L'INTERVISTA

Andrea Prencipe (Luiss): una call per l’open innovation dell’università

“È arrivato il momento di rivedere drasticamente i modelli educativi”, dice Andrea Prencipe, rettore della Luiss. Che racconta perché l’ateneo lancia una call per startup e innovatori: “Non possiamo innovare l’alta formazione da soli e vogliamo andare oltre la formazione online”. Le candidature aperte fino al 15 gennaio

Pubblicato il 30 Ott 2020

Andrea Prencipe, rettore della Luiss

“Non possiamo pensare di poter innovare l’alta formazione da soli, dobbiamo fare leva sull’intelligenza collettiva di potenziali innovatori e imprenditori che usano le tecnologie digitali”. Andrea Prencipe, rettore della Luiss, è un profondo conoscitore e un sostenitore dell’open innovation ed è convinto che non possono farne a meno neanche gli atenei per adeguarsi alla trasformazione digitale in atto.

Per questo la Libera Università Internazionale degli Studi Guido Carli, che guida dal giugno 2018, ha appena lanciato in collaborazione con LVenture Group. la sua prima call, “Shaping the future of Higher Education”, aperta fino al 15 gennaio e rivolta a team e startup che abbiano soluzioni per migliorare tutto il percorso dello studente, dall’ingresso all’università a quello nel mondo del lavoro. In palio, per le startup, la partecipazione al Percorso di accelerazione di LVenture Group e un finanziamento fino a 100mila euro. Per i team, invece, un Grant di 5mila euro e la possibilità di testare le idee sugli studenti della Luiss.

Il rettore continua a lavorare per fare della Luiss una “culla di open innovation”. Dopo la cattedra a Henry Chesbrough, il padre del modello che prevede l’innovazione aperta, sono stati reclutati : il professor Ian McCarthy – proveniente dalla Simon Fraser University – esperto di innovazione nei sistemi di produzione, e di Jannis Kallinicos – proveniente dalla London School of Economics – studioso digital transformation. “Nel nostro DNA c’è l’apertura al mondo delle imprese”, dice Prencipe. Il nuovo passo è l’apertura verso le startup e gli innovatori.

“L’idea di abbracciare il paradigma per l’alta formazione per noi è arrivata naturale, perché qui il contesto è fertile. Facendo eco a Chesbrough, bisogna pensare che non tutte le persone intelligenti lavorano con te o possono lavorare con te. Quindi abbiamo deciso di metterci alla ricerca di tecnologie interessanti per innovare l’alta formazione. Quel che a noi interessa è l’efficacia pedagogica dei processi di apprendimento. In Luiss preferiamo parlare di apprendimento piuttosto che didattica o formazione. A costo di passare per provocatorio, dico che noi non insegniamo. Noi creiamo le condizioni attraverso le quali gli studenti apprendono. Le tecnologie possono certamente aumentare queste condizioni”.

L’emergenza sanitaria ha mostrato i vantaggi e i limiti della formazione a distanza e la necessità di una didattica digitale. Immagino che innovare non significhi solo organizzare qualche corso online…

“Così come buona parte di imprese hanno dovuto fare ricorso all’emergency working, le università hanno fatto emergency learning. Se si vuol fare smart working o digital learning, se dobbiamo sfruttare a pieno le potenzialità della tecnologia, vanno ripensate le fondamenta dei curricula dei corsi di laurea, dei master. Siamo in un momento in cui è necessario un radicale ripensamento del modello educativo. Per dirla con gli inglesi, serve uno zero-based exercise: partire da un foglio bianco per progettare nuovi modelli educativi.”

La call è il primo passo della Luiss in questa direzione?

Assolutamente si. Visto che sono ottimista, voglio vedere anche il lato positivo di questa drammatica emergenza sanitaria: il lockdown è stato un’occasione di sperimentazione che ci ha permesso di fare esperienze interessanti che ci hanno aperto orizzonti prima impensabili.

Quindi la pandemia vi ha fatto vedere opportunità che prima restavano in ombra?

In qualche modo si. Ecco un esempio di quanto abbiamo appreso durante il lockdown. Un collega che insegna supply chain management ha sempre usato un gioco di apprendimento per insegnare la gestione delle scorte, il beer game, sempre fatto in aula utilizzando fagioli o monete. Non potendo più farlo, ha scoperto che c’erano molte soluzioni software per usarlo nelle lezioni a distanza. Quando abbiamo ripreso i corsi in modalità ibrida, ha continuato a usare il gioco digitale, perché lo ha trovato più efficace.

Questo è un tema culturale, il lockdown vi ha spinto anche verso nuovi territori tecnologici?

Sì, certo. Quando abbiamo dovuto organizzare le prime sessioni di esame online, ci siamo trovati di fronte alla necessità di identificazione degli studenti. Come fare? Abbiamo così scoperto che un nostro laureato che aveva lanciato una startup, Keyless, a Singapore che fa riconoscimento facciale attraverso AI. L’abbiamo coinvolto, abbiamo integrato la sua soluzione nel nostro ambiente Cisco Webex e abbiamo potuto fare regolarmente gli esami a distanza.

Che cosa vi ha insegnato questa esperienza?

Ci ha mostrato e confermato un effetto non trascurabile dell’open innovazione: la ricerca di nuove soluzioni fuori dal proprio perimetro abituale ti permette di ampliare i tuoi orizzonti; si espande l’area di scouting e si trovano soluzioni ai problemi lì dove non si pensava neanche di cercare.

Per questa ragione l’ambito della call è molto ampio, dall’intelligenza artificiale all’Adaptive Technology, dal Data Analytics alla Virtual Reality?

Sì, è vero: il raggio di azione della nostra call è volutamente ampio. Vogliamo andare ben oltre i canoni ortodossi della formazione digitale, pensiamo di trovare idee e ispirazione dalle discontinuità tecnologiche in altri ambiti per far diventare più ricco il contesto di apprendimento dei nostri studenti. Sia per i percorsi di apprendimento fully online, sia per quelli tradizionali.

Quindi l’apprendimento in aula non è destinato a scomparire…

Assolutamente no. L’apprendimento richiede interazione sociale in un contesto fisico: restiamo animali sociali. Il nostro obiettivo è arricchire i momenti di apprendimento nei percorsi di studio, in qualsiasi forma siano erogati.

Con la call cercate sia idee da sviluppare sia startup che abbiano già un prodotto on servizio. Perché?

“Siamo interessati a un ampio spettro di potenziali innovazioni e abbiamo deciso di intercettare con il nostro radar anche le cosiddette “false partenze” della letteratura sull’innovazione. Siamo convinti che anche una “falsa partenza” possa generare processi interessanti se l’idea viene analizzata correttamente e approfondita.

La call è internazionale. Che cosa vi aspettate?

Io mi aspetto un flusso importante di idee e potenziali prodotti e servizi per l’innovazione dell’alta formazione. E spero anche di sollecitare startup che magari non hanno mai pensato di lanciare soluzioni per l’altra formazione. Sarei felice di vedere imprenditori, che magari operano in altri settori, contribuire con le loro idee e competenze tecnologiche allo sviluppo di un processo fondamentale della nostra società, la formazione. Ultimo ma non meno importante: creare cultura dell’innovazione nell’alta formazione. Siamo ancora ancorati a modelli del passato. Penso sia arrivato il momento di rivedere drasticamente i modelli educativi.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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