Un’innovazione “a quattro punte”, gestita dai sistemi informativi per quanto riguarda l’innovazione tecnologica, dal marketing per il lato cliente, dalle vendite per innovare la parte commerciale e dagli acquisti per l’innovazione di prodotto: così Iper La grande i, uno degli attori della grande distribuzione organizzata in Italia, affronta le necessità dell’azienda di affrontare la trasformazione digitale per restare al passo con i concorrenti nel mondo del retail. Lo spiega a EconomyUp Gian Maria Gentile, da maggio 2018 direttore sistemi informativi di Iper La grande i, dopo precedenti esperienze in Accenture e Carrefour Italia e una laurea in Ingegneria gestionale al Politecnico di Milano.
IPER E FINIPER: COME SONO NATE E CHE COSA FANNO
Nel 1974 Marco Brunelli lancia il primo ipermercato italiano a Montebello della Battaglia, in provincia di Pavia. A quarant’anni di distanza, Brunelli è ancora a capo dell’azienda. Nello stesso anno viene fondata Finiper, che diventerà la holding finanziaria del Gruppo. Nel 1985 apre a Cremona il primo centro commerciale italiano. Nel 2004 viene concepito l’ipermercato a misura di metropoli: Iper Portello, nel centro di Milano, un punto vendita di nuova concezione che contribuirà alla riqualificazione del quartiere, ottenendo un particolare riconoscimento dalla Commissione Edilizia del Comune di Milano per la qualità urbanistica e architettonica. Nel 2016 viene inaugurato il 27esimo ipermercato a insegna Iper ad Arese.
FINIPER E L’INNOVAZIONE: PARLA IL CHIEF INFORMATION OFFICER
Lo spunto per parlare con Gian Maria Gentile dell’innovazione in Finiper arriva dalla recemnte presentazione di del FoodTech Accelerator, un acceleratore a Milano per 7 startup del food selezionate tra centinaia in tutto il mondo, coordinato da Officine Innovazione di Deloitte, in collaborazione con Amadori, Cereal Docks e, appunto, con il Gruppo Finiper, che tra l’altro ospita le startup nei suoi spazi al Portello.
Finiper e il FoodTech Accelerator
Che cosa pensa di ricavare Finiper dalla partecipazione al Food Tech Accelerator?
Il vero valore di questo programma non è solo legato alle 7 startup selezionate. L’attività di open innovation fa più riferimento alla prima parte del programma, durante la quale, attraverso una call, abbiamo aperto i nostri bisogni a spunti e soluzioni provenienti da tutto il mondo, raccogliendo circa 300 adesioni. Sono venute fuori tante idee che poi verranno approfondite al di fuori del percorso di accelerazione. Il FoodTech Accelerator deve necessariamente rispondere ai bisogni di una filiera, perché i partner sono di filiera, quindi una startup specifica per il mondo del retail non sarebbe mai entrata in questo programma di accelerazione. Tuttavia il nostro contributo di scouting su un numero così elevato di startup ci ha dato la possibilità di accedere a tante idee. Non certo idee in libertà, ma guidate. Non credo che l’open innovation senza vincoli possa rappresentare un modello per l’innovazione. Un’attività così analitica su un numero così elevato di startup ci fa anche riflettere sulle difficoltà che possono essere generate da un overload innovativo. È importante saper scegliere cosa fare e dove innovare.
Vi siete trovati di fronte a un impasse?
Su 300 ne dovevamo scegliere sette. La domanda era: chi butto giù dalla torre? E spesso buttare giù dalla torre una startup significa perdere un’opportunità di sviluppo interessante. Quindi quella startup buttata dalla torre devo in qualche modo andarla a recuperare e, all’interno di un percorso di innovazione, magari guidato dalla mia azienda al di fuori dell’acceleratore, portarla a bordo e ricevere contaminazione.
Retail e startup: quali cerca Finiper
Quindi avete intenzione di recuperare startup non incluse nella selezione. In quali settori?
Quelli un po’ più vicini al miglioramento della customer experience di negozio. Quindi startup che aumentano le informazioni a favore del consumatore finale, startup tecnologiche a favore della semplificazione del processo di check out, startup di processo sui nuovi mondi dell’home delivery, o anche startup che vanno a toccare la parte che garantisce una maggiore sopravvivenza nel futuro, ovvero la gestione dei dati. In particolare quelle che, andando in profondità su alcuni pezzi dell’informazione che attualmente raccogliamo nei nostri punti vendita, riescono ad aiutare il distributore a tirare fuori del valore dai dati, per poi reintrodurre questo stesso valore nel commercio a favore del consumatore.
Da quando Finiper ha cominciato a interessarsi alle startup?
Personalmente ho una grande propensione al mondo delle startup perché ho un Dna abbastanza innovativo, mi piace innovare e anche attraverso il Politecnico di Milano mi sono spesso avvicinato al mondo delle giovani imprese innovative. Nella precedente esperienza che ho fatto in Carrefour era un po’ più difficile avvicinare il mondo delle startup e integrarle all’interno della realtà aziendale. Magari entravo in contatto con delle idee ma poi finivano lì perché c’era una sorta di resistenza alla trasformazione. In Finiper siamo più aperti.
Finiper e l’innovazione interna
All’interno di Finiper come è strutturata la parte innovazione?
Facciamo un’innovazione a 4 punte. All’interno dei sistemi informativi io mi occupo maggiormente dell’innovazione tecnologica, il marketing punta a un’innovazione lato cliente, le vendite a un’innovazione commerciale e gli acquisti a un’innovazione di prodotto. Non c’è un Innovation Manager.
Una scelta?
Non credo che dotarsi di una figura unica rappresenti la migliore modalità per fare innovazione, perché c’è il rischio che diventi il progetto dell’Innovation Manager senza trovare il commitment dagli altri. Preferisco piuttosto avere un commitment da tutti gli attori dell’azienda, quindi far entrare la cultura dell’innovazione in tutte le funzioni, in maniera trasversale ma ciascuno per la propria area. Del rapporto con le startup, per esempio, me ne occupo io, ma potrebbe arrivare anche da altri.