Nei giorni in cui si discute di programmi, contratti e proposte per una modifica della regolamentazione delle aperture e chiusure degli esercizi commerciali, può essere utile riportare lo sguardo alla realtà dei fatti e di come questo settore, che impiega più di 3.2 milioni di professionisti, stia profondamente cambiando e richieda un importante mutamento nelle competenze e dei profili occupazionali delle persone.
Contrariamente a quello che si può pensare, il tema non è quanto l’e-commerce potrà cambiare i profili occupazionali e di competenze, o come i modelli retail dovranno essere orientati verso la multicanalità, ma il mutamento è ben più profondo e risiede in un totale ripensamento del modello operativo delle aziende che operano nel settore.
Il termine retail e la figura del venditore
Storicamente al termine “retail” si è sempre associata la figura del venditore nel punto vendita fisico, che assume caratteristiche diverse a seconda della natura del bene venduto: nel negozio in cui si effettuano “transazioni” ripetitive, con merce dal prezzo ridotto e acquisti legati a bisogni “fisiologici” o “di sicurezza” (cit. Piramide Maslow) il venditore assume un ruolo di “gestore” dei processi fisici del punto vendita, dove la capacità di monitoraggio e di execution è fondamentale, mentre l’empatia e la capacità relazionale vengono messe in secondo piano; accade l’opposto nel negozio in cui si effettuano acquisti “d’impulso”, spesso con prezzi più elevati, dove invece la capacità di gestire una relazione “amicale” ed “empatica” con i clienti garantisce il successo del punto vendita e la reputazione della marca sul mercato.
Retail, il modello tradizionale deve cambiare
Ora la vera domanda è: il modello retail tradizionale deve essere considerato come superato, e quindi le imprese devono porsi il problema di quali siano le competenze di cui ora hanno bisogno? Alla luce dei cambiamenti indotti dall’uso degli strumenti digitali da parte di un numero sempre maggiore di persone, ma anche dalle nuove abitudini di acquisto e consumo, il modello deve cambiare. Il 68% dei consumatori risulta essere “digitale”; il modello di acquisto dal percorso “lineare” di awareness-consider-purchase si è evoluto verso un modello “a spaghetti” dove i touchpoint vengono toccati non in successione, e dove l’esigenza di “socializzazione” è sempre più estrema; Il consumatore non ha più l’esigenza di acquistare e poi consumare un prodotto, ma spesso vuole avere l’opportunità di sostituirlo, utilizzarlo e poi renderlo; il ruolo dei social è diventato più naturale, ed è totalmente entrato nella quotidianità di utilizzo, anche a scapito di regolamentazioni sulla privacy non al passo con i tempi.
Le nuove competenze per il retail
La rilettura del modello di funzionamento del retail deve quindi tenere in considerazione questo cambiamento e ridefinire il ruolo del punto vendita fisico all’interno di un percorso d’acquisto più articolato, arrivando anche a mettere in discussione – se necessario – la stessa ragion d’essere del negozio e di tutta la filiera di consumo tradizionale. Quali sono quindi queste competenze?
Fonte: Elaborazione EY su dati ANPAL-Unioncamere.
Drasticamente si vedranno ridotte le ore destinate nel retail connesse a “skill fisiche” o “skill cognitive di base”, in sostanza tutte le attività connesse alle operations di negozio andranno progressivamente a ridursi perché automatizzate; forte incremento invece per tutte le skills tecnologiche, nonché quelle sociali e relazionali, per riuscire ad anticipare i comportamenti dei consumatori, e riuscirne a catturare il valore complessivo.
Retail, dove mancano le competenze
Non basta però dire “skills tecnologiche” per essere certi di averle comprese, in quanto l’evoluzione delle tecnologie ha portato ad una conseguente evoluzione delle competenze nel settore.
Fonte: Survey EY 2018 su 250 aziende italiane.
Tre le aree dove il mercato del lavoro ha competenze tecnologiche assenti ma fondamentali per il retail: Social Media Management, Data Management e Digital Marketing. I brand diventano sempre più “sociali” e devono essere in grado di gestire in maniera adeguata la percezione sul canale, e al tempo stesso di sfruttare le informazioni raccolte per elaborare strategie (di pricing, di assortimento, di operations, di canale…) che risultino efficaci sul mercato. Nel 2018 il mondo del retail ha elaborato circa 182 Tb di informazioni sui consumatori, questo è il dato che emerge da una ricerca EY nel settore del retail. Queste informazioni sono patrimonio, e devono essere gestite al meglio nel rispetto delle regole GDPR europee.
Ma se queste sono le skills del futuro è importante cercare di immaginare quali saranno le professioni applicate al retail, e come quindi le aziende devono strutturarsi per riuscire a rintracciare i migliori talenti per coprire queste figure professionali.
Fonte: McKinsey Global Institute: Skill shift Automation and the future of the workforce.
Il retail cambia, e così anche il modello di business, le persone e le competenze che dovranno essere prese sul mercato. Gli operatori italiani saranno rapidi ad adeguarsi?