LA GUIDA

Mobility Manager: chi è, che cosa fa in azienda, le competenze e perché è diventato obbligatorio

Previsto per legge dal 1998, il ruolo del Mobility Manager è stato rafforzato nel 2020 con il Decreto Rilancio e reso obbligatorio per aziende sopra i 100 dipendenti con apposito decreto a maggio 2021. Obiettivo: creare un piano spostamenti casa-lavoro indispensabile con l’aumento dello smart working a causa della pandemia

Pubblicato il 01 Mar 2022

Nuovi manager

Negli ultimi anni ha assunto particolare rilievo nelle aziende la figura del Mobility Manager. Ruolo ufficialmente previsto dalla normativa italiana sin dal 1998, ha acquisito un peso determinante all’indomani della pandemia mondiale da Covid19, quando la mobilità di individui, lavoratori e merci ha dovuto subire una serie di pesanti limitazioni. A certificare lo stato delle cose ci ha pensato il Decreto Rilancio emanato dal Governo nella primavera 2020 per rilanciare il Mobility Manager, puntando su una maggiore diffusione di questa figura.

Il 10 maggio 2021 il ministro dei Trasporti e delle Mobilità sostenibili, Enrico Giovannini,  ha firmato con il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani  il decreto sull’istituzione del Mobility Manager nelle imprese e nelle istituzioni con oltre 100 addetti. “Questo significa – ha sottolineato Giovannini –  l’opportunità di ripensare i tempi della città, i tempi del movimento, delle scuole, delle persone”. Al Mobility Manager “spetterà il compito di capire come spalmare lo smart working lungo la settimana”.

Chi è il Mobility Manager

Il Mobility Manager è la figura professionale che si occupa di gestire la mobilità sostenibile di un’azienda. Suo obiettivo principale è la creazione di un Piano Spostamenti Casa-Lavoro (PSCL), uno strumento di razionalizzazione degli spostamenti del personale realizzato attraverso l’analisi, lo sviluppo e la verifica di una serie di aspetti.

Il piano è finalizzato a migliorare la raggiungibilità dei luoghi di lavoro e ottimizzare gli spostamenti dei propri dipendenti. È evidente che questo comporta a cascata una riduzione dell’uso dell’auto privata, quindi della congestione nelle ore di punta, dell’impatto sull’ambiente causato dal traffico veicolare, soprattutto nei grandi centri urbani, e un generale miglioramento del benessere dei dipendenti con effetti positivi anche sulla spesa per i trasporti.

Come ha ricordato il ministro Giovannini al momento dell’annuncio del decreto, “nelle analisi svolte a livello internazionale emerge che il momento peggiore della giornata, nei paesi più sviluppati come in paesi in via di sviluppo, è il momento del commuting, in cui si è bloccati nel traffico e si sente maggiormente il peso del tempo buttato”. Il decreto ora, dice il ministro, “consentirà ai comuni con oltre 50 mila abitanti di interloquire con centinaia di mobility manager e non qualche decina”.

Cosa fa il Mobility Manager

Per arrivare a stilare il PSCL – la cui trasmissione è obbligatoria per legge ogni anno entro il 31 dicembre – il Mobility Manager deve effettuare un analisi dell’accessibilità dei luoghi di lavoro, esaminando offerta e domanda di mobilità dell’area, utilizzando strumenti statistici e tool di geocoding.

Attraverso questionari di tipo sociologico è necessario conoscere le esigenze del personale aziendale e determinare gli impatti ambientali attuali. Tutto ciò va a creare un database della mobilità aziendale, la solida base su cui posa la fase progettuale in cui si definiscono una serie di soluzioni per la mobilità sostenibile. Una volta fatto questo si può passare al momento attuativo delle nuove politiche a cui seguono costante monitoraggio e successive revisioni annuali del PSCL.

È chiaro che per arrivare a un tale risultato deve avere un quadro completo delle problematiche connesse al territorio e al posizionamento degli uffici, impianti e magazzini rispetto al conteso urbano di riferimento.

Inoltre è necessario prendere atto delle dinamiche verso questi luoghi non solo da parte del personale dipendente, ma anche di fornitori ed eventuali visitatori.

Per stilare il questionario che faccia emergere abitudini ed esigenze di questo folto gruppo è fondamentale l’individuazione di un set di indicatori rappresentativo degli aspetti più rilevanti della mobilità, ma anche la creazione di un focus group in cui le persone possano esprimere i loro punti di vista, articolando problematiche e proposte.

Tipi di Mobility Manager e compiti

Esistono due tipi di Mobility Manager che svolgono compiti differenti: il Mobility Manager Aziendale e il Mobility Manager di Area. Da qualche anno è nata un’ulteriore figura, quella del Mobility Manager Scolastico. Vediamo di cosa si occupano nello specifico.

Mobility Manager Aziendale

Il lavoro del Mobility Manager è sì di tipo analitico, ma comprende aspetti chiave comunicativi e di marketing. Uno degli aspetti essenziali della figura infatti è la creazione di una cultura della mobilità sostenibile in azienda e, in gran parte, si svolge in contatto con altri Mobility Manager.

Mobility Manager di Area

Accanto alla figura del Mobility Manager aziendale la legge ha infatti identificato il Mobility Manager di Area. Si tratta di un soggetto appartenente agli Uffici del Traffico presenti nei comuni più grandi che orienta, supporta e coordina l’operato dei primi sul territorio di competenza. Oltre ad assistere la stesura dei PSCL, promuove momenti di divulgazione e formazione e favorisce l’integrazione dei vari Piani aziendali di mobilità con le politiche dell’amministrazione comunale con lo scopo di creare un logica di rete e di connessione intermodale.

