Made in Italy

Vino, Daniele Cernilli: «Siamo primi nel mondo, ma non basta»

Il più autorevole “assaggiatore” italiano a EconomyUp: «Abbiamo battuto la Francia diventando il primo produttore mondiale con 48,9 milioni di ettolitri all’anno. Bel risultato. Ma bisogna vendere a prezzi più alti, affermarci nei Paesi emergenti e imparare a fare sistema»

Pubblicato il 08 Ott 2015

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Daniele Cernilli

“Siamo i primi al mondo: una bella soddisfazione, ma non basta. Bisognerebbe valorizzare meglio il nostro vino, venderlo a un prezzo un po’ più elevato e riuscire ad affermarci nei Paesi emergenti”: così dice a EconomyUp il giornalista eno-gastronomico Daniele Cernilli, commentando i recenti dati che vedono il trionfo internazionale del vino Made in Italy. L’Italia ha infatti superato la Francia, diventando il primo produttore mondiale, con una produzione stimata nel 2015 in 48,9 milioni di ettolitri: sorpasso dovuto anche a un calo dell’1% dei raccolti in Francia, dove la produzione si dovrebbe fermare a 46,6 milioni di ettolitri. Al terzo posto la Spagna con 36,6 milioni di ettolitri, in calo del 5%. Fra gli artefici del Gambero Rosso, già direttore del canale tematico RaiSat Gambero Rosso Channel, autore di libri quali “Memorie di un assaggiatore di vini” e “I racconti (e i consigli) di Doctor Wine” (Einaudi Stile Libero), Cernilli non può non commentare positivamente il primo posto dei nostri vini, che stanno dando soddisfazioni anche sul piano dell’export. Secondo le stime dell’Unione europea nei primi sei mesi del 2015 l’Italia è stato il Paese leader nelle esportazioni in termini di eccellenze Doc e Doccg, rispettivamente con 3,7 milioni di ettolitri e 3,3 milioni di ettolitri piazzati fra mercato Ue ed extra Ue. Al secondo posto l’immancabile Francia con 3,1 milioni di ettolitri di Doc e 1,9 di Doccg, poi la Spagna con 2,4 milioni di ettolitri di Doc e 1,1 milioni di ettolitri di Doccg. Ma, interpretando i dati attraverso la propria esperienza, Cernilli sembra invitare a non lasciarsi prendere da facili entusiasmi e soprattutto a tendere sempre verso qualcosa di più.

Perché il vino Made in Italy è vincente?
In realtà ce la battiamo sempre con Francia e Spagna. In particolare con la Francia è un gioco a due, di anno in anno ci avvicendiamo regolarmente sul podio. Seguono la Spagna e, a una certa distanza, Germania e Portogallo. Dopo le prime cinque arrivano, in ordine sparso, le extra –europee: Usa, Argentina, Australia, Cina. Nell’eterno derby tra le “cugine” in lizza per il primo posto, a fare la differenza, ogni stagione, sono soprattutto le condizioni meteo. Il primato italiano di quest’anno è stato sostenuto da condizioni climatiche favorevoli che hanno garantito un’ottima maturazione delle uve. Avremo un vino molto buono. Così siamo tornati a produrre 48,9 milioni di ettolitri contro i circa 42 dell’anno precedente. Tanti. Anche se, guardando anche al passato, la produzione di vino è andata costantemente diminuendo: 30 anni fa si producevano circa 80 milioni di ettolitri all’anno.

Motivo del calo?
È sparito quasi completamente il vino commodity, quello da 4 soldi, che si beveva nelle osterie. Beviamo di meno ma beviamo molto meglio. Il problema, semmai, è un altro. Un litro di vino italiano vale un po’ meno di 3 euro, con un fatturato finale annuale complessivo pari a 15 miliardi di euro. L’export vale intorno ai 5 miliardi. I francesi, con una produzione oggi inferiore, hanno il doppio del nostro fatturato. Un litro di vino francese vale 5,80 euro. In termini di esportazione li battiamo, ma la loro redditività è maggiore.

