NUOVE NORME

Moda e sostenibilità: perché l’Unione europea vuole dire addio al fast fashion

L’impatto dei prodotti tessili sull’ambiente è al quarto posto in Europa dopo cibo, alloggio e trasporti. Perciò l’UE vuole dichiarare guerra al fast fashion, la moda “usa e getta” a poco prezzo, con norme per favorire l’uso di fibre riciclate, contenere quello delle microplastiche, vietare la distruzione dell’invenduto

Pubblicato il 07 Apr 2022

Fast fashion

L’Unione europea si prepara a dire addio al fast fashion, quel settore dell’abbigliamento che realizza abiti di bassa qualità a prezzi estremamente ridotti e lancia continuamente nuove collezioni in tempi brevissimi. In un ottica di sostenibilità, l’UE intende contrastare l’economia dello spreco, dell’obsolescenza programmata e della distruzione delle merci invendute, a partire proprio dal settore del tessile e dell’abbigliamento, per il quale ha annunciato nuove norme ad hoc. Alla base della futura normativa ci sono nuovi comportamenti dei consumatori, che si stanno sempre più dedicando al riuso, al riciclo e al reselling, anche perché intenzionati ad adottare stili di vita più corretti e meno inquinanti.

Ma vediamo innanzitutto cos’è il fast fashion e perché non è più sostenibile per il pianeta.

Fast fashion: cos’è e perché è in crescita da anni

Un tempo acquistare vestiti era un evento occasionale, che accadeva solo qualche volta nel corso dell’anno al cambio di stagione o quando gli abiti non erano più ritenuti adatti al nostro corpo. Ma circa 20 anni fa qualcosa è cambiato. I vestiti sono diventati più economici, i cicli di tendenza hanno accelerato e lo shopping è diventato un hobby. Da qui il fenomeno del fast fashion, alimentato anche dallo shopping online.

Il  termine si riferisce dunque alla velocità con cui i prodotti di abbigliamento vengono fabbricati e immessi sul mercato per un immediato utilizzo da parte dei consumatori. Leader del settore è il gruppo spagnolo Inditex (ne fa parte Zara) che possiede una serie di  noti marchi. Secondo Statista, Inditex ha venduto 2,9 miliardi di capi nel 2019. Oltre alla velocità nel turnover di vestiti nei negozi, c’è il problema della rapida distruzione dell’invenduto, che va al macero.

Cosa vuol fare l’UE per una moda più sostenibile

A marzo 2022 l’UE ha annunciato una serie di proposte per contrastare il fenomeno della “moda veloce” rendendo l’abbigliamento più facile da riparare e più duraturo. “È tempo di porre fine al modello ‘prendere, fare, rompere e buttare via’ che è così dannoso per il nostro pianeta, la nostra salute e la nostra economia”, ha detto il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans. “La ‘moda veloce’ dovrebbe diventare fuori moda e i servizi di riutilizzo e riparazione economicamente redditizi dovrebbero essere ampiamente disponibili”, si legge in una nota.

Il piano, che ora sarà negoziato dagli Stati membri e dai legislatori dell’UE, mira a garantire che entro il 2030 i tessuti venduti nell’UE vengano realizzati il più possibile con fibre riciclate. Si vuole inoltre contenere il rilascio di microplastiche e migliorare le condizioni di lavoro globali nell’industria dell’abbigliamento.

In base alle nuove norme verrebbe introdotta un’etichettatura sugli indumenti che specifichi quanto siano facilmente riciclabili e rispettosi dell’ambiente. Sarebbe inoltre vietata la distruzione di prodotti invenduti “a determinate condizioni”, compresi gli indumenti che sono stati restituiti ai negozi.

Perché è necessario fermare il trend dell'”usa e getta”

L’UE sostiene che i prodotti tessili hanno il “quarto più elevato impatto sull’ambiente e sui cambiamenti climatici” nelle 27 nazioni che la compongono dopo cibo, alloggio e trasporti. Si stima che gli europei acquistino 26 chilogrammi di abbigliamento e biancheria per la casa pro-capite all’anno, il 73% dei quali viene importato, e buttino via circa 11 chilogrammi di tessuti. La produzione tessile è raddoppiata in tutto il mondo tra il 2000 e il 2015, ma meno dell’uno per cento dei prodotti viene riciclato e fino al 35 per cento delle microplastiche rilasciate nell’ambiente provengono da abbigliamento a base di poliestere o acrilico.

“Vogliamo che i prodotti sostenibili diventino la norma”, ha dichiarato il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans. “I vestiti che indossiamo dovrebbero durare più di tre lavaggi”. Il progetto che metterà fine alla moda a poco prezzo e di bassa qualità rientra in un pacchetto di proposte che mirano, nell’ambito del Green Deal, a fare della sostenibilità dei prodotti la norma, non l’eccezione, nell’Unione Europea.

Le nuove regole varranno “per tutti i prodotti venduti sul mercato europeo, indipendentemente da dove vengano fabbricati“, ha detto il commissario all’Ambiente Virginijus Sinkevicius, per rendere la maggior parte dei beni fisici prodotti e venduti sul mercato Ue meno dannosi per l’ambiente, “circolari” ed “efficienti” in tutto il loro ciclo di vita.

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