In questi giorni di pandemia il mondo fa i conti con una tragedia socioeconomica dalle proporzioni immani. E mentre ci si adopera affinché il problema sanitario rientri il prima possibile, inevitabilmente ci si interroga per capire come affrontare al meglio il dramma economico. Da questo punto di vista non è solamente necessario studiare provvedimenti per tamponare le perdite, ma anche progettare la ripresa. Una ripresa che però avverrà in un contesto profondamente diverso, di cui è necessario comprendere fin da ora le dinamiche, per ideare strategie efficaci.
Se l’impatto del coronavirus sul business è indiscutibilmente trasversale, impossibile non pensare alle conseguenze sulla cosiddetta Retail Industry, ossia l’insieme degli esercizi commerciali, trasversale per sua stessa natura poiché raggruppa a valle molteplici settori: Grocery, Fashion, Cosmetica, Fai da Te e così via. L’intero mondo Retail nell’epoca ante coronavirus stava già attraversando un’importante fase di transizione, cominciata nel nuovo millennio con l’avvento dell’e-commerce e diretta da qualche anno verso un nuovo paradigma, incentrato su diversi concetti emersi intorno al perno della omnicanalità, evoluzione della più semplice multicanalità. Giuseppe Stigliano e Philip Kotler lo definiscono Retail 4.0 e in un libro in cui elencano le dieci regole su cui esso si fonda (lettura consigliata, soprattutto se vi interessano le tematiche del Retail Marketing).
Ma quale sarà il futuro del retail, alla luce dei cambiamenti imposti da questa emergenza globale?
È sotto gli occhi di tutti il nuovo boom dell’e-commerce, favorito dalla quarantena a cui il mondo è sottoposto. Per avere la misura del fenomeno, basti pensare che perfino la logistica di Amazon, finora esempio di meccanismo pressoché perfetto, è andata in crisi. O che, secondo una ricerca lampo di Netcomm (associazione delle principali aziende di commercio online), il 75% degli acquirenti online in questo periodo non aveva mai sperimentato l’e-commerce in precedenza. La Rinascente ha annunciato già nello scorso novembre il lancio di un hub online europeo per il commercio di lusso, dove verranno venduti soltanto prodotti appartenenti al segmento Premium. Solo in Italia, nella prima settimana di quarantena, i FMCG (fast-moving consumer goods, in altre parole i beni di largo consumo) hanno subito un’impennata nelle vendite online pari all’81% (dati Nielsen), grazie alla crescita della eGrocery. Si potrebbe continuare con altri esempi, supportati da evidenze chiarissime. Teoricamente è corretto affermare che più questa emergenza si prolungherà, più le vendite online aumenteranno.
Il retail fisico non è morto, è tramontato il modo di proporlo
Dunque, ci risiamo: questa nuova accelerazione delle vendite su Internet sancirà la fine del Retail fisico? Chi ha avuto modo di analizzare i cambiamenti degli ultimi anni sa che questa domanda è già emersa, così come la risposta. Lo vediamo noi stessi: non è morto il Retail fisico, semmai è già tramontato un certo modo di proporlo. Gli store fisici hanno delle peculiarità, necessarie per il consumatore contemporaneo e complementari al canale ecommerce. Pertanto, si è sviluppato un modello che pone al centro l’integrazione a 360° tra il commercio fisico e quello digitale.
Alla ripresa questo modello resterà la stella polare per qualsiasi retailer, ma ci saranno delle nuove dinamiche, che introdurranno qualche cambiamento al paradigma. In alcuni casi si tratterà di un consolidamento di tendenze già riscontrate, in altri di nuovi stimoli per ripensare la propria value proposition e/o i rispettivi business model.
Concentrandoci prettamente sul Retail fisico, proviamo a immaginare quali possano essere i nuovi concetti da considerare alla ripartenza.
