Tra gli effetti della digital disruption, lo sentiamo dire ormai spesso, c’è la contaminazione di industrie e modelli di business. Il processo è già cominciato da tempo. Se oggi ne parliamo più spesso, e più coinvolge il management delle grande aziende, è soprattutto per l’accelerazione del fenomeno.
Guardare contenuti video in modo asimmetrico, provenienti da diversi brand, riorganizzati in nuovo contenitore e distribuiti attraverso la fibra da una compagnia (ancora percepita come) telefonica. È quello che c’è dentro la Vodafone Tv, l’offerta di IpTelevision ora disponibile in tutti i negozi della società (10 euro per 4 settimane) dopo una fase di test fatta anche per localizzare il prodotto, che è stato lanciato in altri sei Paesi europei e in Nuova Zelanda.
A vedere lo scatolotto che finisce accanto alla tv viene subito in mente la prima AppleTv ma nera (come le successive). E in qualche modo la configurazione è simile: un aggregatore di contenuti altrui organizzati per una più semplice e veloce fruizione. Con in più la connessione ad alta velocità. Migliora l’esperienza d’uso, che sicuramente viene potenziata: da un solo punto di accesso è possibile ad esempio per cercare una serie o un film contemporaneamente su Netflix, NowTv /Sky), Chili e i cataloghi degli altri partner (sono più di dieci attualmente).
La parola Tv ha ormai solo una funzione prevalentemente cognitiva: serve per farsi capire, visto che quella c’è ancora nel nostro bagaglio culturale. Stiamo però tornando, senza volerlo, al significato originario della parola: televisione, visione a distanza. E usciamo sempre più spesso dalla scatola del televisore, specie in declino per come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi, soprattutto nella proposta di palinsesti lineari push che veicolava. L’apparecchio che ancora teniamo prevalentemente in salotto è sempre più il display dove atterrano i contenuti che arrivano da lontano sì ma anche quelli che partono dal divano (foto, video, etc..) e che sono potenzialmente ubiqui. Attraverso il sistema delle app anche Vodafone Tv si può usare sugli smartphone come sui tablet (tutti i dettagli dell’offerta si possono leggere qui).
Il modello è simile a quello della marketplace economy, come qualcuno come a definire quel modo di fare impresa che di fatto costruisce il proprio modello di business sulla aggregazione e distribuzione smart di prodotti/servizi altrui, mettendo a valore la relazione con i clienti. Lo fanno Airbnb e Uber così come, in parte, Amazon. Logico quindi che faccia questo passo un leader nell’industria delle tlc, che può contare su milioni di clienti a cui fornisce connettività, la stessa attraverso la quale possono viaggiare altri servizi, a partire dai contenuti video.
Per il momento VodafoneTv appare più come un’aggressiva soluzione commerciale per spingere la fibra, per motivare i clienti a investire una piccola somma per avere qualcosa in cambio, film e non solo: è infatti riservata solo a chi ha una utenza di iperfibra. Ma in prospettiva ci sono le premesse per un importante trasformazione del modello di business.
Manca ancora qualche passo per avvicinarsi al modello Netflix, che è anche produttore di contenuti originali e su questo elemento distintivo ha investito per la sua affermazione sul mercato. Ma questo è un altro discorso, pure abbastanza antico: di trasformazione delle telco in media company si parla almeno da un decennio, a memoria. Ci sono state fughe in avanti e ripensamenti, anche in Italia. Forse perché i tempi non erano maturi, sia da un punto di vista tecnologico sia commerciale, forse perché la visione strategica che avrebbe dovuto guidare l’evoluzione non è mai stata sufficientemente chiara. Nel frattempo il mercato è cambiato, sono arrivati nuovi player mentre i margini del business tradizionale continuano ad erodersi. La transformation è sempre meno un’opportunità. E sempre più una necessità.