Ecommerce B2B in Italia, siamo ancora indietro ma è possibile recuperare il ritardo. Secondo il rapporto “Scenario e trend del B2B Digital Commerce” reso pubblico da Netcomm pochi giorni fa, il valore lordo delle merci scambiate online nel B2B a livello mondiale è di 12mila miliardi di dollari, ovvero sei volte quello del B2C. Bastano questi numeri a far capire quanto il mercato digitale del business to business (che spesso resta dietro le quinte rispetto al cugino B2C) sia importante e possa essere un motore di ripresa dalla crisi che stiamo vivendo non solo a livello nazionale.
Come è facile immaginare, proprio il valore del digitale anche nel frangente B2B è emerso con tutta la sua potenza e prepotenza nel periodo del Covid, offrendo opportunità di incontro e business laddove, all’improvviso, era diventato impossibile viaggiare e fare meeting o partecipare a fiere per buyer ed export manager. Nonostante l’accelerazione subita, però, in Europa, e in Italia specialmente, l’ecommerce B2B resta ancora a un livello embrionale. Vediamo perché e quali possono essere le leve per farlo crescere.
Ecommerce B2B: Asia e Usa in cima alla classifica
L’80% del mercato online B2B si sviluppa in alcuni Paesi asiatici (Cina, Giappone, Sud Korea) e in Usa, dove peraltro hanno sede i maggiori marketplace B2B – un esempio fra tutti è il cinese Alibaba.com che nel primo trimestre del 2020 ha visto crescere i merchant del 38%, le transazioni aumentare del 60% in numero e del 71% in volumi.
In Europa invece, come dicevamo, il livello di sviluppo del settore è ancora embrionale: il valore del mercato è di 355 milioni di dollari, di cui solo una parte minima fa capo all’Italia. Ma perché nel nostro Paese questo settore è così poco sviluppato?
B2B in Italia: perché siamo indietro?
In primis, c’è un tema di digitalizzazione, in cui l’Italia è fanalino di coda: il recentissimo aggiornamento del DESI (Digital Economy and Society Index), che misura il livello di alfabetizzazione digitale nell’UE, nel 2020 ci colloca al 25esimo posto su 28 Paesi, in peggioramento rispetto al 2019, davanti solo a Romania, Grecia e Bulgaria.
È bene notare che con digitalizzazione non indichiamo soltanto la capacità del singolo di usufruire di strumenti e servizi digitali, ma anche la presenza di servizi per le imprese che nascono direttamente digitali e che quindi possano semplificare tutti quei processi del business to business online: si pensi alle fatture digitali, pagamenti online, linee di credito attivabili senza la necessità di stampare pile di carta.
C’è inoltre da considerare che i marketplace B2B hanno naturalmente bisogno di un servizio finanziario di supporto del capitale circolante che sia integrato, dunque di una banca o una società fintech che supporti l’incasso delle fatture. Si tratta di un servizio imprescindibile perché è lo stesso motore della crescita del marketplace che altrimenti si troverebbe bloccato. E qui arriviamo al secondo grande freno per l’Italia, perché sotto questo punto di vista, l’intero ecosistema italiano è frenato da un triplice problema:
• i tempi di pagamento sono estremamente lenti;
• il credito bancario è scarso e caratterizzato da processi farraginosi;
• i servizi finanziari digitali sono ancora in una fase embrionale del proprio sviluppo.
Il problema del circolante italiano
Nel nostro Paese sono specialmente le aziende medio piccole a soffrire per tempi di incasso estremamente lunghi, che non hanno paragoni con altri paesi europei: per le medie imprese sono di 94 giorni e per le piccole sopra i 100 giorni. Questo fattore inevitabilmente riduce la competitività del sistema Italia anche quando si tratta di B2B.
Il secondo tema, dicevamo, è quello del credito bancario: non solo le PMI ricevono poche risorse da questo canale, ma soprattutto, i processi in atto nelle banche presentano diversi colli di bottiglia. Se guardiamo all’anticipo fatture bancario, osserviamo che da marzo 2012 fino a giugno 2019 l’outstanding è passato da 130 miliardi di euro a circa 65 miliardi, con una contrazione costante che in media all’anno ammonta al -8,8%. A fronte di ciò, è cresciuto il factoring, ma con un ritmo molto più lento (2,2% all’anno) che non compensa il calo riscontrato sul fronte bancario. Questo significa che le imprese hanno meno soldi a disposizione per fare investimenti, comprare nuovi materiali, fare stock di magazzino.
L’ultima faccia del problema del credito in questo frangente è la disponibilità di servizi bancari nativamente digitali. Secondo uno studio recente di CapGemini, tra il 2016 e il 2019 gli investimenti IT delle banche sono aumenti in media del 4% all’anno, ma la maggior parte di questi investimenti è stata dedicata ai servizi di front-end, ovvero alle interfacce digitali sul web, o in generale ai punti di contatto con l’utente finale. Non sono stati usati invece per efficientare le attività amministrative, di back-office, di analisi del credito: processi che l’azienda non vede ma subisce in termini di tempi lenti, alta burocrazia, intoppi e rallentamenti di vario genere che sono in netto contrasto con la crescente necessità di velocità, trasparenza, snellezza che inevitabilmente richiede chi ha bisogno di fare business online. E infatti, alla fine dei conti, gli stessi utenti intervistati da CapGemini non rilevano una migliore esperienza.
Il risultato della scarsità di investimenti nelle operazioni di back-end è in queste settimane sotto i nostri occhi: delle oltre 47mila domande di prestiti garantiti del Decreto Liquidità, ne sono stati accolti solo circa 11mila, e per alcuni istituti di credito i numeri di erogato non superano alcune decine. Una débâcle, che riflette una ancora diffusa incapacità di gestire le pratiche in maniera efficace, che risulta più evidente in un periodo di picchi di richiesta come quello attuale.
Le soluzioni per sviluppare l’ecommerce B2B
Sviluppo delle competenze e dei servizi digitali e ottimizzazione del circolante sono quindi le leve che possono fare crescere l’ecommerce B2B.
È fondamentale riuscire a sollevare le imprese dall’eterna sete di liquidità attraverso sistemi fruibili e tecnologicamente semplici, con servizi end-to-end che consentano per esempio – come accade sulla piattaforma di Workinvoice – di passare dall’emissione della fattura elettronica all’incasso in maniera diretta: così si ottimizzano supply chain e procurement. Per fare un altro esempio che ci riguarda direttamente, essere nativamente integrati con l’istituto di pagamento ci consente di ridurre
drasticamente i tempi di riconciliazione dei pagamenti, i tempi di latenza, gli errori. E questo significa che l’impresa potrà gestire il proprio circolante in maniera molto più fluida e già compatibile con il business online.
La crisi pandemica ha reso evidente che non è più possibile per individue e imprese rimandare: è il momento di fare il balzo tecnologico che finora è mancato, senza il quale il nostro Paese resterà un gigante dai piedi di argilla.