In molti lo hanno già definito “effetto Amazon”. Sì, Perché il colosso fondato da Jeff Bezos sembra davvero il principale indiziato del crollo negli Stati Uniti di un settore strategico per l’economia come quello del retail. Se la trasformazione digitale sta già colpendo il comparto manifatturiero, rivoluzionando quello finanziario e assicurativo, compiendo passi spediti nell’ambito dell’automotive, ora l’ondata di innovazione tecnologica sembra travolgere il mondo della vendita al dettaglio, quello di negozi e supermercati.
Per comprendere l’entità del fenomeno può essere utile dare uno sguardo ai dati pubblicati in un recente articolo del Financial Times, secondo cui saranno ottomila e seicento i punti vendita destinati alla chiusura entro la fine dell’anno (stima Credit Suisse), con una superficie commerciale di 13,6 milioni di mq. A questo va aggiunto l’ammontare dei fallimenti di catene retail statunitensi, già dieci nell’anno in corso, e la perdita in media nel settore di 9mila posti di lavoro negli Stati Uniti. Eppure le vendite al dettaglio online rappresentano, sempre negli Stati Uniti, solo il 10% di quelle totali. E i 9mila posti di lavoro persi mensilmente vanno rapportati ai 16 milioni di occupati totali nel settore.
Nonostante questi dati, però, si continua a parlare di scomparsa (o ridimensionamento) dei negozi fisici, di morte del retail per mano di Amazon, attore spietato che sarebbe una specie di acchiappatutto del settore mettendo in serio rischio la sopravvivenza di piccole e grandi catene commerciali, di problemi nel retail estate a fronte del ridimensionamento delle superfici commerciali. Che cosa sta succedendo e quali scenari si potrebbero aprire per la vendita al dettaglio? Lo abbiamo chiesto a Umberto Bertelè, professore emerito di Strategia al Politecnico di Milano e autore del libro Strategia (Egea). Ecco le sue risposte e la sua analisi.
Quello che spaventa più di tutto di Amazon è la sua continua crescita, accompagnata da un’altrettanto continua innovazione. Preoccupa l’obiettivo di un incremento delle vendite del 15% all’anno per i prossimi dieci anni, che Amazon (e per essa il suo fondatore e capo indiscusso Jeff Bezos) si è data: un valore che non sorprenderebbe se fosse relativo a un’impresa giovane, ma che – riguardandone una viceversa già molto consolidata – potrebbe sensibilmente spostare gli equilibri dell’intero settore. Preoccupa la capacità di proporre, in ambiti merceologici sempre più ampi, soluzioni estremamente competitive a livello di scelta dei prodotti e di prezzo di vendita.
Chi subisce maggiormente lo strapotere dell’azienda di Bezos?
Le strutture più in crisi in questo momento sono i department stores, ambiti commerciali che avevano avuto grande successo per la loro capacità di offrire ai clienti – che le visitavano un numero limitato di volte all’anno – una grande scelta, in settori diversi, a prezzi competitivi. Amazon, come Alibaba in Cina, è un department store “virtuale”, visitabile “virtualmente” in qualunque momento e sempre più da mobile, con un’offerta di prodotti non limitata da vincoli di spazio, con prezzi molto competitivi e con la consegna gratuita (o quasi) a casa. In questo contesto, anche una grandissima catena come Walmart (oltre 2 milioni di addetti), con un passato nemmeno troppo lontano di disrupter della distribuzione tradizionale, abituata a crescere ogni anno, soffre e cerca di trovare una soluzione ibrida online-offline che le permetta di fronteggiare ad armi pari Amazon (che nel frattempo sta sperimentando anch’essa soluzioni ibride). A maggior ragione soffrono, come si può vedere dai bilanci e dagli andamenti di Borsa, le catene di scala minore: che vedono decrescere margini e vendite e si scontrano con grosse difficoltà nei tentativi di essere presenti anche online, che spesso cercano di reagire chiudendo i punti di vendita meno redditizi ma riducendo in questo modo la scala. In altre parole non è solo la quota del 10 per cento di Amazon che conta, ma la fortissima pressione che è in grado di esercitare sui margini dei competitori fisici: pressione che le è resa più semplice da una Borsa che la valuta 480 miliardi di dollari, nonostante l’utile netto sia inferiore a 3, “leggendo” il mancato profitto come un investimento in quote di mercato.
Offerta migliore e logistica più snella rispetto al retail tradizionale, è tutto qua il vantaggio di Amazon?
No, un altro aspetto importante (non solo di Amazon) è quello dei dati. Il commercio fisico al dettaglio, per come è attualmente strutturato, permette di disporre di una quantità di informazioni sui clienti molto inferiore rispetto all’ecommerce. Sia dal punto di vista del marketing sia da quello previsionale, le imprese digitali – talora si parla di big data company – hanno un vantaggio competitivo enorme nell’intercettare le esigenze di consumo dei consumatori prima degli altri.
Ma nel settore retail davvero nessuno è in grado di innovare?
Mi sembra ci siano diversi tentativi in atto, sia nel creare business model ibridi online-offline, sia nel potenziare la raccolta di dati anche nei punti di vendita fisici, sia nello strutturare in modo diverso il layout dei punti di vendita stessi e nell’assicurare (mediante un’adeguata strumentazione elettronica) maggiori informazioni ai clienti sui prodotti che stanno esaminando e sulle opzioni alternative. Ho trovato molto interessante nei giorni scorsi un’intervista a Leonardo Del Vecchio, che parlava appunto delle innovazioni che verranno presto introdotte nell’estesissima – a livello internazionale – rete di vendita di Luxottica (in fase di fusione come noto con Essilor).
Amazon al centro quindi e tutti gli altri a contorno. È davvero questo il futuro del retail?
Il futuro è spesso più ricco di sorprese di quanto ci si possa aspettare. Credo che Amazon sia destinata a crescere, e molto, per la sua bravura ma anche per la spirale positiva che normalmente si attiva al crescere della scala. Ma non è detto per questo che si vada verso una situazione di monopolio. Potrebbero esserci interventi limitativi delle autorità antitrust, a partire da quella (sempre all’erta) dell’UE. Potrebbero esserci in alcuni Paesi interventi legislativi, invocati dal retail tradizionale. Potrebbe esserci uno scontro con Alibaba, autorità politiche permettendo, non solo nei Paesi in fase di crescita come l’India, ma anche in economie consolidate come la statunitense. Potrebbero essere gli altri grandi del digitale – Alphabet–Google e Facebook in primo luogo – a sfruttare la vicinanza ai consumatori per favorire iniziative forti in concorrenza. E, anche in assenza di tutto questo, potremmo andare verso la crescita di operatori di ecommerce molto più specializzati, che attacchino Amazon – sulla qualità e/o sui prezzi – nelle nicchie da essi presidiate.