Holding multinazionale con sede in Svizzera fondata nel 1983 per riaffermare il swiss-made nel settore dell’orologeria dopo la costante crescita di brand giapponesi negli anni ‘70, Swatch Group oggi tra i più importanti gruppi orologieri al mondo. Negli anni Swatch ha diversificato le proprie attività, spaziando dalla fabbricazione e vendita di orologi e gioielli alla produzione della quasi totalità di componenti necessari per realizzare orologi commercializzati con 17 brand diversi e tra i più famosi su scala globale (a cui si aggiungono i marchi di commercio multimarca al dettaglio Tourbillon e Hour Passion), con un fatturato che nel 2021 ha superato i 7 miliardi di euro.
La multinazionale svizzera è presente in Italia con negozi di tre brand (Swatch, Omega e Breguet), oltre alla catena multimarca Hour Passion, e da qualche anno sta lavorando alla trasformazione digitale. Le domande, quindi, sono tante. Come una multinazionale utilizza il digitale all’interno dei processi di vendita per innovare? Che vantaggi offrono le soluzioni digitali? E, ancora: come mai un vero e proprio colosso dell’orologeria di fama mondiale ha optato per un approccio “ibrido”, senza affidarsi a soluzioni SaaS?
Per rispondere a questi e altri quesiti Economyup ha intervistato Antonio Ciannilli – Senior IT Retail – che segue l’area retail per tutti i brand presenti con negozi a marchio in Italia, occupandosi della componente tecnologica per la digitalizzazione degli store fisici e non solo.
Per Swatch quali vantaggi offre utilizzare una piattaforma di commercio unificato?
Per quanto riguarda la nostra realtà, ovvero un gruppo internazionale, appoggiarci a questa soluzione dà vantaggi per quanto concerne il know-how. L’utilizzo di una piattaforma di commercio unificato, infatti, ci permette di condividere le competenze, con un valore aggiunto per il retail dovuto al sapere cosa fanno le altre aziende. Infatti, utilizzare una piattaforma online ci permette di apprendere idee altrui a cui non avremmo mai pensato, principalmente perché non rappresentano una necessità attuale. Qualora lo diventi, questo, ci permette di attingere a soluzioni altrui. Il nostro fornitore dal 2012 (Cegid) mette in campo come strategia l’internazionalizzazione, e per noi è una mossa vincente.
Quali sono le ragioni che vi hanno portato a scegliere di restare con soluzioni “on premise” e non SaaS?
SaaS, e di riflesso il cloud, hanno un potenziale indiscutibile, ma anche lavorare con soluzioni “on premise” garantisce una stabilità e una potenziale coesione delle informazioni per una realtà come la nostra, che ha negozi dall’Europa agli Stati Uniti e copre diverse nazioni. Banalmente, quando nel 2012 l’Italia è stata scelta per avviare il progetto pilota nell’ottica di transizione al digitale, è diventata repository di know-how per utilizzarla successivamente in diversi Paesi. Arriviamo da soluzioni client server, e dopo qualche anno di utilizzo la validità di una piattaforma unica è diventata evidente. Inoltre, il nostro partner tecnologico offre aggiornamenti continui, con una roadmap definita rispetto al rilascio di nuove release utili a seguire i trend del retail, offrendo al contempo un supporto sempre adeguato.
Che vantaggi determina per il retail l’adozione di una piattaforma di commercio unificato?
Adottare una soluzione di questo tipo ci permette di gestire prodotti che vengono classificati in stock per quantità ad altri che, invece, sono gestiti per numero di serie. Con un’unica soluzione, erogata in modalità diverse ma su un’unica piattaforma, riusciamo a gestire sia i negozi Swatch che quelli a marchio Omega con customizzazioni differenti. Inoltre, il fornitore della piattaforma si avvale di diversi partner locali “forti” – in Italia Allspark – garantendoci un supporto estremamente importante per la “business continuity”.
Come interpreta e gestisce l’omnicanalità una multinazionale come Swatch Group?