1. Proximity maximization
La rivalutazione dei piccoli venditori
Traducibile come massimizzazione della prossimità, una sfida strategica che riguarda sia i grandi retailer che quelli più piccoli. Un concetto che va oltre la massima riduzione delle distanze con la clientela, assomigliando di più ad “esserci dove, quando e come vuole il cliente”. Le grandi catene hanno già dato vita ad esperimenti, alcuni avviati con successo, altri in cantiere. Ad esempio, nella GDO i negozi di prossimità come Carrefour Express o PAM Local sono realtà ormai affermate. Più in generale, si diffonderanno sempre di più format di prossimità focalizzati su assortimenti selezionati, con specifici servizi o pensati per target ben definiti. Questa tendenza gioverà anche ai venditori al dettaglio più piccoli, in quanto c’è da scommetterci che la gente in questo periodo li ha rivalutati molto, sia per i minori tempi di attesa che per quella relazione umana di cui mai come ora si è compresa l’importanza.
Acquistare seduti in macchina: un nuovo trend?
Tra l’altro, occhio all’assist che fornirà il mercato immobiliare commerciale, che chiuderà il 2020 con una contrazione degli investimenti del 30% in Europa e del 25% in Italia (secondo una ricerca di Scenari Immobiliari). A breve potrebbe verificarsi un eccesso di offerta di proprietà ad uso commerciale, che inevitabilmente abbasserà il prezzo di equilibrio e favorirà chi ha maggiore liquidità. In questo momento anche i format To-Go o Drive Thru (in cui si acquista stando seduti in macchina) sono particolarmente funzionali, e verosimilmente nei prossimi mesi vedremo nuove applicazioni, in settori che al momento non immaginiamo nemmeno.
E a proposito di immaginazione, non deve certo mancare ad Enrico Pandian, che insieme a Tommaso Magnani è il fondatore di FrescoFrigo, una startup che ha inventato un frigorifero smart con prodotti freschi e di qualità, rinnovando i classici schemi del Vending basato sui distributori automatici. L’utente si registra al servizio, apre il frigo tramite app (proprio come con il car sharing), preleva i prodotti, richiude e l’ammontare di quanto preso viene automaticamente addebitato sul sistema di pagamento registrato. Esattamente, il frigo riconosce i prodotti prelevati. Con l’arrivo del coronavirus, il colpo di genio: perché non installare questi frigoriferi intelligenti per creare dei veri e propri supermercati nei condomini, visto che la gente è costretta a rimanere in casa e a limitare le uscite per gli acquisti essenziali? Quando si dice trasformare la minaccia in opportunità.
Andare in profumeria con una videocall
Ma la prossimità immaginabile per il futuro è ancora più fluida. Ci può essere spazio per applicazioni che sfruttano sempre di più la digitalizzazione degli store, creando customer jouney alternative. Esperienze ibride a cavallo tra una tradizionale visita in un negozio e una sessione di ecommerce. Pensiamo alla signora che si recava sempre nella sua profumeria di fiducia per acquistare una crema e che oggi non può più farlo a causa della quarantena. Certo, la può acquistare online, magari sul sito della stessa catena in cui si reca abitualmente. Ma non è la stessa cosa, non c’è quella parte umana che per lei fa la differenza, mancherebbe quella componente relazionale e consulenziale fondamentale. Si, è vero, magari può chiedere aiuto al chatbot messo a disposizione, ma l’empatia non è codificabile in un linguaggio di programmazione. Così domani potremo avere la possibilità di aprire l’app della nostra catena di fiducia e, invece di acquistare direttamente online, potremo avviare una video call con il nostro punto vendita di fiducia, fare due chiacchiere, vedere le novità più interessanti e perché no, concludere anche un acquisto con un clic. I negozi quindi si potranno attrezzare per le visite online, affiancate a quelle tradizionali. Magari vedremo commesse itineranti indossare occhiali smart, in grado di filmare l’ambiente circostante per visite da remoto. Ulteriori sviluppi della realtà aumentata e di quella virtuale potrebbero rendere il tutto ancora più funzionale.
