“Siamo una famiglia che viene dall’industria meccanica, ma quattro anni fa siamo entrati con coraggio con un milione di dollari in un round di finanziamento per Lyft, la società rivale di Uber e simbolo della sharing mobility; adesso che è stata quotata a Wall Street contiamo di triplicare l’investimento”. A dirlo a EconomyUp è Luca Rancilio, co-fondatore di Rancilio Cube, family office a Milano che finora ha effettuato 89 investimenti di venture capital, soprattutto negli Stati Uniti, e che è l’unico investitore italiano in Lyft. Il giorno del debutto è stato positivo per la startup della mobility: alle 14.03 ora locale il prezzo per azione era salito dai 72 dollari iniziali a 80,61 dollari. Quattro ani fa Rancilio investì un milione in Lyft fidandosi del fiuto di General Motors, che guidava il round di finanziamento. Oggi raccoglie i frutti di quella scommessa finanziaria su un nuovo modo di fare mobilità, altamente tecnologico e slegato dalla proprietà del veicolo. Un’intuizione notevole, non solo per una casa automobilistica tradizionale come General Motors, ma soprattutto per una famiglia come Rancilio che viene dall’industria del secolo scorso: il nonno di Luca, Roberto Rancilio, fondò nel 1927 le Officine Meccaniche RR a Parabiago (Milano) e produsse la sua prima macchina per caffè, La Regina. Da allora l’azienda è cresciuta e si è affermata a livello mondiale, per poi essere venduta nel 2013 ad Ali Group. Ma Luca ha scelto di restare nel mondo dell’imprenditoria, sia pure da investitore responsabile di un family office. E ora sta puntando a diventare venture capital.
Dalle macchine per caffè alle startup, storia di un angel investor: Luca Rancilio
Lyft: che cosa fa e come è arrivata a quotarsi a Wall Street
Giovedì 28 marzo Lyft ha annunciato il prezzo di collocamento dell’IPO (Initial Public Offering): 72 dollari per azione, che le conferisce un valore di mercato di 24,3 miliardi di dollari. Venerdì 29 marzo ha debuttato nel listino del Nasdaq con la sigla LYFT. La società californiana di mobility on demand è quasi sconosciuta da noi, ma negli Usa è ampiamente affermata. L’IPO è una delle più importanti dell’anno per la Borsa americana ed è la prima di una grande azienda della cosiddetta gig economy (in Italia tradotto impropriamente con “economia dei lavoretti”). Con l’ingresso in Borsa la società ha battuto sul tempo Uber, che dovrebbe lanciare la sua IPO a breve.
Lyft è in perdita da anni. Dalla recente presentazione dei documenti per il collocamento in Borsa presso la Securities and Exchange Commission (la nostra Consob) è emerso che l’anno scorso ha perso 911 milioni di dollari, il 32% in più dell’anno precedente. Questo non ha scoraggiato gli investitori e non ha impedito che il prezzo di collocamento fosse fissato al massimo della forchetta attesa. Del resto anche Uber è in perdita. E non è insolito che ci sia richiesta di azioni di aziende, specialmente nell’hi-tech, che sono in perdita. Anche big come Tesla, Snap e Spotify lo erano quando hanno debuttato in Borsa e le loro azioni hanno riscosso immediato successo.
L’azienda “con i baffi rosa” (è il suo logo) nasce a San Francisco nel giugno 2012, da un’idea di Logan Green e John Zimmer. L’antagonista di Uber progetta, mette in commercio e rende operabile un’applicazione da mobile che mette in contatto gli autisti con i passeggeri che hanno bisogno di una corsa, consentendo anche il pagamento attraverso l’app. Permette inoltre agli utenti di programmare corse fino a 7 giorni prima. Negli Usa è accessibile al 95% della popolazione e i suoi servizi sono concentrati principalmente su college, università e comunità aziendali. Di recente l’azienda ha esteso la propria attività alla condivisione di biciclette e scooter, e ha anche fatto una prima incursione nel mondo delle self driving car, le auto a guida autonoma, con una piccola flotta attiva a Las Vegas.
L’app di Lyft passa attraverso Facebook e sfrutta un algoritmo in grado di scegliere l’accoppiata migliore in base alla cerchia di amici e agli interessi condivisi, collocando la sicurezza tra gli obiettivi prioritari. Tra i punti di forza c’è la solida community che ogni giorno contribuisce ad alimentare la pagina del sito e i canali social con le proprie storie ed esperienze.
LYFT: I NUMERI DI UN PROTAGONISTA DEL RIDE SHARING
Negli ultimi anni Lyft è stata tra le startup più valutate al mondo, classifica che ha visto Uber quasi sempre al primo posto. Complessivamente l’azienda di ride sharing ha totalizzato 4,9 miliardi di dollari di finanziamenti in 18 round (Dati: Crunchbase 2019). L’ultimo round, un Series I, è stato effettuato a giugno 2018. I lead investor sono stati 13, gli investitori in tutto 66. Tra questi Andreessen Horowitz, VC californiano, Alibaba e Facebook.
L’investitore italiano di Lyft: “Abbiamo creduto in una mobilità democratica”
Il Rancilio family office è entrato nel capitale di Lyft in una fase di private equity, in un round Series F da un miliardo di dollari. Lead investor era General Motors, che investì mezzo miliardo. “È l’investimento più importante che abbiamo fatto nei nostri 6 anni di storia. Il fatto che ci fosse questo player industriale fu per noi motivo di grande fiducia: un’azienda che produce automobili investiva in una piattaforma di sharing mobility” dice ora Luca Rancilio. “Non dimentichiamoci che, anche se non tutti lo sanno, Uber e Lyft valgono ancora solo l’1% del transportation. Significa che c’è ancora molto spazio per iniziative di questo genere. Inoltre in quel periodo avevo accesso a presentazioni che dicevano che nel 2025 il numero di Millennials che comprerà un’auto sarà tra il 5 e il 7%”.
L’investitore spiega cosa succederà adesso. “Dopo il debutto a Wall Street di Lyft, usciremo del tutto, si può dire che faremo una exit. Non credo nell’equity quotato, noi vogliamo fare venture capital. Tuttavia riteniamo che l’azienda abbia davanti a sé un grande spazio di crescita”.
A testimonianza del suo interesse per la sharing economy, Rancilio Cube possiede quote anche in Uber e AirBnb. “Che le realtà innovative si chiamino Scooterino, Uber, Lyft o Deliveroo, vediamo che tutto si sta muovendo in una logica meno monocratica e più democratica. E questo avviene in particolare nella mobility. Eravamo la generazione dello status, per esempio possedere una macchina ci regalava un certo status, oggi siamo quella dell’experience, vogliamo sperimentare esperienze. Come investitore trovo bello che le persone siano meno attaccate agli oggetti. È la tesi di AirBnb: la fiducia va al di là della prenotazione in sé, crea un feeling”.
“Abbiamo trovato la nostra dimensione” conclude l’investitore. “Ci piace il VC che guarda allo spazio internazionale, siamo principalmente stage medium investor. Il caso di Lyft lo dimostra: ci piace cercare cose che mettano alla prova la nostra dimensione culturale passata. Per una famiglia di prodotto confrontarsi con una piattaforma di sharing mobility è una sfida più di testa che di numeri. Per restare una famiglia di imprenditori abbiamo voluto e dovuto cambiare pelle, ma sempre portandoci dietro il Dna di 90 anni di storia, soprattutto nella dimensione umana ed etica”.