Da oggi sono disponibili sul mercato italiano gli smartwatch di Cupertino,
che si apprestano a diventare un nuovo oggetto di culto tecnologico. Tutto il settore è destinato a vibrare al ritmo della concorrenza spietata fra nuovi e vecchi contendenti del mobile high tech. Con la differenza, non da poco, che stavolta i grandi player sono quasi tutti arrivati dopo i primi esemplari finanziati sulle piattaforme di crowdfunding.
Sembra di essere tornati al 2007, anno del lancio dell’iPhone: oggi come allora un device si candida a cannibalizzare tutto quanto prodotto in precedenza e ad aprire un intero nuovo mercato per le startup digitali. Saranno soprattutto loro, infatti, le startup e i loro sviluppatori, a dover approfittare di questa opportunità. L’iPhone ha inventato una professione, ora c’è da capire quanto l’”iWatch” può reinventarla.
Un device nuovo, con caratteristiche proprie di sensori e interfaccia, dovrebbe dare spazio a nuove idee, nuovi talenti, nuove intuizioni. Insomma, nuove startup. Che insieme a quelle già esistenti saranno chiamate a realizzare applicazioni dedicate. Le ragioni di una specializzazione? A prima vista gli orologi intelligenti hanno funzioni simili o identiche a quelle degli smartphone, con la maggiore comodità di averli sempre al polso, indosso. Tuttavia, alle app terminali, mere estensioni di quelle già esistenti sullo smartphone della mela morsicata, arriveranno prima poi le app di terze parti, la vera scommessa del mercato. Al momento però il discorso è prematuro.
Così la pensa Alan Cassini, mobile project manager, con una esperienza anche in Apple a Cork (Irlanda), visiting professor del corso “Mobile and Proximity Marketing Tools for Brand” per il Master in Brand Management and Communication all’Istituto Europeo di Design e nel team di Vidiemme consulting, che dall’anno scorso ha stabilito una costola a San Francisco per andare a caccia di idee e prototipi da proporre ai clienti italiani. “Nel primo giorno di prevendite online Apple ha venduto più smartwatch di tutti i concorrenti messi assieme nell’intero periodo precedente”, racconta tornato dalla California dove ha per l’occasione acquistato alcuni esemplari dell’orologio intelligente della mela morsicata. È bene dirlo subito: entrare in un negozio e uscirne con un orologio Apple non è affatto semplice. “La prevendita di Apple sui propri device è una forma di marketing, anche in America sono ancora poche le persone che vedi portare al polso l’Apple Watch. Si può comprare l’entry level oppure quello super costoso, mancano tutti i prodotti di mezzo”.
Dal punto di vista del consumatore, questo smartwatch è un perfetto prodotto Apple: è arrivato dopo, ma ha già caratterizzato il mercato; non è un singolo oggetto originalmente sviluppato – come nel caso dei primi smartwatch – ma un device totalmente integrato nell’ecosistema della casa. È appena nato, ma sono già disponibili 3.500 applicazioni: erano 500 inizialmente per iPhone nel 2008 e 1.000 per iPad nel 2010. “Esistono già le app Health e Activity per iPhone che sono trasferite sull’orologio. Queste app hanno già una buona capacità di elaborare questo tipo di dati, con il Watch si chiude il cerchio e si prepara la strada a raccogliergli, quando prima erano trasmessi da altri wereables connessi all’iPhone”.
Cassini sta già lavorando a qualche estensione per i suoi clienti (le banche, ad esempio, stanno già chiedendo il dialogo smartwatch-phone), ma è convinto che per qualche tempo i player saranno gli stessi che sviluppano su iPhone. Il motivo è che l’orologio è fortemente dipendente dall’iPhone, sia dal punto di vista delle funzioni che da quello computazionale. “Teoricamente questo dispotivo può durare a lungo con la sua batteria, ma se in tasca si ha un iPhone5 la batteria durerà poco, in quel caso l’Apple Watch è come fosse vivo ma senza cervello”.
L’appuntamento vero con il mondo delle startup digitali è dunque rimandato al prossimo aggiornamento del sistema operativo, presumibilmente in autunno, che aprirà più facilmente alle terze parti. Nel frattempo qualcuno si starà certamente muovendo, dopotutto il linguaggio codice è lo stesso dell’iPhone, ma è normale che attualmente siano poche le realtà in Italia che già pensano e dichiarano di voler entrare nell’app store con applicazioni dedicate. Molto probabilmente, quando verranno, saranno aziende che lavorano nella salute e nel fitness.
Ad H-Farm, l’incubatore di Riccardo Donadon a Roncade, c’è il progetto Technogym, dove sono residenti alcune startup, una di queste è WeFitter, che già lavorano coi dati prodotti dagli smartwatch. Digital Magics sta incubando la startup YouSpa che lavora a un portale multilingue con motore di ricerca delle SPA già pensato come release per il watch di Apple. In Italia ci sono diverse società che realizzano sia la parte hardware che software nel fitness e nella salute, si sono notate nell’ultimo anno negli startup contest. Saranno certamente trascinate dallo sbarco dello smartwatch di Apple.
Anche se il mercato per le app dedicate è quindi davvero in embrione, c’è chi crede fortemente nel suo utilizzo. La community di sviluppatori di Appsterdam Milano non vede l’ora di metterci mano. Il concetto è che l’Apple Watch accorcia un’altra volta il tratto uomo-interfaccia, dopo il mouse e il touch, dunque tutte le applicazioni verranno ripensate per il cambio di interazione, che è sempre un cambio di paradigma. “Le possibilità sono innumerevoli”, spiegano in coro, “verranno concepite nuove idee, e miglioreranno il rapporto tra la persona e il dispositivo”. Tutto dipende da quale sarà la proporzione tra Watch e Phone: uno ogni molti, oppure uno a uno? Lo si potrebbe ritenere impossibile se si confrontano i numeri delle prevendite, per quanto ottimi, con quelli dell’iPhone. Quando però c’è di mezzo Cupertino è meglio non azzardare previsioni.