea o modello di business, la quasi totalità dichiara che la maggior parte delle aziende nons embra pronta ad avviare una relazione con piccole realtà imprenditoriali”.
I fattori di successo delle partnership fra aziende e startup
Cinque sono i fattori di successo individuati dall’indagine McKinsey e sono fattori di cui spesso abbiamo scritto su EconomyUp. Al primo posto “l’impegno convinto del CEO a innovare e fare sistema”, dice Fabio Cannavale, founder di B Heros. L’endorsement del vertice è un ingrediente sempre presente nei pochi casi di vera open innovation in Italia. “Nelle organizzazioni delle grandi aziende, caratterizzate da processi consolidati e strutture formalizzate, l’impegno assunto dal vertice costituisce la soluzione vincente in grado di superare le resistenze interne e la rigidità dei sistemi”. Poi vengono il coinvolgimento di tutta l’azienda, la disponibilità a sperimentare accettando il fallimento, la velocità nel prendere decisioni che impegnano budget e risorse necessarie alla partnership, il rispetto dell’identità e della cultura della startup che non va “integrata2 nell’azienda ma deve contaminare l’azienda.
Collaborare per innovare è una ricetta che piace e fa bene a grandi aziende e startup. Ma eseguirla non è facile. Come in tutte le ricette gli ingredienti di qualità sono fondamentali, ma serve anche un bravo chef che non può che essere il CEO.