INTERVISTA: FILIPPO SALUCCI

“Mobilità a Milano, ecco come il Comune lavora per abilitare l’innovazione”

La mobility as a service è un obiettivo concreto della città-modello in Italia, dice Filippo Salucci, direttore Mobilità, Trasporti e Ambiente dell’amministrazione comunale. Che punta sul servizio pubblico e lascia spazio ai privati in grado di proporre servizi innovativi. “Presto faremo qualcosa anche sui taxi”, anticipa

Pubblicato il 03 Apr 2019

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“La mobility as a service è nell’mbo dei dirigenti del Comune di Milano”. L’architetto Filippo Salucci, che è responsabile della Direzione Ambiente, Mobilità ed Energia, ci tiene a ricordare il particolare: conferma quanto la mobilità di nuova generazione sia un obiettivo concreto del team operativo nel Comune guidato da Giuseppe Sala, perché il sistema di management per obiettivi (mbo, appunto) applicato nella pubblica amministrazione si sente anche in busta paga.

Milano è un modello di mobilità evoluta, la città più smart d’Italia: prima per il car sharing, in ordine di tempo (dal 2001, con un progetto pilota di Lega Ambiente) e di utilizzo (circa 900.000 persone con 3.500 veicoli circolanti). Sempre prima addirittura in Europa secondo McKinsey, per numero di veicoli in sharing (compresi scooter e bici), se si considera solo l’area urbana. Ed è pronta a rilanciare: il 9 aprile è in programma un workshop con tre tavoli tecnici sullo stato della sharing mobility in città, che potrebbe essere il preludio di un nuovo bando. Da poco più di un mese poi c’è anche l’Area B, la più grande zona a traffico limitato d’Europa. Della tradizione “illuminata” di Milano ma soprattutto del futuro disegnato nel PUMS (il Piano Urbano di Mobilità Sostenibile) approvato a fine 2018 e possibile solo con l’innovazione e la collaborazione con i privati, abbiamo parlato con l’architetto Salucci.

Architetto che cosa c’è dietro l’Area B?

Un grandissimo lavoro soprattutto, visto che si tratta della più grande Zona a Traffico Limitato (ZTL) in Europa per numero di veicoli coinvolti e di ridurne l’impatto ambientale senza paralizzare la circolazione. C’è quindi un grande tema di gestione ma anche una grande opportunità di innovazione, perché Area B crea le premesse per nuovi servizi di mobilità. Non dimentichiamo che il primo obiettivo di ogni intervento dell’amministrazione pubblica resta la qualità dell’aria e dell’ambiente.

Che cosa fa l’amministrazione pubblica per raggiungere questo obiettivo?

Il PUMS – Piano Urbano Mobilità Sostenibile recentemente approvato, prevede numerosi interventi nei prossimi 10 anni per la mobilità sostenibile e la qualità ambientale, che sono due dei quattro pillar individuati insieme con “equità, sicurezza, inclusione sociale” e “innovazione ed efficienza economica”. Il cardine resta comunque il servizio pubblico, almeno per quanto riguarda la mobilità delle persone. Stiamo facendo e faremo molto.

Quindi a Milano il trasporto pubblico sarà la spina dorsale della mobilità sostenibile?
Certo. È già così oggi. Non dimentichiamo che attualmente i mezzi pubblici trasportano il 57% di chi ogni giorno si muove a Milano e lo fanno nel 72% dei casi su veicoli elettrici. Mi pare, quindi, una flotta già molto più sostenibile di quella privata. Se poi pensiamo che ATM ha in programma la dismissione dei bus gasolio da qui al 2030… Poi ci sono gli investimenti sulla rete metropolitana, per esempio la nuova M4, che potrà trasportare 80 milioni di passeggeri l’anno, e il prolungamento della M1 e della M5 verso Monza, solo per citare alcuni progetti. Il trasporto pubblico, possibilmente su ferro o interrato, è e sarà sempre più mainstream.

Filippo Salucci, Direttore Mobilità, Ambiente ed Energia del Comunce di Milano
Ma non si possono “cancellare” le auto private da una città…

No, non si può fare. Né lo vogliamo. Ma vorremmo un parco mezzi privati che circolano in città più qualificato: sia in termini qualitativi sia in termini quantitativi (il tasso di motorizzazione oggi a Milano e ancora troppo elevato rispetto agli standard europei, nonostante sia il più basso in Italia) affinché siano abbattute le emissioni inquinanti e allo stesso tempo spronare il traffico merci a innovare la logistica. È già successo con l’Area C, che ha ridotto il numero di veicoli in centro e sviluppato l’uso delle biciclette e delle moto, soprattutto in sharing.

Architetto, non si corre il rischio che la smart mobility venga considerata un lusso per chi vive in centro?

