Affidarsi a un incubatore o a un acceleratore? Oppure tentare la fortuna da sé con il crowdfunding? Quale scegliere? Sono domande che spesso i fondatori di startup si pongono e sull’argomento ci sono pareri contrastanti. C’è chi esalta le potenzialità degli incubatori che, finanziati da grandi società o università, “incubano” letteralmente una nuova impresa in cambio di spazi e servizi. A livello internazionale il modello sta vivendo un calo di popolarità, da quando spuntano ovunque acceleratori di imprese che giocano sulla velocità con programmi di breve durata, seed investment per il lancio iniziale, tutoraggio di mentor esperti e che accompagnano la startup dalla creazione di un business model all’ingresso nel mercato.
[REPORT: I 50 acceleratori più importanti d’Europa]
La forza dei programmi di accelerazione sta nella rete di contatti ai quali si accede: la community di investitori, business angel e venture capitalist, media e blogger che possono dare visibilità all’azienda, imprenditori in grado di aiutare i fondatori nelle prime fasi.
I dubbi sulla loro validità sono tanti, innanzitutto perché è difficile accedervi, specie a quelli più rinomati: Y Combinator e TechStars, leader negli Stati Uniti, accettano dal’1 al 3 per cento delle domande. Poi perché ad oggi non sono tanti i casi di successo di startup che hanno sfondato dopo aver partecipato ad acceleratori, gli unici big sono Dropbox e Airbnb, lanciati da Y-Combinator.
Di certo, sono un importante aiuto per entrare in contatto con la comunità di investitori internazionali, soprattutto se il proprio Paese mette a disposizione poche risorse per le startup. A condizione, però, di scegliere il programma idoneo per il proprio business, valutandone reputazione, ampiezza del network di riferimento, specializzazione della formazione e dei mentor.
Per aiutare le startup ad orientarsi tra tutti i programmi di accelerazione, sono state realizzate molte ricerche che cercano di studiarne potenzialità ed effettivo valore, ma ad oggi è difficile valutare il loro l’impatto sul mercato e, ancor di più, calcolarne il numero. Ci sono state alcune operazioni di catalogazione lodevoli, ma necessitano di un continuo aggiornamento e non riescono a fare una fotografia completa di tutti gli acceleratori presenti nel Vecchio Continente.
Come bussola esistono alcuni database, ma non sono periodicamente aggiornati perciò non possono essere ritenuti esaustivi. A marzo 2012, è stato lanciato il sito Startup Factories, che ha preso avvio dalla ricerca Nesta sugli acceleratori europei e statunitensi, con l’elenco di una cinquantina di programmi sparsi per l’Europa. Su questa catalogazione abbiamo basato il nostro report sugli acceleratori, consapevoli che nel frattempo sono nati molti altri programmi.
Un’altra utile fonte è Seed-DB, la piattaforma fondata da Jed Christiansen, del team di Google EMEA Channel Sales di Londra, ma anche questa non può essere considerata completa. La prima delle difficoltà che si incontrano quando si tenta un censimento è definire cosa s’intende per acceleratore e come distinguerlo dagli incubatori, startup studios, spazi di co-working e simili. Startup Factories, ad esempio, prende in considerazione soltanto i programmi con processi di applicazione aperti a tutti ma competitivi; con finanziamenti pre-seed in cambio di equity della società; che hanno un tempo limitato (massimo un anno); che sono aperti a classi di startup piuttosto che a singole aziende e sono focalizzati sui team più che sui fondatori.
Secondo alcune community del web, come Startup F6S, ci sarebbero addirittura più di 600 acceleratori e programmi in tutta Europa. Anche la Commissione europea ha cercato di far chiarezza sull’argomento, fondando “Startup Europe’s Accelerator Assembly”, un network per connettere imprenditori, acceleratori e esperti del settore, e organizzando, a inizio anno, la prima “Accelerator Assembly Conference”, insieme con gli acceleratori Seedcamp e TechStars, e Startup Weekend, Nesta and How To Web. Nel corso della conferenza Jed Christiansen ha presentato i risultati della ricerca condotta tramite Seed-DB, secondo la quale ci sarebbero circa 200 acceleratori di startup nel mondo, una sessantina soltanto in Europa, in base ai suoi parametri di riferimento.
A fare da apripista a tutti questi programmi è stato Y Combinator, nel 2005, lanciando un modello imitato in tutto il mondo e finanziando oltre 500 aziende in circa 30 differenti mercati. L’acceleratore californiano, definito da Forbes il migliore al mondo, mette a disposizione seed investment di 120 mila dollari due volte l’anno, in cambio del 7 per cento di equity delle startup che potranno seguire un programma di accelerazione in Silicon Valley.
In Europa, i principali acceleratori sono Seedcamp, TechStars London (Springboard) e Startupbootcamp, ai quali si affiancano una serie di iniziative nazionali, in parte private in parte sovvenzionate dai governi. L’organizzazione di base è più o meno simile per tutte (si segue il modello Silicon Valley), con programmi che durano da poche settimane a 6 mesi, fino al un massimo di un anno, finanziamenti seed in cambio di quote di capitale, tutor e mentor a disposizione dei team, Demo Day finale durante i quali i partecipanti hanno la possibilità di presentare il proprio pitch a gruppi di business angel e ventur capitalist internazionali.
Il primato è della Gran Bretagna (non a caso è il Paese più promettente per le startup), ma negli ultimi anni una grande vivacità si nota anche nei Paesi del Nord ed Est Europa. Molti di questi acceleratori sono organizzati da grandi compagnie delle telecomunicazioni e dei media, come Wayra (Telefónica), Hub:raum (Deutsche Telekom), Orange FAB (Orange), ProSiebenSat.1 Accelerator, Axel Springer Plug & Play Accelerator, Bonnier’s Accelerator, BBC Worldwide Labs, Mediafax’s M.incubator, Pearson’s Catalyst for Education, Yandex’s Tolstoy Summer Camp, Working Capital (Telecom Italia) e Vodafone Xone Italia.