Bill Gates, fondatore di Microsoft, aveva previsto nel 2000 che i giornali di carta sarebbero morti entro 7 anni. Jakob Nielsen, informatico danese, nel 2001 era convinto che nel 2007 i testi cartacei sarebbero stati totalmente sostituiti dall’informazione online. Non è andata così. La trasformazione digitale nel mondo dell’editoria si è rivelata un passaggio più lento e faticoso di quanto immaginato da questi due personaggi che certamente avevano pieno titolo per garantire una visione del futuro (peraltro Gates, nel 1999, aveva azzeccato una serie di previsioni sulla trasformazione dei media online che possono essere lette qui).
La lentezza del processo è stato uno dei principali elementi che ha reso difficile agli editori online individuare un efficace modello di business. Ma recenti annunci da parte di Facebook e Google potrebbero imprimere un’accelerazione a questo passaggio. Il fondatore e Ceo di Facebook, Mark Zuckerberg, ha annunciato che già da quest’anno la piattaforma introdurrà nei post un servizio di abbonamento alle varie testate che pubblicano notizie su Facebook usando la formula Instant articles (il formato che permette la visione immediata della notizia sul cellulare). La piattaforma si impegna a non trattenere percentuali: il ricavato, spiega il Zuckerberg, verrà gestito interamente dagli editori, almeno per il momento. Si tratta di un test che coinvolge un piccolo gruppo di editori statunitensi e europei. Dopodiché si terrà conto del feedback degli editori.
♦ ZUCKERBERG DIXIT – Come ha scritto il padre di Facebook spiegando le motivazioni della sua proposta, è “una responsabilità creare una comunità informata” e ciò non può avvenire “senza giornalisti, ma sappiamo anche che le nuove tecnologie possono rendere più difficile per gli editori finanziare il giornalismo su cui tutti dobbiamo contare”. In pratica Facebook sta dando la possibilità agli editori di vendere le proprie notizie sul social network. Non è detto che l’esperimento riesca, ma è uno dei tentativi – necessari – per potenziare il mercato dei media online che, al momento, sembra avere buone prospettive ma manca di alcuni supporti.
LA DIGITAL TRANSFORMATION NEI MEDIA
Come è noto l’editoria sta vivendo una crisi sia strutturale sia legata a fenomeni contingenti. L’ultimo periodo di recessione economica ha contribuito al calo delle vendite dei giornali e delle inserzioni pubblicitarie, mentre si andava affermando l’editoria online, che però è ancora alla ricerca di un modello di business alternativo e innovativo.Il trasferimento massiccio di lettori dalla carta al web ha infatti provocato l’aumento del bacino di utenza ma anche la parallela diminuzione dei ricavi pubblicitari per gli editori. La disruption tecnologica ha ucciso, ferito gravemente o azzoppato un gran numero di aziende editoriali tradizionali incapaci di individuare un modo efficace per organizzare se stesse e la propria offerta con l’obiettivo di creare il massimo valore possibile per i suoi clienti. Altre aziende, come il colosso tedesco Axel Springer, hanno saputo capire le trasformazioni in atto prima degli altri. Ma, per molti, la partita è ancora tutta da giocare.
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GLI ELEMENTI DELLA DISRUPTION
♦ L’ASCESA DELLE PIATTAFORME DIGITALI – Internet è diventato anni fa il principale ostacolo ai media di carta particolarmente con l’accresciuto utilizzo di device mobili sempre più user-friendly. Già nel 2012, si legge in studi raccolti da Statista, il 14% degli europei leggeva o scaricava notizie da mobile, con un picco del 28% in UK. Nel 2014, in Islanda, ben il 93% delle persone leggeva siti di notizie, giornali o riviste online. Nel 2017 solo il 19% dei residenti nel Regno Unito legge un quotidiano di carta al giorno.
♦ IL CALO DI RICAVI E POSTI DI LAVORO – L’industria dei quotidiani in Europa è stata profondamente colpita dall’ascesa dei nuovi media e dal cambiamento radicale nelle scelte di lettura dei clienti per quanto riguarda le notizie. In Norvegia, per esempio, i ricavi dei giornali di carta sono scesi dai 13,7 miliardi di corone norvegesi nel 2011 ai 10,5 miliardi nel 2015. Contemporaneamente i ricavi dei quotidiani digitali sono più che raddoppiati nello stesso periodo di tempo. Si sono persi anche posti di lavoro. In Danimarca il numero di dipendenti di testate quotidiane cartacee è sceso da 9.863 nel 2013 a 8.889 nel 2014. Il Gruppo Editoriale L’Espresso in Italia è passato da 1.087 giornalisti nel 2013 a 990 a giugno 2016.
