Di Uber si continua a fare un gran parlare, e mentre da un lato i tassisti scendono in piazza per contrastare l’avanzata della multinazionale che consente a chiunque di diventare un autista con la propria auto, dall’altro c’è chi difende strenuamente la compagnia americana, soffermandosi non tanto sulle opportunità che offre quanto sul circolo virtuoso che innesca: più “tassisti” vuol dire più copertura, che vuol dire minori tempi di attesa e tariffe inferiori, che a loro volta vogliono dire più domanda.
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Però, c’è un però. Che è l’altra faccia di quel Giano bifronte che Uber sta ormai diventando: terra delle opportunità o terreno di sfruttamento? Perché, secondo un articolo pubblicato su medium.com da Daryll Strauss, la multinazionale può sicuramente innescare un circolo virtuoso, ma altrettanto facilmente può essere responsabile dell’avvio di un circolo vizioso.
Perché, sottolinea Strauss, il rischio è che Uber arrivi a controllare in modo monopolistico il mercato, potendo controllare sia quali utenti possono o non possono offrire il servizio (dopo un certo numero di corse rifiutate si viene estromessi dal programma), sia quali prezzi praticare verso il cliente, sia quale percentuale del pagamento trattenere e quale lasciare al guidatore. E quindi, se da una parte abbassare i prezzi può essere positivo anche per gli autisti, lo è solo a patto che il loro incasso resti immutato e che si riduca la percentuale da versare a Uber. La compagnia, inoltre, prosegue Strauss, decide anche chi deve farsi carico di una determinata richiesta, decidendo quindi chi può guadagnare facendo marciare la propria auto e chi invece deve rimanere fermo ad aspettare la prossima corsa. E, ancora una volta, il meccanismo più copertura/tariffe più basse/più domanda/più copertura innescato nel circolo virtuoso, per il singolo autista può diventare un circolo vizioso, perché aumenta la concorrenza. E mentre in un mercato “aperto” si può decidere di andare a fare l’autista per un’altra compagnia, nel caso di Uber, che è di fatto monopolista di quella fetta di mercato non c’è scelta: se si vuole lavorare bisogna stare alle condizioni imposte da Uber.
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Infine, spiega ancora Strauss, gli autisti Uber utilizzano le proprie auto, per le quali devono acquistare il carburante, pagare l’assicurazione e il bollo, occuparsi della manutenzione, cambiare l’olio e cambiare le gomme, e magari anche pagare le rate dell’acquisto: tutti costi che sono indipendenti da quanto si guadagna guidando per Uber. E ciò rende molto difficile calcolare se il gioco vale la candela: il rischio è che autisti con un disperato bisogno di soldi trascurino la manutenzione del veicolo per cercare di diminuire le spese, e che al tempo stesso cerchino di effettuare più corse, aumentando l’usura del mezzo, per incrementare le entrate. Entrando in una spirale il cui effetto finale è quello della perdita dell’auto, che diventa inutilizzabile a causa dell’assenza di manutenzione, perdendo così anche il lavoro perché senza auto non si può più essere un autista di Uber.