Come si spiega?
Migliore qualità percepita: così riescono a vendere a un prezzo maggiore rispetto al nostro. Fanno molto più sistema, noi andiamo in ordine sparso. Mi spiego: i francesi hanno vini e zone vinicole molto più identificabili dagli acquirenti stranieri: sono poche, 6 o 7 in tutto. In Italia ce ne sono una miriade, abbiamo oltre 500 denominazioni, siamo il paese delle Doc. Da un lato è una cosa positiva, perché significa che c’è variabilità genetica, tantissime tipologie di vite, ogni zona una sua tradizione ecc. ecc. Ma dall’altro lato è difficile comunicare questa complessità sui mercati stranieri. Per dire, un cinese fa una gran fatica anche solo a pronunciare la parola Grignolino. Invece dire Merlot è talmente semplice…Del resto l’Italia è ancora l’Italia dei comuni, mentre la Francia è una nazione. Poi è anche vero che chi si innamora dei vini italiani e delle loro diversità diventa un fan nel mondo.

Oltre a valorizzare di più il nostro vino, cosa dovremmo fare per mantenere il primato?
Bisognerebbe essere più efficaci nei Paesi emergenti. Siamo fortissimi in Germania e negli Usa, ma nei mercati nuovi, come la Cina e non solo, facciamo più fatica, perché i francesi hanno vini più semplici da capire e vanno in giro supportati da strutture di promozione. Un esempio: alla fiera del vino di Hong Kong in tutti i padiglioni ci sono le bandiere del Paese ospitante, così come in Francia o in altre nazioni. In Italia ci sono i consorzi e, all’interno della fiera, non si vede una sola bandiera italiana. C’è la Regione Veneto, l’Abruzzo e così via, ma mai un tricolore. È una frammentazione che non ci fa gioco. Francesi e spagnoli sono più compatti, si muovono come una falange macedone. Poi c’è un altro problema: il crollo dei consumi interni.

Gli italiani bevono meno vino? Perché?
Fino a poco tempo fa i bevitori erano l’80%, oggi sono poco sopra il 50%. Un calo dovuto alla crisi economica, a uno stile di vita più salutistico e all’emanazione di leggi per moderare l’uso di sostanze alcoliche. Oggi francesi e portoghesi hanno consumi più elevati dei nostri. Altra questione è quella dei ritardi burocratici e della lentezza dei pagamenti nel settore: sono cose che fanno male alle aziende.

Stanno fiorendo diverse startup legate al mondo del vino. Consigli?
Il vino italiano che sta avendo più successo a livello internazionale è attualmente il prosecco: prezzo abbordabile e facile da capire per il mercato estero. Se ne vendono 300 milioni di bottiglie di bottiglie all’anno. Le prospettive imprenditoriali in questo settore sono interessanti per chi sarà produrre qualità ‘comprensibile’ a prezzi ragionevoli. Si dice all’estero che il vino italiano è cheap and cheerful, economico e ‘brioso’.

Insieme alle cassette spedite, alcuni startupper hanno scelto di far avere al cliente anche lo storytelling, la storia legata al vino venduto. Condivide?
Innanzitutto va precisato che mandare cassette di vino in giro per il mondo non è semplice. Ogni Stato ha una sua legislazione in materia. In alcuni Stati negli Usa la legislazione è figlia del protezionismo, in India le tasse di importazione sono spaventose. Nell’Unione europea non ci sono problemi, tranne che nel Regno Unito, dove la tassazione è elevata. Canada, Svezia, Norvegia e Finlandia hanno regimi monopolistici: si può vendere solo allo Stato, che poi lancia un tender, una gara per l’acquisto da parte di privati. La Cina è un territorio grande e difficile, ogni città è come se fosse uno Stato. Le potenzialità sono immense, ma bisogna saper fare marketing. Insomma, ci vogliono competenze logistiche e giuridiche, questo gli startupper non devono dimenticarlo. D’altra parte tanti produttori italiani medi o piccoli si sono saputi industriare e sono riusciti ad esportare con successo. Quanto allo storytelling non posso che condividerne l’utilità: il vino non è solo una bevanda, è un fatto culturale.

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