La piadina romagnola al centro di un caso “normativo-gastronomico”. L’alimento simbolo del made in Italy, anzi del made in Romagna, potrebbe diventare un marchio protetto Ue, ma non è ancora detto.
La vicenda è iniziata giorni fa con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale europea del “documento unico” per il riconoscimento della Igp (Indicazione geografica protetta) della Piadina romagnola-Piada romagnola contro imitazioni e falsi in Europa. In pratica Regione Emilia-Romagna e Ministero delle Politiche Agricole avevano presentato alla Commissione Europea un disciplinare di produzione che poi è stato accolto e pubblicato in Gu.
Secondo il disciplinare gli ingredienti base dell’impasto di quello che è stato definito da Giovanni Pascoli “il pane, anzi il cibo nazionale dei romagnoli” sono farina, grassi, sale ed eventualmente lievito. È vietata l’aggiunta di conservanti, aromi e altri additivi. Il prodotto può essere presentato nella variante, più sottile e larga, “alla riminese”. La commercializzazione può avvenire in involucri di carta alimentare o tessuto per il prodotto destinato all’immediata somministrazione, oppure in buste.
La pubblicazione del documento in Gu è stata prontamente commentata dall’assessore regionale all’agricoltura dell’Emilia Romagna Tiberio Rabboni: “Una bella notizia per un prodotto che in tutto il mondo parla di questa regione e delle sue tradizioni enogastronomiche. L’Igp per la piadina romagnola porterà a 40 il numero delle specialità del nostro territorio tutelate nella loro unicità dall’Europa. Tra non molto, fuori dalla Romagna, nessuno potrà più usurpare il nome di questo prodotto unico e irripetibile”.
Una soddisfazione forse un po’ prematura, perché comunque, come prevede la normativa europea, dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale ci sono sei mesi di tempo per raccogliere eventuali contestazioni di produttori europei o mondiali. Passati i termini, se non ci sono contestazioni, Bruxelles può riconoscere la nuova Igp in via definitiva.
Ma nel frattempo è già arrivata una possibile battuta d’arresto. Quasi in concomitanza con l’uscita del documento in Gazzetta ufficiale, il Tar del Lazio ha pubblicato una sentenza che va contro il disciplinare di produzione e che sostanzialmente dice: “la piadina romagnola potrà essere solo quella prodotta nei chioschi o nei ristoranti”. Si tratta della sentenza n. 5148, risalente al 15 maggio scorso, che accoglie il ricorso presentato da una piccola azienda contro il disciplinare di produzione, nonché contro i decreti ministeriali di riconoscimento della tutela provvisoria. La motivazione afferma in modo perentorio che se c’è la possibilità di riconoscere una reputazione tutelabile dovrà essere solo per la piadina prodotta in maniera tradizionale e manuale e non certo per quella industriale. In pratica: via libera a quelle piadine che vengono fuori dalle mani impastate di farina dei cuochi e sono vendute agli avventori in chioschi o ristoranti, ma nessuna tutela di marchio Ue per le piadine fabbricate in serie nelle grandi industrie.
Soddisfazione di Confesercenti e Slow Food. “Come affermiamo da anni – dicono – la vera piadina romagnola è solo quella prodotta tradizionalmente, la produzione industriale non può essere tutelata da un marchio pubblico”.
Secondo Giampiero Giordani, responsabile dell’Associazione per la valorizzazione della piadina romagnola, ora “il ministero dovrà procedere alla riformulazione del disciplinare di produzione accordando eventualmente una nuova protezione transitoria”
E gli avvocati Gaetano Forte e Chiara Marinuzzi del Foro di Ferrara e l’avvocato Francesco Buonanno del Foro di Roma, che hanno formulato il ricorso, affermano che l’autorità comunitaria dovrà bloccare il procedimento di riconoscimento in quanto basato su atti dichiarati illegittimi dall’autorità giudiziaria nazionale. Vedremo nei prossimi giorni se la piadina diventerà indigesta per i vertici Ue.