L’impatto positivo avverrebbe anche sui business model, che si arricchirebbero di nuove fonti di ricavo. In queste settimane abbiamo già avuto una grossa diffusione di consulenze a distanza, coaching e quant’altro, che saranno definitivamente integrate nell’offerta dei retailer. Uscendo dal Retail, un esempio di questi giorni è dato dall’e-fitness con le lezioni a distanza, che ridisegneranno la value creation architecture delle palestre. Lo store che quindi diventa anche una sorta di hub consulenziale, connesso alla rete negli orari di apertura. Un modo per ottimizzare gli investimenti sul canale fisico, oltre che per garantire la possibilità di imputare al singolo negozio vendite realizzate a distanza.
2. Drive-to-Store 2.0
Partnership tra i negozi per catturare il cliente
Questa nuova visione della prossimità sfocerà anche in un rafforzamento delle partnership tra imprese, che riguarderanno più da vicino numerose realtà locali. La collaborazione tra attori, appartenenti a diversi settori ma ad un unico network territoriale, diventerà un asset ancora più strategico. Il concetto di Drive-to-Store evolverà, facendo leva su iniziative sempre più creative e win-win.
Facciamo un esempio: un negozio di abbigliamento ricercato della città vuole sfruttare il traffico che si genera tutti i giorni in uno dei bar più rinomati del centro per farsi notare. Invece di lasciare il classico flyer sul bancone, propone di prestare due manichini al gestore del bar, che li lascerà seduti ad un tavolino, vestiti con le ultime novità. I clienti entrano nel bar, li notano e rimangono stupiti. Avvicinandosi, scoprono che se faranno visita a quel negozio entro il weekend riceveranno uno sconto del 10%, basta ritirare e presentare quel coupon appoggiato sul tavolino. Inoltre, quella sorta di vetrina improvvisata e dislocata diventa per il bar una fonte di guadagno nuova e stabile. Magari questo esempio è bizzarro, irrealizzabile, genera alcuni problemi e qualcuno ha già fatto qualcosa di meglio. Probabile, ma è giusto per rendere l’idea.
In generale, il Drive-to-Store dovrà portare vantaggi sempre più tangibili per tutte le parti in gioco. Quindi va da sé che alcuni concetti che si sono già affermati da diverso tempo nel panorama contemporaneo del Retail non potranno che rinforzarsi. Parliamo degli store visti come destinazione, della personalizzazione della customer experience, della gratificazione del consumatore, e via discorrendo.
3. Cashless Attitude
Stop al pagamento in contanti nei negozi
È prevedibile un’accelerazione nell’utilizzo dei sistemi di pagamento elettronici e digitali. La svolta potrebbe essere promossa dagli stessi consumatori, anche in un Paese come l’Italia, che storicamente sconta un ritardo nell’adozione di questi strumenti. Infatti, in piena emergenza Covid-19, i cittadini sono maggiormente sensibilizzati sui rischi sanitari del contante, che passando di mano in mano può rappresentare un importante veicolo di infezione. Ergo, tutti dopo avranno più voglia di pagare con carte o smartphone, e questa spinta porterà ad una maggiore adozione delle modalità cashless da parte dei retailer.
Gli stessi retailer potrebbero favorire il pagamento cashless, proprio per evitare che il personale venga a contatto con i soldi. A questo scopo è plausibile pensare ad un aumento dei meccanismi di incentivazione, ad esempio tramite promozioni di cashback (sul modello di Satispay), ossia sconti se si paga con una carta o con uno smartphone. Da considerare anche che i tempi duri a cui andiamo incontro possono aumentare il malcontento sociale, che a sua volta innalzerebbe il rischio di furti e rapine all’interno dei negozi. Con la diminuzione del contante in cassa verrebbero in parte contrastati.
Negozi senza casse né cassieri: un modo per ridurre gli assembramenti
Abbiamo già visto come Amazon abbia stupito tutti con il suo format Amazon Go, il supermercato cashless per definizione, dove il concetto è elevato alla massima potenza, grazie alla tecnologia Just Walk Out. Il checkout sparisce, non ci si deve più fermare alla cassa. L’autenticazione digitale agli accessi, insieme ad un sistema sofisticato di telecamere, rilevano ciò che si prende dagli scaffali (o si rimette), addebitando il totale sul metodo di pagamento scelto dall’utente, una volta uscito dallo store. Un sistema che tra i vari vantaggi ha quello di diminuire decisamente gli assembramenti, che spesso si verificano alle casse (anche se automatiche) e vicino ad alcuni scaffali. Geniale, tanto che è prevedibile un aumento di questi format non solo nella GDO, visto che la stessa Amazon ha iniziato a concedere in licenza la sua tecnologia.
