ELETTRONICA DI CONSUMO

Perché Bose chiude la metà dei suoi negozi nel mondo e punta sull’ecommerce

L’azienda di apparecchiature audio fondata nel 1964 da un ricercatore del MIT chiuderà 119 negozi in Europa, Nord America, Australia e Giappone. Manterrà invece i 130 in Cina, Emirati Arabi, India, Sudest asiatico e Corea del Sud. Motivo: l’incremento dell’ecommerce. Qui la storia di Bose e le ragioni della svolta

Pubblicato il 17 Gen 2020

Bose

La crisi dei negozi fisici fa un’altra vittima: la statunitense Bose, tra le più note produttrici di apparecchiature audio, chiuderà tutti e 119 i negozi che possiede in Europa, Nord America, Australia e Giappone. Lo ha comunicato l’azienda in una nota, motivando la decisione con il fatto che i suoi prodotti “sono sempre più acquistati attraverso l’e-commerce”. Il numero dei licenziamenti non è noto.

Come è nata e che cosa fa Bose

Bose viene fondata nel 1964 a Framingham, nel Massachusetts (Usa), da Amar Bose, che già da ragazzino, affascinato dall’elettronica, smonta i dispositivi per capire come funzionano, e sogna un giorno di inventarne di nuovi. Il giovanissimo Bose mette in piedi un’attività di riparazione radio nella casa dei genitori, per poi iscriversi al MIT, il Massachusetts Institute of Technology, diventando in seguito ricercatore dell’ateneo. Qui concepisce numerosi brevetti e, anziché concederli in licenza a un’altra impresa, decide di tenerli e avviare un’azienda tutta sua.

Il primo dipendente di Bose è uno dei suoi studenti, Sherwin Greenblatt, in seguito presidente dell’azienda dal 1985 al 2001. Di giorno Amar Bose insegna al MIT, la sera partecipa all’elaborazione delle idee nel campo dell’audio per conto dell’azienda da lui fondata.

Bose vende sistemi audio e altoparlanti domestici, cuffie con cancellazione del rumore, prodotti audio professionali e sistemi audio per automobili. La società è nota per essere particolarmente protettiva nei confronti dei suoi marchi e brevetti. L’attuale presidente e CEO di Bose è Philip W. Hess. Nel 2019, Bose Corporation ha fatturato 4 miliardi di dollari , dando lavoro a più di 9.000 persone.

Bose e il trasferimento tecnologico

L’azienda rappresenta un caso di open innovation ante litteram, in particolare  attraverso un processo di trasferimento tecnologico, dal momento che esiste uno stretto legame tra questa realtà imprenditoriale e il mondo accademico da cui è scaturita e in cui ha le sue radici. Non a caso il proprietario di maggioranza di Bose Corporation è il Massachusetts Institute of Technology, che riceve dividendi in contanti attraverso le azioni donate dal fondatore nel 2011 senza diritto di voto.

Perché il retail di Bose è andato in crisi

Bose ha aperto il suo primo negozio al dettaglio nel 1993. I negozi, attualmente localizzati in molti centri commerciali sparsi per gli Stati Uniti e nel mondo, offrono prodotti come le famose cuffie con cancellazione del rumore, ma anche altoparlanti intelligenti e occhiali da sole che fungono anche da auricolari.

“Dato il forte passaggio allo shopping online in mercati specifici, Bose prevede di chiudere i restanti 119 negozi al dettaglio in Nord America, Europa, Giappone e Australia nei prossimi mesi”, si legge in una nota diffusa in questi giorni. Resteranno invece aperti gli altri 130 negozi in Cina e negli Emirati Arabi Uniti, più quelli in India, Sudest asiatico e Corea del Sud.

In merito ai posti di lavoro, Bose precisa che i lavoratori coinvolti riceveranno assistenza per il ricollocamento, oltre alla liquidazione. “Ulteriori dettagli, incluso il numero di dipendenti interessati, rimarranno privati”, conclude l’azienda.

Colette Burke (Bose): “Ci concentriamo sui bisogni dei clienti”

“In origine, i nostri negozi al dettaglio hanno dato modo alle persone di sperimentare con noi i sistemi di home entertainment” dice Colette Burke, vicepresidente delle vendite globali di Bose. “A quel tempo era un’idea rivoluzionaria: ci siamo concentrati su ciò di cui i nostri clienti avevano bisogno e dove ne avevano bisogno. Ora stiamo facendo la stessa cosa. È difficile, perché la decisione ha un impatto su alcuni dei nostri straordinari team nei negozi che ci rendono orgogliosi ogni giorno. Si prendono cura di ogni persona che attraversa quelle porte, che si tratti di aiutare qualcuno con un problema, dare consigli o semplicemente lasciare che qualcuno si prenda una pausa per ascoltare grande musica. Nel corso degli anni, hanno fissato lo standard per il servizio clienti. E Bose è grato a tutti loro”.

La crisi dei negozi: non solo Bose

La trasformazione digitale ha influito pesantemente in un ambito che per secoli era stato considerato a-tecnologico, fatto sostanzialmente di incontri e accordi tra le persone. Il nuovo retail ha contribuito alla crisi dei negozi fisici, ma, come ogni rivoluzione, ha anche offerto nuove opportunità ai rivenditori. Opportunità che hanno vari nomi: multicanalità, cross-canalità, omnicanalitàopen innovation, retail.40, logististica 4.0,  emotional retail e molto altro. Ognuno di questi nomi porta con sé uno o più concetti innovativi legati alle tecnologie. Ma non sempre i grandi retailer sono in grado di gestire questi nuovi strumenti a loro vantaggio.

Bose non è il solo retailer a serrare i battenti. Il 2019 ha visto un incremento nelle chiusure dei negozi: Forever 21, Walgreens, Dressbarn, GameStop, Gap sono alcune delle catene che hanno chiuso l’anno scorso negli Usa per un ammontare complessivo di 9.300 negozi. Lo rileva la Coresight Research, evidenziando un balzo di circa il 60% rispetto all’anno precedente. E, secondo UBS, altri 75.000 negozi potrebbero scomparire entro il 2026.

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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