Informare, intrattenere, stupire i clienti con l’efficacia e la semplicità delle immagini, creando al tempo stesso un layout moderno, che si rinnova ogni giorno al semplice tocco di un dito, e offrendo nuovi servizi e nuove modalità di engagement con il negozio. È questo, spiegato in estrema sintesi, il potenziale del digital signage, che attraverso schermi e display sempre più eclettici sta diventando per il retail uno dei punti di contatto fondamentali tra mondo fisico e dimensione on line. Non si tratta solo di amplificare l’esperienza del consumatore con idee, suggestioni e interazioni, ma soprattutto di adattare gli spazi del retail alle mutevoli esigenze della domanda, a cui oggi l’offerta ha la possibilità di rispondere cambiando letteralmente in tempo reale e declinando di conseguenza comunicazione e promozione in store. Un’esagerazione? Non proprio, se pensiamo a quello che si può ottenere combinando social network e analytics. La partnership globale tra IBM e Twitter, per esempio, mette a disposizione del retail uno strumento formidabile per cogliere istantaneamente i trend del momento. Il cognitive computing di Watson analizza la semantica dei tweet ed estrapola, georeferenziandoli, tendenze e sentiment.
♦ Stretch display, un nuovo modo di amplificare le immagini
La versatilità e la rilevanza degli schermi, però, non si esprimono solo sul piano delle funzionalità. È prima di tutto il lato estetico, per ovvi motivi, quello che permette ai device di integrarsi negli spazi di negozi e pubblici esercizi, valorizzandoli. E anche se le cose stanno gradualmente cambiando – attraverso l’adozione di un’ottica omnicanale, con il punto vendita fisico che diventa sempre più un alter ego dei portali e-commerce – sappiamo tutti che architettura e layout sono nella stragrande maggioranza dei casi orientati all’ottimizzazione dell’esposizione della merce o dell’erogazione del servizio. Sottrarre spazio a scaffali e banconi per inserire i tipici big screen può risultare problematico e rivelarsi addirittura controproducente. A meno che non si punti a uno stretch display, ovvero a uno schermo 16:4,5 (quindi di larghezza doppia rispetto a un tradizionale 16:9) che grazie alla sua conformazione “slim” può essere inserito sopra o sotto gli espositori, o lungo un corridoio, ottenendo massima visibilità e minimo ingombro, o ancora, sfruttando in maniera creativa la possibilità di installarlo in senso longitudinale, su colonne e pareti, anche dentro i camerini, dove le immagini possono accompagnare le prove degli abiti suggerendo complementi e accessori in offerta.
♦ Design e prestazioni: la Serie SHF di Samsung
Samsung è all’avanguardia in questo genere di soluzioni. Quella che il mercato definisce Digital Signage, per Samsung è infatti già Smart Signage, con tutto ciò che l’infusione di intelligenza comporta nell’adozione e nell’utilizzo dei dispositivi. La Serie SHF offre per l’appunto uno stretch display formato 16:4,5, 37 pollici con una risoluzione FHD di 1920×1080 pixel, una luminosità di 700 nit, un rapporto di contrasto 4000:1 e un angolo di visuale di 178 gradi per una fruibilità senza compromessi. Con soli 39,9 millimetri di spessore, la Serie SHF garantisce il minimo ingombro pur custodendo al proprio interno una tecnologia che va oltre la semplice proiezione delle immagini. Bassi consumi, massima affidabilità e un hardware garantito dagli standard di qualità di Samsung rendono la Serie SHF l strumento ideale per rimanere continuamente in funzione, 24 ore su 24, sette giorni su sette. “Quella che offriamo non è un’esperienza nuova solo per i clienti finali, ma anche per le imprese che vogliono trasformare le proprie location in ambienti capaci di comunicare attraverso le immagini senza limiti di spazio e formato”, spiega Martino Mombrini, Markerting Director della divisione IT di Samsung Italia. “Lo stretch display è la massima espressione dell’idea di duttilità e creatività all’interno del punto vendita. La digitalizzazione e l’amplificazione della user experience sono concetti destinati a rivoluzionare il modo in cui il consumatore si rapporta al negozio (e lo stanno già facendo), ma servono gli strumenti adatti per tradurli in realtà quando si parla di contesti peculiari e dalle mille sfaccettature come quelli del Retail moderno”.