Usare gli scarti della lavorazione del riso per costruire case. È l’idea della startup Ricehouse, che propone così una soluzione in ottica di economia circolare per l’industria delle costruzioni che dovrà puntare sempre di più sull’impiego di materiali sostenibili per ridurre il suo impatto ambientale. Ma vediamo come nasce Ricehouse, che dal 2020 è diventata società benefit.
Un progetto che ha già trovato importanti investitori. Ricehouse ha chiuso un round di finanziamento nel 2021: 600mila euro. Tra i finanziatori fondi ad impatto sociale come Boost Heroes ed Impact Hub, aziende come Riso Gallo, business angel come Il club di investitori, Angels4Women e Angels4Impact. Altri significativi investimenti sono stati effettuati da JC Decaux Holding e JC Decaux Spa.
Obiettivo di fatturato 2021: 3 milioni, 10 volte il risultato del 2020.
Ricehouse, la storia della startup
La startup è stata fondata nel 2016 a Biella da Tiziana Monterisi, architetto, e Alessio Colombo, geologo. Sono compagni nella vita, conoscono la tradizione agricola di un territorio ricco di risaie e uniscono le loro competenze professionali per dare nuova vita agli scarti della filiera del riso.
Perché il riso? Perché è presente ovunque ed è un prodotto ad alto impatto ambientale. Per ogni tonnellata di riso bianco si producono 1,3 tonnelate di paglia, 200 chili di lolla (è il rivestimento che racchiude il chicco) e 70 chili di pula (il residuo della sbiancatura) che hanno un impatto negativo sull’ambiente.
L’obiettivo di Ricehouse
Ricehouse nasce con un obiettivo ambizioso: promuovere un cambiamento responsabile ed etico del settore edilizio, partendo da un chicco di riso.
Ma cosa vuol dire partire da un chicco riso? “Noi lavoriamo su quel che del riso non possiamo mangiare”, spiega Monterisi, che è CEO della startup. “Ci focalizziamo sulla valorizzazione dei prodotti secondari della coltivazione del riso”
Il core business della startup è, quindi, riutilizzare i prodotti di scarto della filiera risicola, che contribuiscono ogni anno a produrre tonnellate di CO2. Questi prodotti oltre ad essere difficili da smaltire, contribuiscono all’inquinamento globale, immettendo nell’atmosfera sostanze tossiche e nocive.
Il processo, come racconta Monterisi, è molto semplice: si chiede al risicoltore tutto quello che non è commestibile e che viene riconvertito, grazie alla ricerca e alla tecnologia, in materiale da utilizzare nelle costruzioni, contribuendo così allo sviluppo del Contech in Italia.
L’architettura rigenerativa urbana
Qual è il legame fra una startup che si occupa di riutilizzare gli scarti del riso e il settore edilizio?
La startup sin dalla sua fondazione ha sempre cercato di trovare soluzioni sostenibili per l’uomo e per l’ambiente. Infatti, l’ambiente, inteso anche come edificio (scuola, casa) costituisce la nostra “terza pelle”, luogo dove trascorriamo il 90% della nostra giornata. Da qui l’idea di un’architettura rigenerativa, attraverso la quale non solo si costruisce senza avere un impatto ambientale ma si contribuisce alla sua rigenerazione. In sintesi, si eliminano scarti e si valorizzano gli edifici come risorsa ambientale sostenibile.
Sono diversi i prodotti che Ricehouse ricava dal riso: intonaco che assorbe la Co2, ecopittura ricavata dalla pula di riso, pannelli isolanti a base di lolla di riso.
L’obiettivo di Ricehouse: costruire case di riso
Ricehouse è diventata una società benefit, che ha quindi come obiettivo non solo il profitto ma anche la valutazione degli impatti sulla società e la biosfera.
Lo sviluppo di Ricehouse poggia su tre pilastri:
- Prodotto. Riguarda lo sviluppo e la commercializzazione di materiali edili 100% ecologici. L’obiettivo è arrivare, attraverso l’impiego di questi materiali e il marchio “Risorsa”, alla costruzione di “case di riso”.
- Progetto. Realizzazione di edifici in equilibrio con l’ambiente
- Open Innovation: stringere accordi con aziende di diversi settori interessate a realizzare soluzioni innovative mediante la conversione dei loro siti produttivi..