Berto Salotti, il made in Italy che piace a Google

Filippo Berto, CEO dell’azienda brianzola, racconta il cammino dell’impresa tra artigianalità, innovazione e rivoluzione digitale. Un mix perfetto che ha attirato l’attenzione di Eric Schmidt, AD di Google, che vede nel tricolore un marchio prezioso

Pubblicato il 28 Ott 2013

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 Filippo Berto, CEO di Berto Salotti

Siamo in Brianza, cuore dell’artigianalità, dove l’impresa è un tessuto di tradizioni, volti e radicamento sul territorio. Ma cosa succede quando tutto questo incontra l’innovazione? Filippo Berti, CEO dell’azienda Berto Salotti, racconta il cammino dell’azienda verso la rivoluzione digitale, con la benedizione di, nientemeno, che Eric Schmidt, AD di Google, incontrato al BIG TENT di Roma del 9 ottobre, in un dibattito dal tema “Made in Italy: la sfida digitale”.

Dal 1974, quando tutto è iniziato, all’incontro con l’AD di Google Schmidt, simbolo dell’innovazione tecnologica. Quali sono i punti di contatto tra le due prospettive?
È stato un onore ricevere l’invito per partecipare alla tavola rotonda di Roma. Poter affrontare temi che inseguiamo da anni, cercare conferme e portare un piccolo contributo di un’azienda artigiana italiana che crede fortemente nel Made in Italy è stata una grande sfida. Il punto di contatto è credere che l’Italia abbia ancora moltissimo da dire, soprattutto all’estero. Anche Eric Schmidt si è reso conto che il Made in Italy è un marchio prezioso e merita un progetto dedicato.

La Brianza, a livello imprenditoriale, è un microcosmo dell’artigianato. Com’è riuscito a superare quella “tradizionale diffidenza” verso il nuovo che in questo caso è proprio la tecnologia e il digitale?
Abbiamo cominciato a produrre nel 1974, mantenendo gli stessi standard qualitativi e cercando di migliorarci e fare meglio dei nostri vicini, in perfetto spirito brianzolo. Il mondo digitale, nel 2000, era un’opportunità nuova per raccontarci, oggi succede lo stesso, consapevoli però che i nostri interlocutori vanno ben oltre i confini nazionali.

In che cosa consiste esattamente la rivoluzione digitale innescata da Berto Salotti?
L’ingresso delle tecnologie digitali hanno rappresentato un punto di svolta nella nostra strategia di business. Il web ci ha permesso di collegare la Brianza al resto del mondo, è un canale attraverso il quale rendere disponibili ovunque prodotti fatti a mano e su misura, come se ci fosse un laboratorio artigiano sotto casa di ognuno.

Rapportando la questione con il panorama internazionale, questo cambiamento come permette alle aziende italiane di piccole o medie dimensioni di essere ancora competitive sul mercato estero?
Sarebbe un errore concentrarsi su una competizione basata sul prezzo. Oggi le aziende artigiane hanno a disposizione degli strumenti incredibili per distribuire nel mondo e comunicare il valore della manifattura italiana. Noi ci proviamo ogni giorno attraverso nuove idee, nuovi approcci nella produzione e nella distribuzione, nuovi modi di comunicare attraverso lo storytelling, un sito e un blog tradotto in sei lingue, un sistema di e-commerce e personalizzando al centimetro di ogni singolo prodotto.

In una logica di marketing e comunicazione abbiamo visto la forte presenza del vostro brand sui social network e in rete, con un corporate blog. Come influiscono queste iniziative sull’aspetto più tradizionale dell’azienda? Cosa si può conservare – e rendere un must del Made in Italy – del nostro tessuto artigianale?
Nato nel 2004, Bertostory è stato il primo esempio di corporate blog di settore. È nato per poter raccontare il valore del nostro lavoro, fatto di facce e di mani, oltre che di un “saper fare” tipico del nostro territorio. Ad esempio, Flavio Cairoli è un tappezziere bravissimo, lavora con noi da 39 anni e, con pudore e orgoglio, sa che quando lo filmiamo o lo fotografiamo, rischia di essere visto da alcune decine di migliaia di persone. Grazie al blog e ai social network possiamo dialogare con i nostri clienti, mostrare lo stato di avanzamento di una produzione o raccontare “live” progetti come #divanoXmanagua. Più che conservare, bisognerebbe “preservare” il saper fare del nostro tessuto produttivo.

Nella vostra prospettiva di crescita, un ruolo fondamentale è costituito dai giovani e dai progetti di formazione e lavoro attivati con i centri professionali del territorio. Quali possibilità vengono offerte ai ragazzi con i quali vi confrontate e quale valore aggiunti possono apportare?
Ho accennato al progetto #divanoXmanagua, nato a Gennaio con lo scopo di aprire le porte del laboratorio e costruire insieme a professionisti, studenti e curiosi, un divano unico, dal design altamente innovativo. Gli studenti della scuola per tappezzieri dell’istituto Terragni di Meda, affiancati da tappezzieri esperti, si sono misurati con un progetto a tutto tondo, concreto. Questi ragazzi possono davvero fare la differenza. Citando le parole di Eric Schmidt: “Provate a chiedere a dei ragazzi quali mezzi adotterebbe per comunicare la vostra azienda. Rimarrete stupiti dalla loro risposta”. Noi invece abbiamo chiesto loro “come costruirebbero un divano unico, elegante e prezioso. Adatto per essere oggetto di una cena di beneficienza e in grado da solo di comunicare il valore del lavoro artigiano”. Il risultato è stato sorprendente.

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