Politica economica

Made in Italy, quante proposte per un marchio

Il ministro dell’Agricoltura lo ritiene necessario in vista dell’Expo, la vicepresidente del Senato ha presentato una legge, Coldiretti lamenta che quella esistente non viene applicata. E intanto Mister Eataly Farinetti pensa a un concorso per scegliere il brand

Pubblicato il 25 Mar 2014

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Il Made in Italy ha bisogno di un marchio? Il dibattito è in corso da tempo in Italia ma negli ultimi mesi si è fatto più acceso, anche in vista dell’appuntamento con Expo 2015 che, davanti a una platea internazionale, accenderà i riflettori sul nostro comparto agro-alimentare. Sull’argomento si sono pronunciati vari player del settore, dal neo ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina a Oscar Farinetti di Eataly fino a Valeria Fedeli, vicepresidente del Senato. E intanto il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo, rivendica l’applicazione di una legge sull’etichettatura obbligatoria, approvata ma poi rimasta lettera morta perché priva di decreti attuativi.

Il ministro

Il neo ministro all’Agricoltura Maurizio Martina, classe 1978, diplomato all’Istituto tecnico Agrario di Bergamo, una carriera nel Pd lombardo e già sottosegretario alle Politiche agricole nel governo Letta, punta alla “creazione di un marchio unico dell’agroalimentare italiano, a partire dall’esperienza dei prodotti Dop, da presentare durante l’Expo”. Ritiene “maturi i tempi” per sperimentare un marchio di questo genere, destinato soprattutto all’export e alla tutela del Made in Italy fuori dal nostro territorio. Un provvedimento che, secondo Martina, potrebbe contribuire a una crescita dell’export agroalimentare italiano fino all’8% all’anno. È inoltre convinto che si debba “parallelamente continuare ad agire anche nel campo dell’etichettatura per marcare sempre meglio la distintività dei nostri prodotti”.

L’imprenditore

Contro la contraffazione “dobbiamo inventare un marchio unico per identificare i veri prodotti Made in Italy. Lo chiamerei Unico Marchio Italia, può essere una mela tricolore, il David o quello che volete. Ne ho già parlato a Matteo Renzi e al ministro Martina”: lo ha detto di recente Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, catena di punti vendita alimentari. Considerato tra i più fidati consiglieri del presidente del Consiglio, Farinetti ha poi proposto un concorso per individuare il brand del marchio. “Io già lo vedo su Parmigiano Reggiano, sul culatello e su tutte le nostre eccellenze”. Una volta trovato il brand, ha proseguito, il passaggio successivo è investire le risorse in pubblicità in tutto il mondo per due anni. “Dobbiamo inaugurare questo marchio in tempo per l’Expo 2015 – ha spiegato – nei due anni di investimenti raccontiamo tutte le belle cose sui nostri prodotti, con l’obiettivo di aumentare il prezzo medio per far star meglio produttori e consumatori. Saremmo i primi al mondo ad avere un nostro brand, il Marchio Italia. Pensate ai francesi, si suicidano! Poi quando Renzi va da Obama si porta dietro quello slogan, così noi troviamo altri testimonial”.

La vicepresidente del Senato

La vice presidente del Senato, Valeria Fedeli (Pd), è prima firmataria del disegno di legge 1061 per l’istituzione di un marchio di Qualità italiana per il rilancio del commercio estero e la tutela dei prodotti italiani. Si tratta in pratica di una certificazione volontaria del made in Italy, non solo agroalimentare ma in tutti i settori, pensata per le aziende italiane, soprattutto quelle piccole e medie, che contribuisca alla promozione dei nostri prodotti di qualità nel mondo. Se il ddl, che attualmente sta seguendo il suo iter parlamentare, diventerà legge, lo Stato potrà dare la possibilità alle aziende italiane di richiedere una sorta di “bollino blu”, a costo zero per l’imprenditore, da utilizzare per qualificarsi a livello internazionale come eccellenze nostrane. Un organismo indipendente, promosso dal Ministero per lo Sviluppo economico, farà le certificazioni e anche le verifiche. Se qualcuno ha ottenuto il “bollino”, ma poi risulta inadempiente, per alcuni anni non lo potrà più richiedere. Il marchio non sarà obbligatorio ma volontario. Le attività di promozione del marchio Made in Italy spetteranno al governo. “Lo scopo – spiega Fedeli – è sostenere la competitività e la tutela dei prodotti di eccellenza italiani oltre a quella dei consumatori di tutto il mondo. Conoscere per scegliere davvero liberamente”

Il presidente di Coldiretti

Roberto Moncalvo, 33 anni, ingegnere e da fine 2013 presidente della Coldiretti, chiede l’applicazione della legge 201 del gennaio 2011 sull’etichettatura obbligatoria. “La legge sull’etichetta di origine – chiarisce – non ha mai avuto i decreti attuativi. Così, in generale, l’etichetta è anonima per circa la metà della spesa degli italiani”. La legge obbliga a fare una cosa molto semplice: indicare l’origine degli ingredienti dei prodotti che compongono la confezione. “Quindi – argomenta Moncalvo – se la salsa viene fatta con pomodori cinesi e poi viene imbottigliata in Italia, deve essere specificato sull’etichetta”.

Da qui gli “inganni del finto Made in Italy”, che, a detta del presidente di Coldiretti, “sugli scaffali riguardano due prosciutti su tre venduti come italiani ma provenienti da maiali allevati all’estero”.

Moncalvo auspica che “con questo governo le cose possano prendere un’altra piega. Purtroppo sulla legge dell’etichettatura – afferma – ha vinto la forza delle lobby dell’agroindustria italiana che continua in modo miope a credere che il Made in Italy sia solo una questione di ricette a prescindere dall’origine del prodotto”.



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