“Chiariamo subito: non abbiamo contatti né progetti con i cinesi. Noi difendiamo l’italianità: territoriale, e quindi ligure, e nazionale”. Alessandro Garrone ci tiene a precisarlo. Perché se si digita su Google Fondazione Garrone, il primo risultato che viene fuori è in cinese. “Me ne sono accorto proprio mentre me lo fa notare. Farò risolvere la cosa” dice.
Del resto lui ha poco tempo per smanettare su internet. Classe 1963, Alessandro è il secondogenito di Riccardo, e nipote del più famoso Edoardo, il nonno che nel 1938 avviò l’attività industriale del gruppo ERG e alla cui memoria è dedicata la Fondazione Garrone. Oggi Alessandro Garrone è vice presidente esecutivo e Presidente del Comitato Strategico di ERG SpA, Presidente del Consiglio di Amministrazione di ERG Renew (società che opera nel settore della produzione di energia da fonti rinnovabili) e Presidente della Fondazione Edoardo Garrone. “Una fondazione di tipo culturale-operativo voluta da una famiglia di imprenditori italiani. Che oggi guarda con interesse alle startup. E anche all’open innovation” dice.
Ci spieghi meglio.
La fondazione è stata costituita nel 2004 a Genova da ERG Spa e San Quirico Spa, società holding delle famiglie Garrone e Mondini. Nei primi anni, sotto la guida di mio padre, svolgeva soprattutto attività di tipo culturale: convegni, organizzazione di eventi e dibattiti sulla storia e sull’arte. Dal 2009 abbiamo preso una piega diversa in seguito alla crisi economica: ci siamo resi conto che una delle emergenze principali del Paese era la disoccupazione giovanile. Così abbiamo deciso di concentrarci soprattutto sui giovani con iniziative rivolte a loro. Oggi, sotto la mia presidenza iniziata nel 2013, possiamo dire che la mission della Fondazione Garrone è duplice: da una parte la formazione, attraverso progetti didattici dedicati ai bambini delle scuole primarie e ai ragazzi delle scuole secondarie di primo e secondo grado, fino ai corsi di alta specializzazione post laurea. Dall’altra, l’imprenditoria giovanile: abbiamo deciso di aiutare le startup attraverso la creazione di ReStartApp, incubatore d’impresa per il rilancio dell’economia appenninica, e ReStartAlp, campus per lo sviluppo di idee di impresa e startup impegnate nelle filiere produttive tipiche del territorio alpino. Entrambe le iniziative fanno parte di un progetto più ampio, il progetto Appennino, con l’obiettivo di realizzare una nuova economia della montagna italiana, che può offrire una concreta opportunità per nuovi modelli di insediamento e di creazione di impresa.
Dunque con la montagna si fa business?
L’economia della montagna può valere molto. Le faccio un esempio. Prima di partire con questo progetto, abbiamo commissionato uno studio per capire che tipo di business può nascere dall’Appennino. È emerso un dato interessante: l’Italia importa dall’Est legna da ardere per più di 200 milioni all’anno. Curando la legna offerta dall’Appennino, non solo riusciamo a evitare questa spesa ma potremmo utilizzarla per l’export. Un altro esempio?
Prego.
Curando il bosco appenninico potremmo evitare i numerosi danni alluvionali che si ripetono spesso in Italia con un impatto enorme sull’economia. Ecco, questo territorio può generare molto business, bisogna solo valorizzare i settori giusti: turismo, bosco, flora e fauna, prodotti alimentari dop.
Ci faccia entrare in Fondazione: com’è composta e come opera?
La sede operativa è a Genova in un palazzo storico nel centro della città. Oltre al presidente, il team della fondazione è composto dal direttore generale Francesca Campora, e da altre tre persone. C’è poi un comitato scientifico e dei consulenti esterni che ci aiutano nei vari progetti.
Quanti soldi mettete a disposizione per realizzare la mission della Fondazione?
Per tutti i progetti, annualmente, circa un milione di euro.
E per le startup in particolare?
Varia a seconda degli anni: nel 2014 abbiamo lanciato un solo campus per ReStartApp che ci è costato tra i 200 e 250mila euro; nel 2015 abbiamo raddoppiato i campus e nel 2016 abbiamo lanciato ReStarAlp. Ma nel frattempo abbiamo avviato una collaborazione con Fondazione Cariplo che ha deciso di sostenerci nel progetto su startup ed economia della montagna.
Che cosa pensa dell’ecosistema italiano?
Credo che abbia un grosso problema, e non è quello economico: manca sinergia e collaborazione tra le varie realtà che decidono di investire sulle startup. Ci sono molti attori che vogliono investire, e i soldi non mancano. Ma ognuno vuole rimanere chiuso nel proprio progetto, senza aprirsi agli altri. E, invece, l’unione fa la forza. Noi lo abbiamo sperimentato sulla nostra pelle: quando la Fondazione Cariplo ha deciso di appoggiare il nostro progetto siamo cresciuti, sia come fondi sia come progetti.
Come vengono selezionate le startup che partecipano a ReStartApp e ReStartAlp?
Valutiamo soprattutto due aspetti: la motivazione del team e un progetto che possa avere un mercato di riferimento e apportare innovazione in settori dell’industria tradizionale, come appunto quella dell’Appennino.
Dunque startup che possono rientrare in un discorso di open innovation.
Esatto. Abbiamo selezionato una startup che propone l’utilizzo dei droni per il controllo dei boschi e per l’agricoltura; e un’altra che propone app per favorire il turismo locale. Entrambe possono dare una bella svolta innovativa alle aziende.
E la sua azienda di famiglia, la Erg, che cosa pensa dell’innovazione aperta?
Siamo sempre stati incuriositi dalle nuove tecnologie ma finora abbiamo sperimentato l’innovazione solo internamente, a livello di materiali e di produzione. Sappiamo, però, che i tempi stanno cambiando: l’innovazione aperta non è più un optional per le aziende. Se vogliamo crescere ed essere sempre più competitivi, dobbiamo abbracciare strumenti e competenze tecnologiche che arrivano dall’esterno, che siano startup, università, programmatori. Ed è un discorso che vale anche per Erg Renew e le energie rinnovabili.
A proposito di energie rinnovabili, lo scorso anno la startup di un ragazzo di 20 anni che produce mini-turbine eoliche da utilizzare sui tetti delle case, è stata rilevata da quattro investitori americani per oltre 5 milioni di euro.
Magari i prossimi potremmo essere noi!
Per approfondire il tema dell’open innovation, conoscerla e soprattutto capire come guidarla e trarne vantaggio, si può far riferimento all’iniziativa del Gruppo Digital360: una piattaforma che a 360° tocca tutti i temi dell’innovazione aperta.