♦ LA CRISI DELL’ADVERTISING – Non è stato immune dalla crisi l’advertising, che rappresenta una grossa fetta dei guadagni della carta stampata. In Spagna, per esempio, si prevede che i ricavi pubblicitari dei quotidiani di carta subiranno un calo da 1,1 miliardi di euro nel 2009 a 550 milioni entro il 2020. Idem per le riviste cartacee: per l’Olanda la previsione è di un passaggio dai 382 milioni del 2012 ai 195 milioni nel 2020.
In questo scenario si inserisce la proposta di Facebook di aiutare gli editori online a monetizzare i propri contenuti. Perché lo fa? Probabilmente perché ha dovuto prendere atto che il mondo dei social media e quello dell’editoria non potevano non finire per incontrarsi e collaborare in modo più proficuo per entrambi.
♦ Giganti con i piedi di argilla – Facebook e Google controllano il 70% del mercato statunitense della pubblicità digitale, pari a circa 73 miliardi di dollari, mentre a livello globale controllano il 50% del mercato. L’80% dei ricavi generati dalle ricerche su Internet va a Google, il 40% di tutti gli spot digitali va a Facebook. Sono colossi potentissimi, eppure anche loro hanno piedi di argilla. Devono infatti combattere quotidianamente su fronti relativi alla qualità dei contenuti che divulgano, quali le fake news che non riescono a bloccare e la perdita di controllo dell’algoritmo sui contenuti violenti. Inoltre i giganti del web hanno tutto l’interesse a mantenere i contenuti sui propri server anziché rischiare di perderli su siti di terze parti.
♦ I “Davide” che vincono per qualità – Dall’altra ci sono gli editori dei giornali che, seppure possano sembrare dei Davide di fronte al gigante Golia (leggi: colossi web), producono informazione di qualità. Il paywall rientra dunque in una strategia di alleanze con il mondo dell’informazione professionale, industria i cui contenuti sono cruciali per il modello di business di Facebook.
- COME FUNZIONA LA PROPOSTA DI FACEBOOK
Come si legge in questo articolo su CorCom, gli editori che utilizzano la formula “instant articles” di Facebook – un formato di lettura che permette la visione immediata della notizia sul cellulare – per pubblicare i propri articoli, potranno contare su un paywall oppure bloccare gli articoli. In entrambi i casi, agli utenti di Facebook verrà proposto l’abbonamento. Tutti i pagamenti verranno gestiti direttamente dai siti web degli editori. Anche se le persone si abbonano dopo aver visto la notizia su Facebook, i soldi andranno direttamente agli editori.
♦ PRIMI AGGIUSTAMENTI – Va sottolineato che si tratta comunque di un test, perciò l’offerta di Facebook potrebbe subire modifiche in corso d’opera. Già una sta per arrivare. È in preparazione un’altra iniziativa a favore degli editori che d’ora in poi potranno aggiungere il proprio logo accanto agli articoli pubblicati. La decisione arriva a seguito del primo round di esperimenti di Instant Articles. Alcuni editori fra cui il Guardian e il New York Times hanno abbandonato il programma spiegando che non avevano verificato nessun aumento di abbonati né di pubblicità.
- COME FUNZIONE LA PROPOSTA DI GOOGLE
La formula dei siti web in abbonamento sta prendendo piede soprattutto oltreoceano tra le principali testate giornalistiche. Tra i vantaggi per l’utente c’è il fatto che gli abbonati possono visitare le pagine di un sito web senza pubblicità. Google, che ha un modello di business fortemente legato alla pubblicità online, si sta adeguando per evitare di rimanere tagliata fuori da questo nuovo modello di business. Perciò, a quanto riferisce Bloomberg, intende agire su tre fronti: rinnovare il “first click free”, cioè la possibilità di visitare gratuitamente alla prima visita gli articoli di giornale reperibili sul suo motore di ricerca; potenziare gli strumenti in mano ai publisher per il servizio di pagamenti; potenziare il sistema di profilazione dell’utente, aiutando così gli editori a targettizzare meglio i propri lettori e ad ampliare il bacino di utenza pagante. Richard Gingras, vicepresidente della sezione news, non ha fornito troppi dettagli sui nuovi strumenti per il web in abbonamento, ma ha spiegato che c’è già una collaborazione in corso con New York Times e Financial Times, concludendo: “È chiaro che i siti di informazione non possono campare solo di pubblicità. Ma è anche chiaro che stiamo assistendo ad uno spostamento del mercato”.