Pocket listing, letteralmente inserzioni tascabili, è termine molto in voga negli Stati Uniti per indicare la pratica che consiste nel vendere abitazioni che ufficialmente non compaiono sul mercato immobiliare ma vengono pubblicizzate soltanto tramite una rete di agenti o privati. È diventato estremamente popolare durante la pandemia di Covid-19, e si stima che oggi in alcuni mercati fino al 20% delle abitazioni vengano vendute con questa modalità.
Secondo il New York Times, il proptech ha contribuito a far crescere la popolarità del pocket listing. Compagnie come Long & Foster e Bespoke infatti offrono database virtuali privati in cui raggruppano le case disponibili per l’acquisto ma lasciate fuori dai circuiti tradizionali, eliminando così la necessità di passare attraverso intermediari – i proprietari possono comunicare direttamente con i potenziali acquirenti – e semplificando il processo di negoziazione del prezzo.
In ogni caso, continua l’articolo del quotidiano americano, nonostante la parvenza di equità suggerita dal mondo online, i pocket listing si basano ancora, in gran parte, su una rete di conoscenze private e sul passaparola. Una modalità di vendita fondata sull’esclusività rischia di dar vita a pratiche potenzialmente discriminatorie, motivo per cui sono tanti oggi i giuristi che collocano il pocket listing in una zona grigia, a cavallo tra l’illegalità e la legalità (creando discriminazioni potrebbe infatti violare il Fair Housing Act, la legge americana che probisce ogni sorta di discriminazione nel mercato della casa).