Uber ricorre alla Ue per difendersi dagli Stati europei che le stanno facendo la guerra, ma per ora la Commissione sembra “paralizzata”.
Come riporta il quotidiano Il Foglio, la società californiana fornitrice di un’app per noleggio auto da conducente, in rapida espansione e al centro di polemiche in varie parti del mondo, ha presentato di recente presso la Commissione Ue un secondo ricorso contro la legge francese – la Loi Thévenoud – che dal primo gennaio ha messo al bando il servizio Uberpop, quello attraverso il quale chiunque si può improvvisare autista Uber mettendo a disposizione la propria auto.
Come spiega Il Foglio riportando la versione integrale del ricorso, il documento contesta la sostanza della legge, sostenendo che al suo interno sono presenti “certe condizioni non in linea con il diritto europeo in termini di libertà di impresa”.
Per Uber siamo già a due ricorsi presentati alla Commissione contro la Loi Thévenoud. Il primo, che riguardava la mancata notifica della Francia di una norma tecnica che ostacola la libera circolazione, è ancora allo studio della Commissione.
Ma di fatto l’organismo europeo sembra paralizzato di fronte al rischio di dispiacere a lobby di tassisti e Stati membri. Come ha spiegato martedì un portavoce dell’esecutivo comunitario, “dipende da che prospettiva si guarda a Uber”: se è considerato come un taxi, allora per la Commissione la “competenza è nazionale”, se invece lo si ritiene un “service provider” (fornitore di servizi) allora la sua app dovrebbe essere libera di circolare in tutta l’Unione Europea. Ancora però l’Europa non ha deciso.
Eppure è da qualche mese che Uber sembra decisa ad affrontare le contestazioni nei vari Stati europei facendo riferimento all’ente sovrannazionale. Lo scorso gennaio, in vista di un incontro con i commissari Ue ai trasporti Violeta Bulc e al mercato unico Andrus Ansip, l’amministratore delegato di Uber, Travis Kalanick, si è spinto a promettere all’Europa 50mila posti di lavoro, sostenendo di voler crescere nelle grandi città europee, da Milano a Madrid, ma sottolineando che servono regole che consentano alla compagnia di operare. ”Se troveremo un quadro normativo che lo renda possibile, promettiamo lavoro e meno congestioni stradali” ha dichiarato l’AD in quel frangente. Promettere posti di lavoro come tentativo di ingraziarsi un continente ancora sostanzialmente ostile? Potrebbe essere. In ogni caso non è ostile ovunque.
Se infatti la Commissione di Bruxelles è in impasse, la Regione di Bruxelles ha avviato i primi passi per legalizzare Uber. Come spiega ancora Il Foglio, meno di un anno dopo che il tribunale del commercio di Bruxelles ha vietato Uber nella capitale belga, il ministro regionale della Mobilità, Pascal Smet, ha presentato un Piano Taxi per riformare in profondità il settore. Le regole dovrebbero consentire di evitare abusi e di far uscire dalla clandestinità altri operatori di servizi di trasporto paragonabili ai taxi. Uber dovrebbe assumersi le responsabilità in caso di infrazioni alle regolamentazioni, tenere un registro di autisti e autovetture da mettere a disposizione delle autorità pubbliche (comprese quelle fiscali), controllare regolarmente lo stato dei mezzi che non possono avere più di 7 anni, verificare che gli autisti abbiano la patente da almeno tre anni e un certificato penale in ordine, e farsi carico dell’assicurazione del cliente. Le auto Uber non potranno usare corsie preferenziale. Essere autisti di Uber non potrà essere un’attività lavorativa a tempo pieno. Mercoledì i tassisti locali hanno paralizzato la città per protestare. Ma, secondo il piano Smet, alla fine ci dovrebbero guadagnare qualcosa: una tassa regionale da 575 euro sarà abolita e nel tempo libero potranno fare gli autisti di Uber.
Mentre è impegnata nella lotta ai tassisti europei, Uber punta anche vuole ad affrancarsi dalla dipendenza dalle mappe di Google e Apple. La compagnia ha annunciato l’acquisizione di deCarta, piccolo produttore di software per mappatura. La mossa evidenzia l’intenzione di Uber di accelerare lo sviluppo di mappe proprietarie e può essere letta alla luce di una recente indiscrezione di Bloomberg, secondo cui Google starebbe lavorando a una sua applicazione per il ‘car pooling’, cioè l’offerta di passaggi su auto private per condividere il tragitto e i costi del trasporto. Stando a quanto riportato dal Wall Street Journal, tuttavia, gli ingegneri di starebbero solo testando una app interna, rivolta ai dipendenti di Big G per recarsi al lavoro. (L.M.)»»»