Genenta Science fondata a Milano nel 2014, è la prima società italiana nel listino hi-tech americano. Finora ha raccolto 30 milioni di euro. Gli ingredienti del successo? Un progetto da subito internazionale basato sulla qualità della ricerca italiana e sostenuto dai più prestigiosi family office del nostro Paese
Il 20 dicembre 2021 Genenta Science è entrata nel listino del Nasdaq. Ed è diventata così la prima società italiana nella borsa hi-tech americana, la più prestigiosa del mondo. Un traguardo importante per la scaleup biotech italiana, fondata nel 2014 da Pierluigi Paracchi, che è il CEO, con Luigi Naldini, direttore della Divisione di Medicina rigenerativa, cellule staminali e terapia genica dell’Ospedale San Raffele di Milano, e con Bernhard Gentner, ematologo e medico ricercatore sempre al San Raffaele, che ha partecipato da subito alla società.
Una bella storia, quella di Genenta Science, che sin da subito si distingue per il “modello”: qualità della ricerca italiana ma orizzonte internazionale, con investitori “profondi”, come li definisce Paracchi, che accettano il rischio e hanno pazienza. Dopo aver raccolto 30 milioni di euro, dopo le indiscrezioni della scorsa primavera, è quindi arrivato il momento del collocamento nel listino tecnologico più prestigioso e più competitivo del mondo.
Ecco i principali ingredienti di una storia di successo di cui tutta l’Italia dovrebbe andare fiera.
Non è mai facile raccontare una società biotech. È certamente meno smart di una digital company. Ma questa non ha impedito a Genenta di raccogliere 10 milioni nel suo primo anno di vita, il 2015. Il progetto nasce subito con la partecipazione dell’Ospedale San Raffaele di Milano che fa da punto di raccolta di un team di cui fanno parte due scienziati (Luigi Naldini e Bernhard Gentner) e un venture capitalist, Pierluigi Paracchi, che diventa il CEO della startup.
Nell’ambiente Paracchi, 46 anni, è già di suo un “caso di successo”. Non tanto perché è stato il primo in Italia a creare un fondo di venture capital dedicato al biotech, nel 2002. Ma per essere stato uno dei protagonisti, alla fine del 2013, di una exit, destinata a restare nella piccola storia delle startup italiane: la vendita per mezzo miliardo di dollari, agli americani di Clovis, di Eos, società che ha sviluppato una nuova molecola antitumorale. Un’operazione che diede un rendimento di 12 volte.
L’obiettivo di Genenta è curare i tumori con agenti infiltrati, estraendo quel che c’è di buono nel virus dell’HIV, a farla molto semplice. I ricercatori della società hanno inventato un sistema di ingegnerizzazione di cellule staminalitramite un vettore derivato dal virus dell’HIV che, grazie all’impiego dell’ingegneria genetica, riescono a penetrare i tessuti malati stimolando la produzione di una specifica proteina antitumorale.
Genenta Science, il modello di governance e gli investitori
Non è certo facile da spiegare il progetto Genenta Science. «Ma non è stato difficile raccogliere i primi 10 milioni tra investitori privati. Ad un certo punto abbiamo dovuto chiudere le sottoscrizioni o rifiutare quelle di chi non accettava le nostre condizioni», racconta Paracchi. «La fortuna di questo Paese è che ci sono ancora molte persone che hanno tanti soldi. Alcuni noti, altri no. E sono concentrati in Lombardia e Piemonte. E in questo momento hanno difficoltà a trovare investimenti attraenti».
Su Genenta hanno scommesso i più prestigiosi family office italiani: dai Rovati ex proprietari del gruppo farmaceutico Rottanpharm, ai Bormioli, dai Fumagalli, quelli della Candy ceduta ai cinesi, ai Ferragamo, dai Borletti ai Miroglio, dai Riello ai Branca. Insomma, sembra che di fronte alla complicata scommessa di Genenta Science si siano riunita l’aristocrazia imprenditoriale italiana. Come mai? Perché è risultato convincente l’intero “pacchetto (obiettivo, team, track record, ambizioni) e si aspettano ora un ritorno proporzionale al rischio da 5 a 10 volte l’investimento. «Ma anche perché hanno sentito il gusto di partecipare a una scommessa imprenditoriale», aggiunge Paracchi. Nel 2019, però, arrivano gli investitori cinesi, con l’pinvestment company QZ, tra le prime a scommettere su Tencent.
Genenta Science, un team sempre più internazionale
Dalla sua fondazione il team di Genenta è cresciuta con l’ingresso di figure di spicco come Guido Guidi, ex top manager Novartis, Roger Abravanel, super consulente McKinsey, già nel consiglio di amministrazione di aziende come Luxottica o Teva per restare in campo farmaceutico. E andando avanti il modello si è sempre più definito: management basato negli Stati Uniti, escluso il CEO, che sta vicino il team di ricerca a Milano. È stata negli ultimi due anni una continua iniezione di competenze ed esperienze di livello internazionale. Ultimo tassello nella primavera di questo anno, evidentemente in vista del collocamento al Nasdaq, la nomina come CFO di Richard Slansky, che ha ricoperto lo stesso ruolo in altre società biotech americane.
A fine 2020 è diventato presidente di Genenta Stepìhen Squinto, definito una “rock star” del biotech statunitense, sia come founder di startup di successo sia come investitore con il fondo di venture capital Orbimed Advisors fra i più grandi del mondo per il biotech. Nel board c’era già no Anthony Marucci, che ha fondato la startup Celldex Therapeutics. Quest’autunno è poi arrivato l’ingaggio di Alec Ross come consulente strategico insieme con Gaurav Shah, e Brad Loncar.
Genenta Science e l’eccellenza del biotech italiano
Paracchi ha la sua chiave di lettura per spiegare l’eccellenza del biotech italiano: “Per ragioni economiche e geopolitiche l’Italia non ha mai fatto, o potuto fare, grandi investimenti sulla Difesa, come è accaduto nei Paesi in cui è esploso il tech, dagli Stati Uniti a Israele. In compenso, essendo una grande economia.abbiamo potuto creareto uno dei sistemai sanitario a copertura universale i più importanti e costosi del mondo e così sono maturate, tra varie inefficienze innegabili,anche eccellenze diassoluto livello internazionale”. Saremo indietro, rispetto agli Stati Uniti, alla Cina e al Far East ma siamo attraenti per gli investitori. “In Europa, e soprattutto in Italia, c’è qualità della ricerca, le valutazioni delle società i prezzi sono più bassi e c’è meno concorrenza per il minor numero diinvestitori”. Adesso gli investitori globali potranno trovare una società italiana su cui puntare anche nel listino tecnologico più prestigioso del mondo.
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Giovanni Iozzia
Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.
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