Il credito bancario per le imprese italiane si restringe di continuo. Le Pmi, in molti casi anche sane dal punto di vista finanziario, non riescono a finanziare i propri progetti di sviluppo. In una situazione del genere, come si può investire sul made in Italy e dare ossigeno alle aziende che vogliono crescere? Una possibile risposta è: disintermediare le banche e accedere a canali di finanziamento alternativi. Come riferisce Il Sole 24Ore, nel 2013 sarebbero già 46 le imprese medio-grandi che avrebbero raccolto fondi sul mercato internazionale collocando obbligazioni corporate. Di queste, ben venti hanno cominciato quest’anno. Segno che il sistema produttivo tricolore comincia a considerare naturale la possibilità di rivolgersi direttamente agli investitori per ottenere credito. Finora però, solo le imprese di dimensioni rilevanti sembrano avere le carte in regola per emettere bond senza problemi. I nuovi strumenti obbligazionari pensati specificamente per Pmi, ovvero i minibond introdotti dal decreto Sviluppo del 2012, non hanno ancora spiccato il volo (una trentina di emissioni finora, lanciate soprattutto da aziende che hanno ricavi superiori ai 10 milioni di euro) sia per l’ancora scarso appeal agli occhi di chi investe (sono titoli poco liquidi) che per le obiettive difficoltà tecniche legate alla loro emissione. In altre parole, le società che vorrebbero e potrebbero emettere questi titoli sono tante: sono 35 mila, secondo uno studio Cerved Group, le imprese mature per proporre queste emissioni. Ma la domanda è ancora limitata.
Tuttavia, anche a causa dei bassi rendimenti offerti dal mercato obbligazionario e dai titoli di stato, numerosi analisti sono pronti a scommettere che il mercato dei minibond e dei bond corporate sia destinato a crescere. E probabilmente non è un caso che siano già nati una quindicina di credit fund, alcuni indipendenti e altri legati agli stessi istituti bancari, pronti ad investire sui minibond: per il momento sono impegnati nella raccolta dei fondi ma non passeranno molti mesi prima che diventino operativi e inizino ad alimentare concretamente il made in Italy. In questo scenario, tra i più recenti strumenti di investimento lanciati per sostenere le imprese italiane, ci sono due fondi inaugurati da Mediolanum: Flessibile Valore Attivo e Flessibile Sviluppo Italia. Mentre il primo si concentrerà sull’investire a livello globale su bond ad alto rendimento nel breve periodo, il secondo si focalizzerà essenzialmente sull’economia del Belpaese investendo per il 25% sul capitale azionario delle piccole e medie imprese quotate (sia sul segmento principale che sull’Aim) e per il 75% su obbligazioni emesse dalle aziende più promettenti del made in Italy. Una parte di questi investimenti obbligazionari sarà indirizzato verso società quotate ma una piccola percentuale (non oltre il 10%) sarà messo a disposizione delle imprese non quotate che hanno collocato titoli (quotati sul circuito di Borsa Italiana ExtraMot Pro) di taglio più piccolo. Ovvero, i minibond, con particolare riferimento a quelli varati dalle aziende più solide e in grado di fornire maggiori garanzie agli investitori. “Flessibile Sviluppo Italia non è un minibond fund”, precisa Vittorio Gaudio, amministratore delegato di Mediolanum Gestione Fondi. “Ma faremo molta attenzione, nei limiti consentiti dalla natura giuridica del fondo, alle obbligazioni di piccolo taglio promettenti e presenti nei portafogli dei principali investitori istituzionali”.
Per la componente obbligazionaria, il fondo si avvarrà della consulenza del fondo americano Muzinich & co., specializzato in bond emessi da società piccole e medie. “Ci siamo rivolti a loro – continua Gaudio – anche per evitare qualunque sospetto di conflitti di interessi. Siamo sicuri che individueremo, insieme a Muzinich & co., le eccellenze del made in Italy e le aziende più profittevoli, con un occhio di riguardo a chi ha più scommesso sull’innovazione e sulla tecnologia”.
Secondo Ennio Doris, ad di Mediolanum, la ripresa del sistema Italia è alle porte e passa anche dalle iniziative bancarie che puntano di più sulla crescita delle aziende. “Io ho buoni motivi – ha affermato – per essere ottimista sul rilancio dell’economia italiana e ritengo che prodotti come questo siano uno stimolo importante: sarò io stesso il primo sottoscrittore di Sviluppo Italia”.