Matteo Sarzana (Deliveroo): con le consegne a domicilio nuovi modelli di relazione con i clienti

Coronavirus Fase 2, le opportunità delle consegne a domicilio

Con l’emergenza coronavirus i ristoranti hanno compreso e scoperto i servizi di delivery, dice il general manager di Deliveroo Italia. Nella Fase 2, quindi, guarderanno con occhi diversi a questo canale. Che richiede un nuovo modello di relazione con i clienti, che si conoscono solo a distanza

Pubblicato il 23 Apr 2020

Nelle strade deserte delle città, soprattutto la sera, si vedono sfrecciare solo i rider. Il food delivery nell’emergenza coronavirus si è rivelato un’ancora di salvataggio per chi è stato costretto a restare a casa e per molti ristoranti. Quanti? Dei 10mila che aderiscono al servizio di Deliveroo in Italia circa il 30%, ci racconta in questa video intervista Matteo Sarzana, General manager della (ex) startup inglese fondata nel 2013 da Will Shu e Greg Orlowski, nella quale ha investito anche Amazon.

Con questi numeri il food delivery, come la gran parte delle attività, non poteva non risentire degli effetti negativi del lock down. E, infatti, sono state ricercate altre strade, come la consegna a domicilio della spesa e non più solo dei piatti pronti. Ma i ristoranti restano il core business di Deliveroo che ha messo in atto una serie di misure a loro sostegno così come ha fatto per i rider. E i ristoranti che hanno continuato a tenere aperte le cucine per il delivery hanno visto crescere gli ordini a doppia cifra. Non solo: nel mese di marzo il numero dei ristoranti che ha chiesto di aderire al servizio di Deliveroo è aumentato del 40% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso.

Nel mondo della ristorazione l’emergenza coronavirus lascia una migliore comprensione del delivery, che porta business aggiuntivo, coperti che non c’erano e che non potranno esserci nella Fase 2 per la necessità di mantenere il distanziamento sociale riducendo i posti a sedere. In Italia il 35% dei consumi alimentari passava dalle consegne a domicilio prima della pandemia: questa percentuale è destinata a cresce nell’era post coronavirus. Coldiretti, ad esempio, ha chiesto un’apertura anticipata di bar e ristoranti per l’asporto e il food delivery. Ed è probabile che molti locali riapriranno appena possibile puntando su questi canali alternativi alla sala.

Su una cosa quindi non si tornerà indietro, commenta Sarzana: guardare con sospetto o scetticismo le tecnologie digitali.  Tantissimi ristoranti che non avevano neanche considerato il delivery, adesso stanno cercando di capire, scoprono magari che è molto più semplice di quanto pensassero e che la parte tecnologica è tutto sommato semplice.  Più impegnativo è il ripensamento del modello di relazione con i clienti. “La questione non è solo come preparare il cibo o organizzare la cucina per servire bene anche il flusso del delivery”, osserva Sarzana nella videointervista. “I ristoranti sono abituati ad avere una relazione fisica con il cliente, adesso devono capire che la relazione passa anche attraverso una card che possono inserire per accompagnare il piatto attraverso il contatto digitale che hanno utilizzando la nostra piattaforma”.

La digitalizzazione forzata della primavera 2020 porterà sicuramente molti cambiamenti anche in un servizio phygital per eccellenza come il food delivery. Nel settore c’è molta effervescenza anche perché stanno scendendo in campo soggetti che finora avevano guardato con superbo distacco questo genere di servizio, per esempio l’alta ristorazione. q

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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