Non è assolutamente così. Se da una parte c’è il servizio pubblico, sempre più efficace, economico ed efficiente, dall’altra aumenta la conoscenza e l’uso delle alternative disponibili che, in qualche modo, sono state originariamente generate dall’amministrazione pubblica. Ricordiamo che il primo car sharing strutturato, GuidaMi, nel 2006 viene lanciato da ATM, che dal 2008 ha sviluppato il più grande servizio bike sharing station based d’Italia con oltre 280 punti di ritiro e consegna e quasi 5mila bici tra tradizionali ed elettriche. Il PUMS prevede uno sviluppo nelle aree di periferia fino a 500 stazioni e 10mila bici. Milano è stata insieme a Firenze la prima città a sperimentare servizi di bike sharing a flusso libero e continuerà a sostenere tutti le nuove proposte in questo campo: auto, scooter e nuovi veicoli come monopattini elettrici e hoverboard quando ci saranno le necessarie omologazioni ministeriali.

C’è qualcosa di nuovo in preparazione?

Abbiamo appena pubblicato un bando per favorire il car pooling e offrire la sosta gratuita a chi non viaggia da solo in auto, grazie a piattaforme in grado di certificare quante persone sono a bordo. In primavera ci sarà la prima offerta di questo servizio, che resta aperto anche ad altri operatori come tutti gli altri.

Il Comune si concentra sul servizio pubblico e lascia i servizi più innovativi ad altri?

Noi in molte situazioni siamo abilitatori di altri servizi non nostri. Fare innovazione è un lavoro complesso, se c’è qualcuno che lo fa in coerenza con i nostri obiettivi ben venga. Prendiamo l’Area B: a noi non interessa sanzionare l’utente: se qualcuno lo avverte che sta entrando in un’area a traffico limitato, in una logica di open data mettiamo a disposizione le informazioni per poter offrire il servizio. Telepass, ad esempio, sta lavorando per informare tempestivamente i suoi clienti e questo è importante soprattutto per il traffico commerciale. Il Comune incontra startup, partecipa ad hackathon ed è attento a tutto quel che si muove nel mondo dell’innovazione, digitale e non. Ma il ruolo che vogliamo interpretare al meglio, assolto il servizio di trasporto pubblico con standard qualitativi elevati, è quello di abilitatore.

Come avete fatto per l’introduzione del pagamento con carte di credito nei tornelli della metropolitana?

Quella è un’esperienza molto interessante, sviluppata da ATM non solo perché semplifica il pagamento ma in prospettiva permette di “personalizzarlo” in base alla frequenza d’uso, grazie ai big data. Infatti è possibile offrire ai cittadini la best fare, la migliore tariffa possibile. In questo momento lo facciano all’interno delle 24 ore, ma abbiamo chiesto di sviluppare il metodo prima al mese e poi all’intero anno: non sarà facile, visto che stiamo parlando di circa 700milioni di passaggi l’anno. Significa che chi pagherà sempre con uno strumento digitale che permette di identificarlo non pagherà mai, nell’arco dei 12 mesi, più del costo di un abbonamento annuale. Sarà una vera rivoluzione.

Perché è importante la relazione fra amministrazione pubblica e soggetti privati?

Il Comune spinge con convinzione tutte le nuove forme di mobilità. Stiamo lavorando moltissimo sulla mobility as a service anche se in una pubblica amministrazione non è sempre possibile andare alla velocità desiderata. Inserire alcuni obiettivi come la smaterializzazione del biglietto dei trasporti pubblici negli mbo dei dirigenti è un modo concreto di procedere. Sappiamo che si può fare molto sui taxi, che sono un servizio pubblico gestito da privati, e qualcosa presto faremo. Sono diverse i “prodotti” pronti a debuttare sul mercato. Certamente chi si occupa di mobilità non può stare fermo, no?

Architetto, da quanto tempo si occupa di mobilità e innovazione?

Io sono un urbanista, di formazione. Mi occupo di mobilità da 12 anni, esattamente dal giugno 2007, lo stesso mese in cui veniva lanciato il primo iPhone, quell’oggetto che ha cambiato tutto. Io la considero una coincidenza significativa perché oggi occuparsi di mobilità significa affrontare una vera e propria rivoluzione provocata dal digitale. Il cambiamento è cominciato, noi dobbiamo essere bravi a coglierne tutte le opportunità positive.

Lei come si muove?

Uso tutto. Purtroppo (e mentre lo dice sorride…, ndr) vivo fuori città per scelta di mia moglie: quindi mi serve l’auto per avvicinarmi alla città, poi metro, poi gambe, a volte bici o scooter in sharing anche secondo il clima. Quindi conosco bene l’intermodalità, perché la uso tutti giorni.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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