Ripartire dalle fabbriche intelligenti e riportare le aziende in Italia. Sono questi gli imperativi che il manifatturiero italiano deve seguire se vuole riprendere la strada della crescita. Il messaggio è stato lanciato il 2 luglio durante l’assemblea annuale a Milano di Anie Confindustria, la federazione delle imprese elettroniche ed elettrotecniche.
Uno dei principali temi al centro dell’attenzione è stato il back reshoring, ovvero il rientro in patria dei siti produttivi che erano stati delocalizzati in precedenza. La novità che emerge dallo studio realizzato da Anie con il contributo del gruppo di ricerca interuniversitario Uni-Club MoRe Back Reshoring è che non sono solo le imprese attive nella moda a rimpatriare. L’industria elettronica è tra quelle che fa marcia indietro più spesso. Stando all’indagine, i settori Anie rappresentano quasi il 20% del totale del fenomeno e si piazzano in seconda posizione alle spalle solo di abbigliamento e calzature.
Le aree geografiche da cui si ritorna sono soprattutto l’Europa dell’Est (nel 38,5% dei casi) e la Cina (30,8%). A fare dietrofront sono molto spesso le Pmi (40% dei casi), che scelgono il back reshoring per ovviare alla minore qualità delle produzioni all’estero (per un terzo delle aziende Anie intervistate si tratta di una motivazione “molto rilevante”) e per non essere distanti dai centri italiani di ricerca e sviluppo (25%).
Per innovare ed essere competitivi è necessario quindi che il luogo dove si produce e quello in cui si inventano nuove soluzioni siano il più possibile vicini. E il fatto che le imprese dell’elettrotecnica e dell’elettronica (al netto di un fatturato che è sceso dai 63 miliardi di euro del 2012 ai 56 miliardi del 2013) siano tra quelle che ritornano con maggiore frequenza indica che il settore punta molto sull’innovazione. Lo conferma anche un’indagine condotta da Anie presso le aziende associate, secondo cui il 60% delle imprese ha dichiarato di aver investito in R&S nel triennio 2011-13 una quota di fatturato superiore al 2%; ben il 40% ha inoltre segnalato un’incidenza della spesa in ricerca e sviluppo sul fatturato superiore al 4%.
“Dall’indagine presso i nostri soci è emerso che l’industria elettrotecnica ed elettronica continua a distinguersi nel panorama nazionale per una spiccata propensione al cambiamento e all’approccio della fabbrica intelligente”, ha commentato Claudio Andrea Gemme, presidente di Anie Confindustria.
La sensazione è che in una situazione più favorevole per le imprese, le Pmi che varcherebbero di nuovo le frontiere sarebbero molte di più. “Il nostro studio – afferma il numero uno di Anie – ci dice che tornare a produrre in Italia non è utopistico. Qualcuno ha già iniziato a farlo, altri lo farebbero se si creassero le condizioni per poter lavorare: abbattimento della pressione fiscale e della burocrazia, detassazione degli utili reinvestiti in ricerca e innovazione, valorizzazione del know how tecnologico e della qualità del made in Italy, promozione degli asset strategici del Paese”.