Ascoltare la lezione della terza rivoluzione industriale e metterla in pratica per battere la crisi. È quello che ha fatto negli ultimi anni la Hsl di Trento, centro tecnologico per lo sviluppo di nuovi prodotti industriali. L’azienda, che fa progettazione, prototipazione, costruzione di stampi (di materiale plastico) e stampaggio, ha seguito una doppia strategia nel periodo più cupo della recessione: da una parte ha accelerato sulla digital fabrication e sulle tecnologie legate alle stampa 3d per migliorare i propri processi produttivi, dall’altra ha dato vita a due brand che si basano (quasi) esclusivamente sul 3d printing: .bijouets (gioielli e accessori) ed .exnovo (lampade e oggetti di arredo).
“In piena crisi abbiamo valutato le idee di tutti e deciso di concentrarci sulle cose in cui eravamo più bravi, e in particolare sulle cose più difficili, in modo da avere meno concorrenti”, racconta Ignazio Pomini, classe 1951, fondatore e titolare della Hsl. “Così abbiamo proposto nuove soluzioni con tecnologie 3d nel mondo delle piccole produzioni e dell’automotive, quello in cui siamo più attivi”.
Spingere sull’innovazione attraverso gli strumenti tipici della fabbricazione digitale è una scelta che finora ha prodotto buoni risultati. Dopo una perdita nel 2009 e nel 2010 tra il 40 e il 50% del fatturato, l’azienda ha ripreso a crescere nel 2011 (+30%), e ha chiuso il 2012 con un volume d’affari di 6,6 milioni di euro (+45%). Nel 2013 c’è stata una piccola flessione (esercizio chiuso a 5,8 milioni, -15%), che però non preoccupa più di tanto. Tanto che Hsl, dopo un periodo di sacrifici anche in termini occupazionali, l’anno scorso ha ripreso ad assumere e ha in programma per il 2014 sei o sette assunzioni di personale di livello medio-alto.
Sperimentare nuove modalità produttive è nel dna dell’impresa trentina sin dalla sua nascita, avvenuta 26 anni fa: Pomini è un pioniere delle stampanti 3d nel nostro Paese. “Nel 1989 fummo i primi ad avere una macchina del genere in Italia e, se si fa eccezione per alcuni centri di ricerca, anche in Europa”, spiega il titolare della Hsl.
Certo, ammette Pomini, applicare questi strumenti alla produzione di massa risulta ancora complicato: “Quando si parla di milioni di pezzi, è impensabile che queste
tecnologie arrivino a sostituire le macchine tradizionali. Ma si tratta di un nuovo modello creativo-progettuale-costruttivo che, diffondendosi online attraverso dispositivi da scrivania non utilizzabili a livello industriale, permette a moltissimi utenti di diventare a loro volta creativi, produttori. È una cultura che già nei prossimi due-tre anni porterà a tantissime soluzioni e idee nuove, che abbiamo il dovere di mantenere in Italia. E chi lo percepisce in tempo, avrà chance in più”.
Con questo approccio diventa molto più semplice customizzare i prodotti e sperimentare nuove forme. Ed è proprio per pigiare l’acceleratore sulla sperimentazione che la Hsl ha lanciato due progetti-startup destinati al mercato b2c. Il primo, inaugurato nel 2010, è .exnovo, un marchio di lampade, vasi e vassoi di design realizzati con 3d printer e rifinite con tecniche artigianali tipiche del made in Italy. L’azienda “figlia”, anche grazie a quattro giovani designer, vanta già acquirenti importanti, prodotti esposti in uno showroom a New York, riscontri entusiastici (con tanto di ordinativi e di manifestazioni di interesse da parte di distributori e retailer) durante la prestigiosa fiera Maison & Objet, cha si è svolta a Parigi nel gennaio 2014.
Ma il saper fare made in Italy e l’approccio artigianale possono essere tutelati anche se gli oggetti vengono prodotti con stampanti 3d e altri strumenti di digital fabrication? “L’italianità viene percepita comunque”, afferma Pomini. “La capacità di raccontare in modo adeguato i prodotti e di contaminare la tecnologia di matrice americana con soluzioni artigianali e materiali tipici della nostra tradizione – per esempio, il vetro di murano – fa in modo che gli oggetti diventino prodotti di eccellenza del made in Italy”.
Cosa cambia tra i due modelli lo spiega Giulia Favaretto (25 anni), che si occupa di marketing per .exnovo: “C’è un valore che marca la differenza dall’approccio Usa: è la modalità di utilizzo delle tecnologie in generale e del 3D printing nello specifico. Per gli americani la tecnologia è il fine, mentre per noi è uno strumento importante al servizio della creatività, dell’artigianato e quindi della ricerca della bellezza”.
L’altro progetto innovativo, ideato da Ignazio Pomini e dalla designer Selvaggia Armani, è .bijouets, che dal 2012 realizza con tecnologie digital manufatti come collane, anelli, orecchini, bracc
iali, e spille. Il materiale principale è la polvere di nylon accostata a metalli, legno e tessuti. “In unico pezzo coesistono più materiali”, dice la brand manager Stefania Favaro (26 anni).
Come per .exnovo, il processo produttivo non si ferma con la produzione del pezzo attraverso le stampanti 3d ma continua con la rifinitura e la colorazione a mano. “Tecnologia e manualità devono andare di pari passo”, sottolinea Favaro.
I vantaggi del 3d printing sono tanti. “Con i metodi tradizionali – spiega la brand manager –, alcune forme non si possono ottenere, mentre con la stampa 3d non ci sono vincoli: si può realizzare un prodotto in un pezzo unico senza dover assemblare le parti post produzione. In più, si possono ottenere risparmi consistenti perché non c’è bisogno di stampi né di magazzini: solo file. La produzione è just in time ed è migliorabile in continuazione”.
Anche per .bijouets, nonostante i pochi mesi di vita, i primi riscontri da parte del mercato sono positivi. Gli acquisti sulla piattaforma e-commerce del sito stanno crescendo, così come sui marketplace come maketank. I retailer, soprattutto di abbigliamento, interessati a commerciare le creazioni .bijouets aumentano. Diversi musei chiedono di esporre gli oggetti più belli. Insomma, in Italia il futuro artigiano sta già diventando presente.