A leggerla senza filtri e senza contestualizzazioni, la rilevazione Movimprese sulla natalità e la mortalità delle imprese italiane diffusa da Unioncamere sembra l’ennesimo bollettino inviato dal fronte di guerra. Tra luglio e settembre, il saldo tra le nuove iscrizioni al Registro delle imprese delle camere di commercio (72.833) e le cancellazioni (56.382) è positivo (+16.451 unità) ma la percentuale di crescita del periodo (0,3%) è il risultato più basso dal 2005 a oggi nel terzo trimestre dell’anno.
Poche nascite, insomma. Come se le tendenze demografiche del Paese si rispecchiassero anche nel tessuto produttivo. Ma c’è di più. E di peggio: i fallimenti registrati nei primi nove mesi dell’anno sono oltre 10 mila, il 19% in più rispetto allo stesso periodo del 2013. Soffre in particolare il sistema artigiano, che per il terzo trimestre consecutivo mette a segno un saldo negativo tra aperture e chiusure e conta oltre 1.000 unità in meno rispetto a quelle registrate nel periodo luglio-settembre dell’anno scorso.
Sul sito Infocamere, dove si possono trovare tutti i numeri della rilevazione, ci sono tanti altri dati poco esaltanti, almeno a una prima lettura. Ma le informazioni vanno inserite all’interno di un contesto e interpretate con attenzione. È per questo che Fabrizio Guelpa, il responsabile industry and banking research del servizio studi di Intesa Sanpaolo, ha buoni motivi per non considerare i dati sul bilancio tra imprese nate e imprese chiuse così grave per il sistema produttivo. Qualche elemento preoccupante c’è ma non riguarda tanto la demografia quanto i fallimenti.
Guelpa, cosa dicono questi dati?
Per analizzare la situazione è necessario fare alcune premesse. Intanto, i dati del Registro delle imprese parlano appunto di “imprese”. Ma non tutte lo sono davvero: le iscrizioni alle camere di commercio comprendono anche una marea di partite Iva, che possono essere definite imprese solo formalmente ma sono realtà ben diverse. In più, c’è chi dalla camera di commercio non si cancella anche quando non opera più: dietro a queste imprese a volte ci sono gusci vuoti. Infine, un altro elemento da tenere presente è che l’Italia è un Paese dove, strutturalmente, la natalità e la mortalità delle imprese è molto elevata e si aggira intorno all’8% ogni anno: otto su cento ne spariscono e altrettante ne nascono. Detto questo, bisogna contestualizzare e vedere i numeri delle singole rilevazioni avendo in mente l’evoluzione congiunturale complessiva. I dati non sono così agevoli da leggere se non ci ricordiamo che siamo in recessione.
Le oscillazioni quindi sono piuttosto normali. Ma cosa significa il fatto che l’aumento delle nuove imprese sia il più ridotto degli ultimi dieci anni?
A una prima lettura, una situazione in cui si riduce il numero delle imrpese può essere visto in termini negativi. Ma se noi abbiamo in mente un Paese dove le imprese dovrebbero essere più grandi per accelerare nell’export e per fare ricerca e innovazione in modo più efficace, allora la quantità di aziende attive sul territorio nazionale diventa un parametro meno importante. Anzi, la possibilità che il numero di imprese scenda, mentre la dimensione cresce, può essere interpretata in modo positivo.
Ma come mai le nascite aumentano a ritmo così lento proprio in questo periodo in cui la crisi morde un po’ meno rispetto agli anni passati?
Se si vuol leggere questi numeri con un tono negativo ci sono varie possibilità. A cominciare da un fatto: le difficoltà che si sono accumulate nei vari anni ora si fanno sentire più di prima. Non c’entra che il Pil scenda di qualche punto percentuale in meno rispetto al passato. In una situazione del genere, basta un minimo peggioramento per far manifestare la crisi in tutta la sua forza. In ogni caso, il rapporto tra iscrizioni e cancellazioni non è da considerare così grave. L’aspetto allarmante è un altro.
Quale?
Il numero dei fallimenti. Per quanto siano molto poche le imprese che arrivano a una procedura fallimentare, la dinamica è preoccupante: continuano ad aumentare. E questo dato è coerente con la situazione di crisi del Paese, con le insolvenze bancarie: le sofferenze delle banche crescono a ritmi sostenuti.