Se è vero che – come scrive Alessandro Baricco nel suo saggio The Game – i presupposti per la digitalizzazione della società si sono creati con l’affermarsi dei videogiochi, allora anche il binomio retail – gamification potrà accrescere la sua importanza nel futuro prossimo, rimodellato dai cambiamenti che la pandemia ha vertiginosamente accelerato.
Tecnicamente, quando si parla di gamification, ci si riferisce all’inserimento di meccaniche tipiche del gioco all’interno di contesti di per sé non ludici, allo scopo di influenzare il comportamento della persona, incentivandone determinate azioni. Nel contesto retail essa diventa un mezzo in grado di agire sul comportamento del consumatore, ormai con un molteplice obiettivo: migliorare la customer experience, aumentare le vendite e rafforzare la loyalty del cliente.
Ma ultimamente stiamo assistendo ad una gamification in senso lato, che procede su un doppio binario: non solo l’applicazione di principi del gioco in altri ambiti, ma anche l’istituzione da parte dei brand di nuovi touchpoint per il consumatore finale, concepiti all’interno di applicazioni ludiche. Nella moda, ad esempio, sia Burberry che Gucci hanno sperimentato in questa direzione, proponendo videogiochi proprietari o sneaker virtuali da indossare nel mondo del gaming. Questo genere di operazioni strizza l’occhio alla Generazione Z, da cui dipenderanno sempre di più i consumi, e sfrutta il traffico in crescita che le piattaforme di gaming hanno registrato dall’avvio della pandemia.
Ad ogni modo, entrambe le prospettive hanno un denominatore comune: l’acquisizione di dati preziosi, che possono contribuire ad una prima o migliore profilazione del consumatore, determinando un impatto positivo nelle strategie di marketing. In cambio, il consumatore è ingaggiato e può ottenere, a seconda dei casi, ricompense o gratificazioni, che provocano anche un rafforzamento del legame con la marca o il retailer.
Retail e gamification: le origini
Nonostante la gamification possa sembrare un approccio piuttosto innovativo nel settore del commercio, in realtà affonda le sue radici in strumenti che apparentemente sono distanti da una logica ludica, ma che invece ne condividono i meccanismi.
Le classiche raccolte punti, che accomunano moltissimi retailer di settori diversi, ne sono un chiaro esempio. Nate come programmi fedeltà per indurre il consumatore a reiterare gli acquisti presso l’esercente, promettendo premi e sconti, da sempre fanno leva sulla psicologia umana, in particolare sul sistema di ricompensa insito nel cervello, che modifica la percezione della spesa.
Ora che però il concetto di esperienza assume sempre più peso nel retail, che a sua volta è imprescindibile dalla fusione tra il mondo fisico e quello digitale, ecco che la gamification assume una nuova veste, incentrata sulla creatività, sull’intrattenimento e sull’apprendimento, oltre che sull’utilizzo delle tecnologie più moderne.
La gamification dei brand sportivi nel retail
Particolarmente indicate per lo scopo risultano essere le tecnologie di realtà virtuale e aumentata, che possono offrire nuove possibilità nel customer journey del consumatore, con un taglio ludico-creativo.
La filiale giapponese di Nike l’anno scorso ha lanciato un’app che permette di realizzare delle sneaker personalizzate e vederle in realtà aumentata, attraverso un processo molto originale, che parte analogico e termina digitale.
I clienti, infatti, possono colorare come desiderano su un libro in bianco e nero delle scarpe già stampate. A quel punto, basterà scannerizzare tramite l’app la pagina per vedere in dimensioni reali un modello 3D della scarpa, che riflette istantaneamente i cambiamenti sul foglio. Appena completata la colorazione, ogni utente può firmare la propria creazione e inviarla al team editoriale dell’azienda. È anche possibile salvare e utilizzare il progetto personale in video animati, da condividere sui social media.
Anche la rivale Adidas cavalca il trend della gamification, puntando sulla costruzione di una community di sportivi, su cui sviluppare un legame con il brand. Nel 2015 il colosso tedesco ha acquistato l’app per il monitoraggio delle prestazioni sportive Runtastic, ora diventata Adidas Running. Sono numerose le sfide che vengono proposte sull’app, ognuna delle quali fissa un obiettivo sportivo da raggiungere entro una scadenza. In questo modo il brand fa leva sul gusto della competizione e sul senso di appartenenza degli utenti, ottenendo dati su performance, abitudini e preferenze utili per supportare efficacemente le iniziative di direct marketing.
Gamification ed esperienze in store: il caso Natuzzi
Ma se chi si rivolge da una vita agli sportivi ha una vocazione naturale per il gioco, ci sono invece realtà che in qualche modo hanno portato la gamification in store, creando tool che non solo stupiscono, ma offrono al consumatore la possibilità di arricchire la propria esperienza, per valutare al meglio un possibile acquisto, attraverso le tecnologie più avanzate.
È il caso della nostrana Natuzzi, che già nel 2019 ha siglato una partnership con Microsoft, per portare i visori a realtà mista Hololens dapprima nel suo Augmented Store di New York, un concept di negozio altamente digitalizzato, progressivamente esteso a tutto il network italiano.
Il cliente che indossa gli occhiali può accedere ad uno spazio espositivo digitale in cui visionare tutta la gamma, in un vero e proprio showroom virtuale in cui visualizzare i divani come se fossero reali e interagire con essi, modificando colori e finiture. Inoltre, i consumatori possono muoversi anche all’interno della propria casa virtuale – ricostruita fornendo al negozio le immagini delle stanze da arredare – scegliendo i modelli desiderati, posizionandoli nell’ambiente, testando tutte le varianti disponibili e osservandoli da ogni punto di vista. Prima di uscire dal negozio, il cliente può richiedere di ricevere via e-mail un rendering a 360°, da esplorare successivamente sullo smartphone o con i visori di realtà virtuale.
Puntare sulla gamification per connettere i propri clienti con un ecosistema retail, per poi alimentare un circolo virtuoso. È questa la proposta di Nexi, che si rivolge ai possessori delle sue carte e aderenti al programma fedeltà con una campagna temporanea di Instant Win. Per ogni transazione effettuata il cliente guadagna un token (due se la transazione viene eseguita tramite smartphone) che può convertire immediatamente in un gratta e vinci digitale, con cui può vincere voucher o buoni sconto presso i retailer aderenti all’iniziativa.
La gamification per i lavoratori
Ma la gamification non è solo appannaggio dei consumatori, in quanto può essere uno strumento da utilizzare anche con i dipendenti, allo scopo di aumentarne la produttività. Proprio nel retail Amazon sta espandendo da qualche mese un programma esistente dal 2019 chiamato FC Games, facoltativo per i lavoratori, che introduce sei mini-giochi in stile arcade direttamente nelle postazioni lavorative dei magazzini, sbloccabili solo dopo aver completato i propri compiti lavorativi. Questo tipo di approccio, nella visione del colosso di Seattle, contribuisce a ridurre la monotonia di una mansione ripetitiva e stimola la competitività dei team di lavoro, che tramite i giochi possono anche ottenere ricompense digitali.
In definitiva, la gamification resta una tecnica in grado di portare valore in qualsiasi contesto business, essendo poliedrica e spesso implementabile con investimenti molto contenuti. In modo particolare nel retail, dove questo approccio si diffonderà sempre di più, dal momento in cui valorizzare e cogliere il massimo dall’esperienza omnicanale del consumatore è e sarà il tema centrale delle strategie di retail marketing.