Attenzione anche al discorso criptovalute, che potrebbe ritornare in auge qualora qualche big company del Retail decidesse di accettare pagamenti in criptovaluta, o addirittura di coniare la propria valuta su una rete Blockchain, creando allo stesso tempo un nuovo tool di fidelizzazione, le cui potenzialità sono ancora da esplorare. Quest’ultima opportunità permetterebbe al cliente di detenere in un wallet digitale una quantità di moneta utilizzabile solo presso gli store o sull’e-commerce dell’azienda. Last but not least, i retailer otterrebbero flussi di cassa al di fuori del tradizionale circuito bancario. E la cosa potrebbe fare comodo.
4. Hygiene Obsession
Punteggi per gli store che rispettano gli standard igienico-sanitari
Nel paragrafo precedente si parlava di come il contante possa essere un veicolo di infezione finora sottovalutato, con la conseguenza che cresceranno i volumi di transazioni cashless. Ma in generale questa pandemia lascerà in dote un’attenzione verso gli aspetti igienico-sanitari senza precedenti, con evidenti riflessi sul settore Retail. In questo senso, i consumatori saranno perfino disposti a pagare di più per ottenere maggiori garanzie. È un discorso che riguarda tanto le caratteristiche di prodotto quanto le pratiche dei retailer e l’organizzazione degli stessi punti vendita. Nel 2017 mi recai per qualche giorno a Copenaghen e mi ricordo che mi colpì una cosa: ogni bar o locale in cui si somministravano cibo e bevande aveva esposto all’ingresso un adesivo con uno score, relativo agli standard igienico-sanitari rilevati a seguito di regolare ispezione nel locale. Si tratta del Food Hygiene Rating Scheme, un vero e proprio marchio di qualità per orientare la scelta dei consumatori, in totale trasparenza. Questo modello diventerà sempre di più la normalità, ma soprattutto potrebbe essere esteso anche ad altri settori del Retail.
Magari cambieranno molte esperienze di acquisto, nelle modalità in cui le conosciamo da sempre. Penso, ad esempio, ai negozi di abbigliamento: ci proveremo ancora vestiti e accessori con la consueta facilità, sapendo che prima di noi li hanno provati altre persone? Oppure consideriamo una profumeria: probabilmente ci sarà più diffidenza nel provare i prodotti tramite tester, a cui possono accedere tutti liberamente.
Ecco che allora ancora una volta la tecnologia arriva in soccorso, tramite soluzioni che sono già state adottate e che potranno diffondersi ancora di più. Proprio nel settore della cosmetica alcuni retailer già da tempo hanno installato nei loro negozi degli smart mirror, specchi in grado di applicare sul viso del cliente qualsiasi prodotto make-up. Le stesse tecnologie di AR si trovano online, su diversi ecommerce di noti produttori e distributori. E tornando ai negozi di abbigliamento, non sarà così improbabile imbatterci in un prossimo futuro in concept store in cui i capi sono solo esposti, come in uno showroom. Per provarli sarà sufficiente entrare in un camerino hi-tech, in cui lo specchio ci mostrerà come stiamo con quei jeans che ci piacciono tanto, rilevando anche le misure per suggerirci la taglia ideale.
Ho elencato qualche spunto per cominciare a pensare al dopo, perché una ripresa ci sarà. Con modi e tempi ancora da definire, ma ci sarà. È innegabile che il Retail subirà anche delle conseguenze negative, con una razionalizzazione delle reti di vendita e ulteriori dinamiche che potranno provocare delle serie ricadute occupazionali, ma costruire una visione per il futuro aiuta ad arrivare pronti. E questo farà sempre la differenza.
Voi che ne pensate?
(In questo video una conversazione approfondita sui temi analizzati nell’articolo)