Il Mobility Manager d’Area può operare per migliorare il sistema di trasporto pubblico locale, ma anche favorire l’implementazione di soluzioni complementari ed innovative, oltre a supportare creazione ed erogazione di incentivi per il miglioramento dell’impatto ambientale della mobilità.

Mobility Manager Scolastico

Infine, nel 2015 con la promulgazione della legge n. 221, è stato istituito anche il Mobility Manager Scolastico. Questa figura ha responsabilità e obiettivi analoghi a quelli del suo corrispettivo aziendale, ma ragiona su corpo docente e studenti, operando in contatto con le strutture comunali e con gli altri istituti scolastici per massimizzare sinergie e ottimizzazione di soluzioni, anche comuni, agli spostamenti casa-scuola.

Come si diventa professionisti della mobilità: competenze e requisiti

È chiaro a questo punto che questa figura professionale non è un tecnico, ma un comunicatore con una forte vocazione all’analisi. Il suo compito infatti richiede molteplici doti, che possono essere racchiuse nella sfera di responsabilità di un dipartimento HR potenziato.

Ecco le principali competenze e i requisiti richiesti per diventare un Mobility Manager:

  • marketing
  • capacità relazionali
  • analisi dati
  • logistica con skill di fleet management e travel management
  • profonda conoscenza del territorio dove si opera

Non è necessariamente richiesta una laurea: chi fosse interessato ad assumere questo ruolo può partire da una formazione tanto umanistica quanto tecnica. È però fortemente consigliato frequentare un corso di specializzazione per ottenere quelle competenze tecniche specifiche legate a software di mobility management e aspetti di diritto del lavoro.

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Tra le tante professioni in difficoltà a causa del Covid-19, questa è una delle pochissime, insieme a medici e infermieri, la cui richiesta è aumentata, e non a caso alcune università hanno iniziato a offrire master specifici.

Breve storia della nascita del Mobility Manager

Il Mobility Manager nasce in Italia con il Decreto Ministeriale del 27 marzo 1998 dedicato alle norme in materia di “Mobilità sostenibile nelle aree urbane”. Il testo arrivò a valle degli Accordi di Kyoto del 1997 per la riduzione delle emissioni inquinanti e portò nel nostro Paese una figura presente, in forme simili, in altre realtà europee.

Tuttavia, per quanto appaia utile e nonostante sia obbligatoria per legge da più vent’anni, l’istituzione di questa figura professionale è rimasta a lungo lettera morta nel nostro Paese, tanto che nel 2016 in Italia erano presenti solamente 850 Mobility Manager, di cui la stragrande maggioranza – 750, ossia l’88% – di tipo aziendale (fonte: Sole24 Ore).

Quando è obbligatorio il Mobility Manager

Fino al 2019 la legge prevedeva l’obbligo di identificare un Mobility Manager negli enti pubblici con più di 300 dipendenti e nelle aziende con almeno 800 unità di personale, ma solo in alcuni comuni identificati come a rischio inquinamento atmosferico. Con il recente Decreto Rilancio, la sua adozione obbligatoria è stata estesa a tutte le società con 100 o più dipendenti localizzati in Comuni, capoluoghi di provincia e regione e città metropolitane con popolazione superiore a 50 mila abitanti.

C’è da notare però che, dalla sua istituzione all’ultima modifica, l’obiettivo del Mobility Manager è stato quello di ottimizzare costi e impatti della mobilità sul territorio, con aspetti di efficienza e attenzione ambientale. Oggi invece, con l’arrivo del Covid-19, il focus si è spostato verso la salute dei dipendenti, il distanziamento sociale e la gestione dello smart working. Se il suo scopo finale è cambiato, tecniche, strumenti e competenze per il ruolo sono invece rimasti fondamentalmente inalterati adeguandosi ai mutamenti del tempo.

Un fondo da 50 milioni

Secondo un’indagine Isfort del settembre 2020, la percentuale di cittadini che hanno sentito parlare o conoscono la misura attivata dal governo sull’obbligatorietà di nominare un Mobility Manager, per le aziende o enti pubblici con almeno 100 dipendenti, è solo del 29%. Eppure i benefici che possono derivare da un utilizzo virtuoso di questa figura sono molteplici, sia per le aziende e i dipendenti sia  per la collettività. Ecco perché il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili ha stanziato un fondo di 50 milioni di euro per l’anno 2021, di cui 35 milioni destinati alle pubbliche amministrazioni e alle imprese e 15 milioni agli istituti scolastici che abbiano nominato il proprio Mobility Manager.

Esempi di interventi

Una volta compresa la situazione in essere e valutati gli effetti sul territorio, si può definire il trade-off tra domanda e offerta di mobilità arrivando quindi a identificare gli interventi attuabili. Tra questi possiamo riportare come esempio l’adozione di soluzioni di car pooling e car sharing, l’implementazione di un servizio collettivo aziendale o incentivi per l’uso dei mezzi di trasporto pubblici o di veicoli alternativi come biciclette e monopattini elettrici.

Operando invece sul livello delle esigenze, un’azienda può optare per l’introduzione di soluzioni di smart working, modificare gli orari lavorativi differenziando e rendendo più flessibili i turni di lavoro e creare occasioni creative e contest per modificare la cultura aziendale nei confronti della mobilità.

(Articolo aggiornato al 01/03/2022)

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Roberto Artigiani
Roberto Artigiani

Appassionato di tecnologia in tutte le sue applicazioni, implicazioni e complicazioni, ma quando non scrivo torno analogico: leggo classici, ascolto musica dei tempi andati e guardo cinema d'antan

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