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Acceleratori di startup: è la fine di un modello?

Gli acceleratori di startup faticano a produrre risultati e vengono sostituiti da venture builder e startup studio. Ecco come il modello si sta evolvendo. Ma in Italia molti programmi sono strutturati come se fossimo ancora nel 2010-2015

Pubblicato il 15 Nov 2022

acceleratori startup

Ma alla fine gli acceleratori di startup producono risultati?

Su questo tema ci siamo confrontati a Tel Aviv all’interno dell’EIT Ecosystem Summit con Natalie Mano(Pepsico), Ines Matias (Medtronic), Chen Shmilo (8200 Alumni Association) e Patrick Consorti (Schoolab).

Vi riassumo le principali evidenze emerse dalla discussione.

Acceleratori di startup, siamo all’epilogo del modello

Spoiler: grandi perplessità sul modello che fatica sempre più a produrre risultati e che forse è prossimo all’epilogo (venture builder e startup studio i candidati alla successione).

Y Combinator a parte, un business model che fatica a stare in piedi

Antefatto: i risultati prodotti dagli acceleratori sono in genere modesti. Y Combinator a parte (che però ha ricostruito tutta la catena del valore andando oltre l’early stage) è difficile trovare acceleratori il cui modello di business sia sostenibile. Quasi tutti gli altri o vengono sussidiati da capitali pubblici (in virtù del loro impatto positivo sulla cultura imprenditoriale) o si sono trasformati in provider di servizi per imprese (Techstars, Plug&Play, 500 Startups, per fare alcuni nomi). In entrambi i casi la conclusione è simile: il business model originariamente concepito (la creazione di batch di potenziali unicorni da cui ottenere un pezzo di equity in cambio di supporto alle fasi di crescita iniziale) non tiene.

Le aziende stesse non beneficiano dagli acceleratori

Problema: i risultati prodotti dagli acceleratori (ossia innovazione implementabile) per le stesse imprese sono parimenti modesti. Non a caso le principali aziende che erano state tra gli early movers hanno dismesso, ridimensionato o profondamente ristrutturato i loro programmi (per citare solo alcuni esempi: Wayra di Telefonica per chi se lo fosse perso non è più un programma di accelerazione, la stessa Tim ha dismesso Working Capital). Perché? Perché l’early stage non è un buon fit per le aziende: le startup nelle prime fasi non sono candidati credibili né per sperimentazioni (il Venture Client funziona – bene- con le scaleup) né per investimenti (qui serve un veicolo dedicato – il CVC  – che in  genere si concentra su startup mature).

Un momento dell’EIT Ecosystem Summit di Tel Aviv – Foto CMedia Group

Come stanno cambiando gli acceleratori?

Soluzione (forse): molti programmi stanno spostandosi su startup più avanzate (le scaleup appunto) e su challenge corporate driven, di fatto rinnegando la propria funzione originaria (accelerare l’early stage) e andando a scimmiottare – con un vestito disegnato per altri fini e quindi di per sé inefficiente – il venture client.

Se guardiamo ad alcuni dei programmi che hanno fatto un restyling importante (Start Path di Mastercard, Rise di Barclays, I’MNOVATION di Acciona) emergono alcuni tratti comuni:

  • Hanno di fatto abbandonato il modello a batch
  • Non chiedono più equity come condizione di accesso (al massimo si tengono delle opzioni di investimento a condizioni di mercato)
  • Non fanno più education e training
  • Non sono più programmi fisici (on site) ma si sono virtualizzati (già pre-pandemia e stanno tornando in persona)

I tratti evolutivi sono consistenti con l’obiettivo: intercettare soluzioni mature (le scaleup non cedono equity, non hanno bisogno di essere educate, non si spostano).

Le logiche sono sempre più vicine al modello di venture client che però non richiede, per essere gestito efficientemente, una infrastruttura così pesante.

Tratti e logiche che non vedo in molti dei programmi di accelerazione (anche corporate) italiani, che sono ancora strutturati come se fossimo nel 2010/2015. 

Ma chi si occupa dell’early stage?

L’elefante nella stanza: ma se i programmi di accelerazione chiudono o si indirizzano sempre più verso le scaleup, chi si occupa delle startups early stage?

La soluzione sembra essere altrove. I candidati sono rispettivamente i venture builder (quando le iniziative vengono gestite a trazione aziendale) e gli startup studio (quando le startup sono progettate fuori dal contesto aziendale). Va però segnalato come “jury is still out” per entrambi questi modelli. I risultati – se ci saranno – ci diranno se l’early stage ha trovato una nuova casa che prenda il posto di quella – ormai datata – degli acceleratori.

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Alberto Onetti
Alberto Onetti

Chairman (di Mind the Bridge), Professore (di Entrepreneurship all’Università dell’Insubria) e imprenditore seriale (Funambol la mia ultima avventura). Geneticamente curioso e affascinato dalle cose complicate.

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