Gestiamo vendite omnicanale e di catalogo digitale con protocolli interni, ma finalizziamo le vendite dell’e-commerce attraverso una piattaforma che si adegua a quelle di terzi. La piattaforma di commercio unificato che utilizziamo, nella sua configurazione attuale – rispetto agli albori – si è evoluta molto, dandoci così la possibilità di fare una quantità di cose che, volendo, è quasi illimitata.
Quanto conta per un grande Gruppo internazionale come Swatch l’e-commerce?
A livello tecnico, stiamo pianificando un aggiornamento di release che ci permetterà di comprendere quale sia la direzione verso cui andare in futuro rispetto ai trend del retail. Negli anni abbiamo consolidato le nostre soluzioni, mentre ora attraversiamo una fase di ripartenza. Al netto di eventi specifici, come il lancio di prodotti nuovi, è tornata vitalità nelle città, e di conseguenza nei negozi fisici.
Avendo accennato a quanto sta accadendo nel “post pandemia”, che cambiamenti notate rispetto alla fase più acuta?
Per fare un esempio, gli aeroporti sono una sorta di “cartina di tornasole”. Nei momenti peggiori mi è capitato di andare negli store aeroportuali e la situazione era surreale, con l’impossibilità di parlare con i colleghi all’interno di una sorta di landa desolata. Attualmente, invece, la gente è tornata a popolarli, e questo si riflette sul business. Al netto di come viene valutata e fatta la conversione da parte delle diverse aziende, veder aumentare le persone che entrano nei negozi è sempre un plus enorme.
La tecnologia aiuta nell’aumentare le vendite o è, più che altro, un elemento abilitante per farlo ma non l’unico? E in quali parti del processo di vendita è più importante?
Dal mio punto di vista le soluzioni che un’azienda sceglie sono basate sul prodotto che vende. Ma l’elemento più importante è sapere come contare quello che hai a disposizione, perché lo strumento che utilizzi per valutare i risultati restituisce il risultato netto. Ad esempio: se vendi tanto ma non sai quanto ti resta in magazzino, non ottieni un riscontro. Se, invece, hai uno strumento che ti dice quanto hai disponibile e quanto venduto in un singolo giorno, è possibile trarre conclusioni e valutare realmente e obiettivamente le performance.
Soffermandosi sul rapporto tra innovazione e vendite, quanto pesano la componente umana e quanto quella tecnologica rispetto all’upselling?
Per quanto riguarda l’upselling il discorso è leggermente diverso: l’abilità del venditore è centrale e incide per il 60%, mentre il restante 40% è dovuto alla facilità di gestione. La tecnologia, in questo, si pone come elemento a supporto della componente umana e la accompagna. Il vantaggio principale consiste nel ridurre se non azzerare le code nei negozi. In questo aspetto la componente innovativa si rivela molto utile.
Nei negozi, la transizione al digitale ha cambiato le dinamiche d’acquisto e, di riflesso, la customer journey?
Di fatto oggi l’esperienza online del cliente avviene anche in negozio. Ma quello che conta di più è la velocità. Il cliente spesso ha l’esigenza di finalizzare l’acquisto “in fretta”, quindi proporre un catalogo digitale per quanto bello non è così importante. L’omnicanalità ci permette di ottimizzare la gestione degli stock, fondamentale soprattutto nella nostra realtà che ha vocazione internazionale. Avere un prodotto in un punto vendita in Svizzera e farlo arrivare in un altro negozio fa la differenza, per noi e per i clienti, che non trasforma ma incide anche sulla customer journey.
Quindi l’aspetto gestionale è quello più importante nella digitalizzazione del business di Swatch in Italia, almeno per ora?
Sì. Le soluzioni tecnologiche del nostro partner ci hanno aiutato e ci aiutano tanto, ma per noi riuscire a fare un inventario con i numeri di serie senza passaggi a mano è stata una svolta epocale, poiché ha ridotto se non azzerato i margini di errore. Un cambiamento di paradigma arrivato grazie alla digitalizzazione, con ampi margini per far diventare la componente tecnologica sempre più rilevante in futuro.